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Thursday, April 23, 2009

Il ministro dell’Istruzione che più ha contribuito alla diffusione della cultura informatica in Italia? Nessuno ha fatto quanto Facebook (parte II)

Riprendo, per completarlo, il tema che ho cominciato a trattare nel precedente post.


A parte le considerazioni sulla genesi e sulle cause del successo, è un dato oggettivo che oggi il desiderio di “esserci” rappresenta una forte spinta motivazionale che si traduce nella prima alfabetizzazione su internet per milioni di persone. Quale progetto di un qualunque governo o istituzione (in Italia...) avrebbe potuto produrre tali risultati?

Credo nessuno.


I “nemici” dei social network

Chiaramente come tutte le mode ha i suoi “nemici” (come è giusto che sia), costituiti da coloro i quali ancora diffidano di internet (anche se talvolta non conoscono bene il fenomeno), oppure faticano ad accettare dinamiche di comunicazione diverse da quelle cui sono abituati, oppure perché, ovviamente, c’è chi fa fatica a ritrovarsi e nel “mucchio” e ama vedersi in controtendenza.

Io stesso ammetto di essere un po’ così e se nel 2006 mi piaceva spiegare a colleghi ed amici la portata di questa rivoluzione che si stava concretizzando, oggi mi viene un po’ da sorridere quando sento il mio dentista che mi chiede “ci sei anche tu su Feisbuc?”.

Sorrido..

Ma penso che se lui ha preso lezioni per imparare ad inviare le mail e a chattare sui SN questi strumenti hanno ottenuto dei risultati veramente rilevanti.


Arriva anche per FB il riflusso

Oggi in Italia FB vive un momento di riflusso (sempre nel blog di Merlinox si è aperta una discussione sul tema), ma credo che si tratti di un momento fisiologico dovuto al progressivo spegnersi dell’euforia di chi ha provato, soprattutto da poco, l’ebrezza etilica del web. Ma credo anche che la bellezza del web sia la sua dinamicità e che quindi anche la cristalizzazione di eventi, come nel caso di Facebook, con un successivo riflusso o addirittura implosione, non sia assolutamente un male, auguriamoci piuttosto che domani ci sia qualcosa di nuovo e sempre più interessante.

Quello che ieri era novità oggi è storia, non obsoleto e da dimenticare, ma avvolto dalla patina di deja vù che ne modifica la bellezza, mentre nuove sfide appaiono all’orizzonte., pazienza se Facebook o MySpace diventeranno un ricordo come Napster.

Mail ed sms hanno reso meno utilizzate le lettere a mano, come il digitale la buona vecchia pellicola o il vinile, ma non sono scomparse e non hanno perso il loro fascino, anzi.

Per questa ragione appare anacronistica la condanna in Svezia dei responsabili di Pirate Bay… servirebbe che questi anziani giudici e più anziani manager si rendessero conto che non si può combattere contro una marea e che sopravviverà solo chi saprà sviluppare una migliore capacità di adattamento, sfruttando la propria attuale posizione di forza, non per conservare uno status quo impossibile da difendere, ma elaborando, prima degli altri nuovi modelli di business.

Tuesday, April 21, 2009

Il ministro dell’Istruzione che più ha contribuito alla diffusione della cultura informatica in Italia? Nessuno ha fatto quanto Facebook

Forse oggi mi attirerò le critiche di quelli che guardano con diffidenza alle mode ma, dando il giusto peso alla provocazione di un titolo, volutamente al limite del paradosso, credo che quello di oggi contenga alla base una reale essenza di verità :

all’alfabetizzazione informatica in Italia contribuito Mark Zuckerberg (il boss di Facebook) più che tutti gli ultimi ministri che si sono succeduti.

Non la Moratti, la Gelmini ed i loro illustri predecessori... Ricordate Il tanto strombazzato slogan delle tre “I”, informatica, inglese ed impresa.. è rimasto una delle tante promesse elettorali, di informatica nelle scuole se ne è vista poca e la vicenda del maestro unico sembra ulteriormente diminuire le chance di far crescere le nuove generazioni adeguatamente preparate, sotto il profilo tecnologico.

Però nel frattempo è esploso uno di quei fenomeni che è difficile prevedere prima e che anche dopo che si è concretizzato rimane difficile spiegare: Facebook ha aperto le porte di internet a milioni di neofiti del web.


Un processo in atto da qualche anno

In realtà il processo è iniziato ben prima, con altri Social Network, da MySpace a YouTube o Twitter, ma nessun altro come Facebook è diventato un fenomeno di massa e popolare tra i non “iniziati” del web, ovunque nel mondo e da meno di un anno anche in Italia. Il mio account di FacciaLibro è rimasto silente per mesi fino a quando, inspiegabilmente, quasi da un giorno all’altro si è animato e si è popolato di “amici”, che non mi sarei mai aspettato di trovare nel mondo virtuale.

Oggi poi, aprendo la mia posta, ho avuto la conferma definitiva che questo malvagio oggetto si è trasformato nella killer application che ha rivoluzionato la cultura informatica della popolazione italica, tra le mail di segnalazione che giornalmente mi costringono a vivere “Feisbuch” , c’era la richiesta di amicizia di un amico.

Fin qui nulla di strano.. se questa persona non avesse da sempre dichiarato la propria idiosincrasia all’uso del computer, tanto che per lui “scrivere” rimaneva pur sempre l’uso di una penna (stilografica ovviamente,perchè la biro non si confà a chi vuol ritenersi elite) e che la sua età, 56 (non anziano ma neppure giovane…), non è da considerarsi ideale per cominciare ad utilizzare questi strumenti (dopo averli così a lungo guardati con diffidenza).


Assediato dagli “amici” su Facebook.. come starne fuori?

Ovviamente questo è solo l’ultimo caso di una lunga lista, persone che hanno trovato il coraggio di vincere la propria diffidenza verso il computer ed ancor più verso internet solo perché ormai Facebook li aveva accerchiati, amici e colleghi intrappolati nel network erano dappertutto, come rimanerne fuori?

Cosa abbia determinato questa spirale francamente non so, in fondo il Social Network dei college americani non proponeva molto di nuovo rispetto a chi lo aveva preceduto, semplicemente in genere lo faceva meglio e soprattutto non era un universo chiuso. Lo cito per la seconda volta, ma questo post di Merlinox (ovviamente non tutti quelli che capitano qui sono lettori affezionati) propone una analisi dettagliata del fenomeno ed anche lui, come me, non rintraccia molto di nuovo in ciò che è stato fatto da Facebook. In genere una differenza di approccio, con la possibilità dall’esterno di integrare altre applicazioni, i tanti test, gli abbracci virtuali e le molteplici funzioni, più o meno inutili hanno fatto la differenza. Probabilmente altro fattore critico di successo è stato il carattere “nazional-popolare”( mutuando un’abusata definizione televisiva) di Facebook a differenza di MySpace che per esempio è assimilato soprattutto allo spazio degli artisti o YouTube, visto soprattutto come una “televisione”.


Il successo di Facebook? Fatto da persone normali

Su Facebook non occorre essere un artista digitale o un cantante, è popolato di persone normali, con un nome ed un cognome e non si incontrano (tanti) personaggi come panterina2009 o maschio italiano, con improbabili foto da pin up e con addominali a forma di tartaruga. Partito infatti come network riservato a studenti americani, con email “nota”, è cresciuto tenendo fede all’identità rappresentata dal nome: network di facce. Oggi MySpace rincorre questo modello e da qualche tempo chiede alla login se si vuole apparire con il proprio nome e cognome….

Se questa sia una delle ragioni non posso affermarlo con sicurezza, ma credo personalmente che sia stato un contributo rilevante . Certamente altro fattore critico è la facilità d’uso, che può sembrare una banalità, ma è il discrimine sul quale si infrangono i sogni di molti prodotti software o che ha fatto la fortuna di (pochi) altri, come testimonia il successo travolgente di iPhone per esempio.

continua...

Thursday, October 9, 2008

Le possibilità di marketing locale offerte dalla "Rete Globale" e dal web 2.0: un caso pratico di applicazione, una palestra (parte seconda).

Un paio di giorni fa ho iniziato questa riflessione sull’uso della rete anche nel marketing di attività con un profilo fortemente localizzato, quale una medio piccola palestra, descrivendo lo scenario complessivo e le attese. Oggi mi piacerebbe darvi un’idea dei mezzi ultizzati.


Website Istituzionale o Blog

Il primo passaggio obbligato è stata la costruzione della presenza web dell’associazione fin li mancante. Un anno fa circa, la prima valutazione che mi sono ritrovato a fare è stata quella se allestire un classico sito web o un blog. Da una parte la limitata disponibilità di tempo personale per la realizzazione, dall’altra la mancanza di una persona, in quel momento, in grado di provvedere alla gestione quotidiana di un blog, mi ha fatto propendere per la prima soluzione, utilizzando però uno schema poco rigido per i contenuti, in maniera tale da predispormi già a diventare un blog interattivo.

Il risultato è stato un sito che non è solo una vetrina di servizi ma un sito di comunicazione vera e propria, una prima bacheca virtuale di quella community che intendevamo costruire.


I social Network

Il secondo passo è stato quello di cominciare a frequentare i social network (come palestra!) ed utilizzare questi luoghi come luogo di dissemination. Naturalmente anche questo task è stato realizzato sottraendo tempo al mio tempo extra lavorativo e quindi non ancora realizzato con la dovuta continuità. Ovviamente, visto il carattere assolutamente locale dell’associazione, ho concentrato gli sforzi su SN a forte caratterizzazione “milanese” come Viadeo e Codice Internet o cercando di entrare in contatto su network internazionali, come Myspace, soprattutto (ma non solo) con persone residenti a Milano. Come ho già detto questa attività può dare sicuramente ancor più frutti, se realizzata da una persona specializzata del settore, in grado di partecipare, meglio di me, alle discussioni e soprattutto con più tempo a disposizione. Il mio obiettivo attuale è quindi di formare alcune persone, coinvolte nell’organizzazione della associazione, al fine di “coprire” meglio questi canali.

Metodologia di Comunicazione

Abbiamo poi cercato di comunicare con le modalità proprie della attuale generazione web, ovvero utilizzando molto i supporti multimediali. YouTube ci ha permesso di rendere pubblici alcuni video delle nostre attività e l’iniziativa ha riscontrato un discreto successo. In particolare i video della boxe, sfruttando probabilmente un trend positivo in atto nel fitness, hanno riscosso un notevole successo. Direi che tra gli strumenti di comunicazione con l’esterno i video si sono dimostrati i più apprezzati in assoluto.

Unico limite è la difficoltà di capire bene quanto sia localizzata la fruizione dei video, ma in ogni caso diversi riscontri sono venuti proprio da coloro che ci hanno fisicamente contattato, molti dei quali avevano visto già in cosa consistevano i corsi ed anche la personalizzazione degli stessi ha avuto il suo effetto... molti entravano in palestra e riconoscevano già l’istruttore che tiene i corsi.

Questo era ovviamente uno degli obiettivi che ci eravamo proposti, come ho detto, creare un legame che rendesse più friendly il primo approccio diretto.

Inoltre anche la crescente diffusione dei video ad un pubblico che non potrà mai frequentare i nostri corsi, per questione di distanze geografiche, deve essere visto come un effetto positivo, perché da un lato accresce, in ogni caso, la percezione della notorietà e la qualificazione del brand, mentre dall’altro favorisce ovviamente l’accesso in buona posizione nelle query dei risultati dei motori di ricerca.

paragrafi:

> premessa: scenario e strategia
> strumenti: website e social network
> strumenti: contenuti e mezzi tradizionali

> i risultati: incremento di accessi
> i risultati: richieste di informazione ed iscrizioni

Tuesday, July 29, 2008

Una proposta per l'ambiente: the ICT for Sustainable Growth Social Network (terza parte), l’Osservatorio sulle Tecnologie per L’Ambiente

continua dal post precedente

Abbiamo visto quindi che esistono numerose potenzialità ancora inespresse nello sviluppo dei social network e la chiave è nella specializzazione e nei servizi, occorre quindi realizzare non un portale di networking tradizionale, ma una piattaforma che abiliti l’applicazione di un modello organizzativo di Enterprise 2.0 per sperimentare un modello di collaborazione in un ambito destrutturato ma fortemente motivato da obiettivi socialmente utili. Si tratta quindi di realizzare un’esperienza collaborativa nel campo dell’ambiente, finalizzata all’organizzazione delle conoscenza e al trasferimento della competenza e della tecnologia ai cittadini.

L'Osservatorio sulle Tecnologie per l'Ambiente

Il progetto si presenta come una forte integrazione di componenti sociali ed umane con componenti tecnologiche, dove le prime però sono assolutamente da intendersi come funzionali al raggiungimento degli obiettivi tecnologici. Infatti lo sviluppo dello spirito collaborativo dovrebbe essere teso a:

1. rappresentare la struttura semantica delle informazioni
2. ottimizzare i risultati di categorizzazione automatica e statistici sui campioni
3. stimolare lo sviluppo delle funzionalità rilasciate in open source

l’esperienza deve essere intesa non solamente per raccogliere il contributo degli utenti (user generated contents) ma con il contributo degli stessi, sia in fase di progettazione (user generated requirements) che di realizzazione (user generated services), attraverso la condivisione con gli utenti sia delle funzionalità da progettare che dal supporto allo sviluppo secondo una modalità Open Source.

Si tratta di progettare una architettura in grado di rendere centralizzata la gestione di informazioni e servizi eterogenei per canale e contenuto e al tempo stesso decentrare il contributo degli utenti alla emersione della conoscenza, integrando il fattore umano attraverso il social networking, teorizzato dalle comunità di pratica, e i sistemi automatici di ricerca e categorizzazione semantica.

Visto lo stretto intreccio tra problematiche tecnologiche ed implicazioni sociali è fondamentale la finalizzazione della ricerca tecnologica in un dominio verticale di conoscenza.

L’Osservatorio sulle Tecnologie per L’Ambiente deve essere uno spazio dove sviluppare e rendere disponibili strumenti e metodologie che facilitino l’accesso all’informazione da parte degli utenti grazie anche all’organizzazione dell’informazione stessa.. Tali strumenti aiuteranno i cittadini a comunicare tra loro e con le Istituzioni in maniera più vicina alle richieste dei cittadini stessi e con strumenti più informali e familiari a coloro che seguono i problemi dell’Ambiente.

Portale informativo ma anche servizi e software

Ma oltre a fornire informazioni sarà un erogatore di servizi tecnologici contraddistinti dall’obiettivo di favorire un approccio al lavoro “sostenibile” cosi come software open source e best practise orentate al medesimo obiettivo precedente

Il primo obiettivo è quello di coinvolgere il cittadino e le imprese nel processo di acquisizione dell’informazione, cercando di quantificare la progressiva consapevolezza del problema con atti espliciti che abbiano un impatto sulla riduzione delle emissioni.

Occorre coinvolgere cittadini ed imprese e trasformarli in soggetti attivi, collaboratori di una meta impresa in cui la ricerca, la formazione e la distribuzione della conoscenza viene organizzata e stimolata grazie agli strumenti descritti dalla teoria delle Comunità di pratica, ovvero

  • Stimolo della conoscenza attraverso la diffusione delle best practise
  • Stimolo alla contribuzione individuale
  • Libertà di organizzazione degli individui in cellule dinamiche
  • Disponibilità d strumenti di lavoro e di collaborazione
  • Presenza di moderatori e “stimolatori”
  • Individuazione dei leader naturali
  • Individuazione dei nodi di diffusione dell’informazione

Wednesday, April 23, 2008

Il prezzo del comando e la solitudine del manager: intervista a Mauro Fantechi, Ceo di Par-Tec

Mauro Fantechi è Ceo di Par-Tec, gruppo che si occupa di tecnologie nel mondo della Finanza e Telco.Nella sua storia personale ci alcuni successi sul mercato internazionale con Unirel Sistemi e la suite di prodotti Felis Cluster acquisita da Stonesoft, leader finlandese del mercato security e load balancing , e Lightstreamer, lo streaming Ajax con clienti in tutto il mondo e partnership prestigiose come quella con TIBco.

Il tema di questa intervista è quanto meno “particolare” e quindi rubo un po’ di spazio per una premessa da condividere con chi legge la tua intervista. Mi corre l’obbligo di dire che Mauro Fantechi è stato un mio diretto superiore, ma spero che il buon rapporto personale non mi abbia impedito realizzare un’intervista anche critica. In realtà non si tratta di una vera e propria intervista quanto il compendio di alcune discussioni, sul tema del management, fatte a colpi di e-mail e messanger.

Il titolo si ispira ad un celebre romanzo di Montalban, "La solitudine del manager" appunto, la storia di un manager che avendo scoperto le malefatte della multinazionale in cui lavora non rimane passivo, ma alla fine, isolato, viene ucciso. Niente a vedere con il caso di Mauro, ma introduce il tema che desidero sviluppare: il “prezzo” del comando. L’idea era nata leggendo un'intervista di Marchionne in che diceva che, al di la del lavoro in team, il manager è solo quando deve affrontare delle decisioni.

Antonio Juamà, il protagonista del libro, alla fine viene ucciso. Tralasciando l'esito specifico e le cause raccontate da Montalban, esiste un "prezzo" che un manager deve pagare?

Non voglio farti un'intervista facile... e quindi ti ricordo che in genere se si pensa ad un prezzo si pensa a quello pagato soprattutto da operai ed impiegati

Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" nel senso classico della parola, sicuramente da sempre sono almeno stato "manager" di me stesso.
Il prezzo.... in prima battuta mi viene in mente il mio, quello pratico: non vacanze, non tempo libero, non hobbies.. ma questo ci stà...mi è piaciuto troppo il mio lavoro, e poi non dimentichiamo che noi imprenditori/manager non siamo ne fini artigiani ne dogmatici artisti, lo si fà per soldi e per EGO (te lo assicuro) e quando ci prende qualcosa non riusciamo a fermarci.....perchè? semplice per essere i primi a dire io l'ho fatto... anche se non ci guadagni un tubo.


Particolare questa risposta, siamo abituati a pensare che la logica che muove un imprenditore sia quella ferrea del mercato, si fa solo quello che fa guadagnare.

Non so se io, con le mie azioni, sono una interpretazione letterale della parola “imprenditore”, e comunque quando ho iniziato ilo mio percorso forse non sapevo bene neanche quale fosse la definizione. Ma per quanto mi riguarda , e conosco molti miei conterranei che come me si sono mossi, riaffermo che si fa non solo per soldi ma anche per fama e riconoscimento, e aggiungo per il desiderio che tutti sappiano che lo si è fatto bene e con ragionevole rispetto degli altri. Management illuminato? No, voglia di successo e ortogonale , di cose tangibili , soldi, e cose meno tangibili ma altrettanto percepibili.


Quando parli di conterranei è perché pensi che quel che abbiamo detto sia più vero per i toscani?

.. Toscani.... potrebbe essere, ma non abbiamo l’esclusiva.


Però tornando al concetto precedente, la “solitudine” del manager ed il prezzo che paga, potrebbe far sorridere i precari o coloro che devono arrivare a fine mese con 1.300 euro. Nell’immaginario collettivo inoltre il manager che sbaglia spesso si ricolloca altrove e non paga alcun prezzo per avere lasciato a casa un po’ di lavoratori. La percezione del “costo” personale è molto diversa.

La domanda non fa una piega, ma riparto dalla mia frase .Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" . Oltre a questa affermazione vorrei aggiungere due punti , il primo è che le dimensioni di lavoro in cui mi muovo non sono grandi (al massimo circa 150 persone) e secondo, pur con tutta la modestia, vorrei dire di sentirmi anche o forse più “imprenditore” .
Da un lato la dimensione piccola mi ha sempre posto in contatto con tutti e dall’altro, essere anche padrone, con tutte le fasi economiche personali positive e negative, mi hanno sempre fatto riflettere molto , portandomi a combinare azioni manageriali con azioni personali a salvaguardia o in aiuto di persone.

Non mi sento inqadrabile nella definizione di manager secondo l’immaginario collettivo che citi, non mi sento asettico decisore.


Un’altra obiezione e poi che il prezzo che decide di pagare un manager dipende dalle proprie scelta. Diversa mente chi ha poche opportunità di emergere può solo pagare il proprio prezzo (un salario basso) senza poter scegliere.

Vero, quanto dedicarmi al lavoro è stata una mia scelta, ma quanto gestire al meglio situazioni che coinvolgevano persone è stata una imposizione della mia coscienza.
Ho avuto opportunità di scegliere il prezzo da pagare , ma ho trovato anche pesanti fardelli da cui non potevo sottrarmi. Essere impenditore e che come dici tu “manager” mi ha dato opportunità e rischi in prima persona.


( la seconda parte dell'intervista....)

p.s. Mauro Fantechi è interessato a continuare ed ampliare la discussione sul prezzo che si paga, sotto il profilo personale, nel realizzare i propri obiettivi professionali. Chi desidera può contattarlo anche direttamente: mauro.fantechi@par-tec.it

Thursday, April 17, 2008

Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte XII) Progettare la Comunità di Pratica

Vai all'indice dei paragrafi....


Fino ad ora uno dei concetti che ha trovato maggiore riscontro nelle grandi organizzazioni in generale, e nelle banche in particolare, è quello delle centralizzazione del controllo dell’informazione, anche interna.

Un’applicazione rigida di questo concetto confligge ovviamente con un metodo di lavoro alternativo che punta al coinvolgimento degli individui. Questo coinvolgimento non può essere stimolato se contemporaneamente l’individuo percepisce un’idea di “controllo” eccessivo.

Si tratta quindi, per il management, di fare un salto di qualità nei rapporti interni e di rimettere in gioco scelte consolidate, ma mio avviso, le potenzialità di crescita determinate da questo approccio sono enormi. Sono enormi sopratutto in relazione alla capacità dell’individuo (se stimolato) di portare all’interno della struttura aziendale conoscenza esterna, grazie alla propria abilità di networking individuale che, secondo la medesima teoria su cui si sono sviluppati i social network, indica in sei gradi di separazione che dividono ciascuno di noi da ogni altra persona e quindi dal suo sapere

Modello di progettazione della comunità

Come si vede il metodo collaborativo segue un principio che tende a destrutturare i processi e le stesse organizzazioni, quindi impegnativo da accettare. I passi del percorso organizzativo che occorre sviluppare possono essere sintetizzati come segue:

  1. progettare l’evoluzione della comunità, assecondando i naturali trend delle comunità senza necessariamente imporre un solo modello precostituito.
  2. Creare un dialogo tra interno ed esterno, ovvero favorire l’osmosi tra la conoscenza interna agli individui della comunità e la conoscenza disponibile.
  3. Promuovere diversi livelli di partecipazione per consentire a ciascuno di “usare” la comunità sulla base delle proprie esigenze
  4. Sviluppare aree pubbliche e private, per favorire le “cellule” di individui e gli individui stessi che troveranno spazi di conversazione individuali e collettivi.
  5. Focalizzarsi sul valore attraverso l’opera dei moderatori e degli individui più attivi per valorizzare il contributo dei singoli
  6. Stimolare il ritmo, ovvero evitare la perdita di interesse nei confronti della comunità combinando adeguatamente routine ed innovazione

Leggi gli altri paragrafi....

1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di pratica

Argomenti correlati:

-Intervista a Gianni Soreca IDC Consulting Director
-Focus su Zopa
-Focus su Boober, Intervista a Manolo Maffeis
-La percezione della comunicazione, R.Taverna
-Dati Abi 2007

Tuesday, March 18, 2008

Le aziende italiane che innovano: Blogmeter, ovvero l'arte di sapere "ascoltare" la Rete.

Oggi dedico spazio ad un prodotto, Blogmeter, di cui ho già parlato ampiamente in altri post che hanno, tra l'altro, stimolato un dibattito interessante, segno di un forte interesse nei confronti di questo tipo di tecnologie. Rispondono insieme Vittorio di Tomaso e Sacha Monottti, di cui traccio alla fine un profilo sintetico.


CB: Cominciamo, come al solito, con il nome della società e del prodotto.

BM: Al momento Blogmeter non è ancora un'azienda, ma un prodotto sviluppato da una joint-venture, costituita da specialisti nello sviluppo di tecnologie di web intelligence, analisi semantica e media research.


CB: Ho avuto modo di vedere Blogmeter all'opera e come sai lo valuto molto positivamente, ritrovandovi molte caratteristiche che penso siano fondamentali. Bello per esempio il vostro monitoraggio della campagna elettorale che vi ha guadagnato anche un'autorevole citazione da parte di Repubblica.
E' sempre difficile fare sintesi in questi casi, ma riuscite a descriverlo in poche righe?


BM: Blogmeter è una piattaforma di market/web intelligence il cui obiettivo è la comprensione e l'analisi delle conversazioni che avvengono nei social media (non soltanto blog, ma anche forum, newsgoup e social networks).
Lo scopo di Blogmeter è mettere ordine, nel mare magnum della conversazione online, per fornire ad aziende o istituzioni marketing e consumer insight partendo da informazioni fornite liberamente e spontaneamente quali le conversazioni che si trovano all'interno dei social media.


CB: Quali i principali campi d'azione di Blogmeter, il segmento di mercato ed i vostri interlocutori?

BM: I nostri intelocutori principali sono le aziende che considerano lapropria reputazione un asset fondamentale e/o che hanno un marchio forte, riconoscibile e dunque chiaccherato. Per queste aziende la comunicazione è ovviamente fondamentale e strategica; Blogmeter è parte della più ampia strategia di comunicazione aziendale rivolta ai media digitali: fornisce uno strumento di verifica e di misura di come le strategie di marketing e comunicazione (e non solo!) dell'azienda incidono sul buzz generato sui social media.


CB: Possiamo scendere un po' più nel tecnico e descriverne le componenti architetturali e le principali inovazioni tecnologiche?

BM: All'interno di blogmeter vivono un sofisticato motore di crawling, che naviga la rete alla ricerca di fonti interessanti da analizzare (una fonte, per noi, è interessante quando è un luogo di conversazione) e un motore di analisi semantica, basato su tecnologie proprietarie, che consente l'analisi e la comprensione (almeno per quanto possibile) di quanto viene detto in rete.
Esteriormente blogmeter si presenta come un'applicazione di intelligence intuitiva e facile da usare, che consente sia viste di insieme (cruscotti e grafici) che viste specifiche (identificazione delle conversazioni da tracciare, estrazione di concept cloud), fino alla possibilità di leggere ciascun singolo messaggio grazie ad un motore di ricerca interno.
Ad oggi esistono verticalizzazioni di Blogmeter (che implicano specifiche configurazioni dei crawler e dell'analisi semantica) su settori che vanno dall'automotive alle banche, dalla salute / benessere al cinema, dalla moda alla politica. Le fonti monitorate portano un numero enorme di messaggi mensili e di post: la nostra proiezione 2008 è di indicizzare e analizzare diversi milioni di post per ciascuna verticalizzazione.


CB: Quale e' il vostro modello di business?

BM: Blogmeter è proposto come sas. il cliente acquista un abbonamento per avere accesso al prodotto attraverso un'interfaccia di analisi web based inclusiva di supporto ed aggiornamenti constanti su temi e fonti monitorati. Non sono richiesti investimenti hardware o software e il roll out su un settore monitorato è pressochè immediato.


Vittorio di Tomaso dopo gli studi all’Università di Torino e presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ha intrapreso un percorso accademico, come visiting researcher alla Brandeis University di Waltham, Massachussets, come docente presso l’Università del Piemonte Orientale e la Libera Università di Bolzano. Attualmente insegna Informatica Umanistica all’Università di Torino. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche in Italia e all’estero, è attualmente membro della redazione di Sistemi Intelligenti, rivista di Scienza Cognitiva edita da Il Mulino.
E’ Ceo e co-fondatore di CELI, azienda italiana specializzata in tecnologie automatiche di analisi del linguaggio.

Sacha Monotti Graziadei ha lavorato per Ernst & Young Consultants e AGB Nielsen Media Research, leader mondiale nella rilevazione dell’audience televisivo. Nel 2006 ha deciso di tornare ai media digitali fondando Me-Source, società specializzata nello sviluppo di soluzioni innovative nei settori della “web intelligence” e della “social media analysis”.


ARTICOLI CORRELATI:

La percezione della comunicazione, l'indice Hespi
Individuazione e monitoraggio degli influencers
banking 2.0: intelligence e confronto con il mercato

Friday, March 14, 2008

Una discussione sulle potenzialità dell' analisi semantica per il monitoraggio del web e sullo stato dell'arte

Si è sviluppato negli ultimi giorni su questo blog un micro dibattito sull'analisi semantica di testi a proposito del post sul prodotto Blogmeter.

Ho pensato di evidenziare questa discussione perchè tratta un tema che mi appassiona molto e quindi provo a sintetizzare le considerazioni. Il miniforum si è svluppato sul commento di Marlon (che ringrazio per il contributo) che esprimeva qualche perplessità :

"Ho visto il sito (di Blogmeter) e non c'è scritto molto di concreto sul prodotto. Personalmente non credo possa fare realmente ciò che promette ed in particolare l'analisi semantica del "parlato" .... attendo smentite".

La sua è un'opinione non di un neofita in quanto ci racconta che "a livello universitario ho lavorato a tematiche simili sia perché adesso opero nel settore dell'Information Technology".

In effetti le sue perplessità sono assolutamente giustificate, perchè l'analisi semantica non ha dato in passato grandi risultati, ma in questo momento mi sembra che si stiano facendo passi in avanti.

Nel campo dell'analisi del linguaggio i risultati devono essere rapportati alla enorme difficoltà del problema, a causa degli infiniti modi di rappresentare un concetto e della difficoltà di trasferire alla macchina l'informazione di contesto, che invece è patrimonio del lettore. Questo spiega perchè la medesima informazione può essere recepita in maniera positiva o negativa da due lettori diversi.

In ambiti verticali specifici e con adeguato training dei sistemi si possono però avere risultati interessanti. Ovviamente quanto più è ristretto il dominio di conoscenza da osservare tanto più è possibile ottenere risultati corretti.

Paradossalmente lo stimolo alla ricerca è arrivato dal più drammatico episodio di terrorismo accaduto, ovvero l'attentato alle torri gemelle.

L'esplosione del problema di Al Qaeda, come network di cellule che utilizzano anche il web per comunicare e per ricevere ordini, ha impresso un'accelerazione degli investimenti in ricerca da parte degli Stati Uniti, ma anche le politiche di investimento della Comunità Europea nel campo del software puntano oggi molto su questi aspetti, all'interno del settimo programma quadro.

Alla discussione è intervenuto Sacha Monotti di Blogmeter (monitoraggio accurato!!!) che ci fa notare che "per avere un evidenza pratica di cosa può fare blogmeter basta seguire il monitoraggio sul buzz politico che stiamo portando avanti con spindoc:

http://mediameter.wordpress.com/osservatorio-buzz-politico-online/

http://www.spindoc.it/2008/03/07/il-pd-e-in-un-post-su-due-e-sfida-online-berlusconi/

(vi anticipo che nei prossimi giorni andremo a valutare in dettaglio quali sono i TEMI più cari agli italiani ;-))"

Aggiungo poi, che di tutti i temi che ho trattato, questo è uno di quelli maggiormente interessanti per me, infatti dal 2005-2006 seguo con attenzione lanalisi semantica e per un periodo, nella nostra società, abbiamo lanciato un laboratorio su cui abbiamo investito per ottenere questi risultati. Il progetto è stato poi sospeso a causa di sopravvenuti impegni di lavoro che hanno dirottato le risorse, ma non certo per mancanza di interesse.

Quindi ho osservato Blogmeter con occhio critico e devo dire che è una interessante implementatione, va nella direzione verso la quale abbiamo cercato di andare.

Mi sento però di dover fare alcune osservazioni:

Allo stato (e ancora per molto), l'analisi semantica produce buoni risultati ma ovviamente non può spiegare nel dettaglio di cosa parla un certo post e non può farlo di qualunque argomento o contesto.

L'obiettivo ragionevole è quello di aiutare l'uomo ad organizzare la conoscenza nella maniera migliore possibile, in considerazione dell'enorme mole di informazioni disponibili, che rappresentano al tempo stesso informazione e "noise". Questo si ottiene "facilitando" l'individuazione dell'informazione significativa ai nostri fini.

Un altro obiettivo è quello di desumere informazioni statistiche, che, in quanto tali, possono anche non essere corrette in un singolo dettaglio/post, ma hanno valore proprio nella loro visione di insieme.

A questo proposito il test sulla politica è esemplificativo. Aggiungo che se fossimo già in un mondo in cui il web rappresenta il principale canale di comunicazione, oggi saremmo in grado di avere delle proiezioni su un campione enorme e quindi molto affidabile.

Marlon poi sottolineava altri aspetti che sono:

- quali sono gli algoritmi di analisi semantica utilizzati ?
- quanto tempo "macchina" ci vuole per analizzare i blog ?
- quanto intervento umano di fine tuning è necessario ?
- ecc. ecc.

Qualche risposta cercherò di darla nell'intervista a Sacha e Vittorio che pubblicherò domani ma ovviamente li invito ad intervenire anche sugli altri aspetti.

Concludo con l'ultima considerazione, oggi la rete vede affermarsi fenomeni di conoscenza collettiva, da Wikipedia al social bookmarking. E' dall'integrazione di strumenti automatici con politiche e strumenti di collaboration che dobbiao di aspettarci di ottenere il risultato migliore nel campo della condivisione della conoscenza.

grazie a tutti per la discussione.

Wednesday, March 12, 2008

Auguri Giovanni !!!

Questo post non c'entra nulla con le banche, ma è mio saluto ad un caro amico, il giornalista e scrittore Giovanni Bernuzzi, che ha messo on line il suo sito/blog www.giovannibernuzzi.net.

Come in occasione di ogni nuova nascita mi precipito a fare gli auguri a Giovanni, che aggiungerà quindi alla carta stampata anche il web quale media di comunicazione. Un parto il suo annunciato e vissuto nei mesi scorsi, tra una pedalata sofferta sotto sforzo, o una più conviviale serata in compagnia.

Giovanni si occupa spesso di aziende e quindi il suo sito diventerà anche una nuova fonte di ispirazione e riflessione, anzi comincio subito... rubo dal suo libro Solo ma vero (2007) una frase sul mare che racconta molto anche di me..

"Amo il mare: quello azzurro dei Greci, il Mediterraneo, e quello verde dei Celti, dalla Lombardia all’Irlanda. Vorrei abitare in ogni isola, in ogni borgo e città di questi e di altri mari: essere altrove, più che viaggiare"

Monday, January 7, 2008

Una discussione in un forum su "coltivare l'eccellenza del team"(parte 3): fattori che influenzano la valutazione del contributo professionale

Continua dal post precedente.... (oppure vai al primo post su questo argomento)

Tra i fattori che occorre considerare tra i costi effettivi indotti dalla perdita di risorse di qualità ci sono il costo dell’inserimento di una nuova risorsa, in termini di produttività della stessa e dell’impegno richiesto ai colleghi per supportarla o compensare il deficit, la possibilità di introdurre personale inefficiente, la ridotta capacità di garantire la qualità del software e la generazione di nuove idee, la perdita irreversibile di know how aziendale.

Ho vissuto personalmente una situazione in cui a causa di una strategia incerta nei confronti di alcuni prodotti sviluppati da una azienda si è determinata la fuoriuscita delle persone più brillanti del team di progetto. Il deficit di conoscenza generatosi, sommato alla mancanza di una forte volontà di rilancio ha determinato la chiusura della linea di business legata a qui prodotti. Senza che fosse il mercato a decretare ciò, anzi, i competitor subentrati successivamente sul quel mercato hanno vissuto anni di crescita costante.

Quale è stato il danno patrimoniale all’azienda derivante da quell’insieme di fattori? In termini di mancati ricavi, perdita di contatti commerciali etc....

Inoltre c’è da osservare che gli altri due fattori citati (la ridotta capacità di garantire la qualità del software e la generazione di nuove idee) sono in grado di favorire l’economia di scala (replicabilità delle esperienze) e quindi di attenuare gli effetti negativi legati alle riduzione delle tariffe individuali.

Il fattore che meno di tutti viene preso in considerazione è che la scarsa motivazione influenza non solo la capacità di “ritenere” le menti più brillanti, ma diminuisce anche sensibilmente la produttività interna, in un pericoloso ciclo negativo in cui l’individuo poco motivato, o peggio osteggiato, riduce la propria capacità lavorativa e con tale atteggiamento induce a comportamenti emulativi anche gli altri individui del gruppo. Senza parlare della scarsa credibilità che il management matura nei confronti del team stesso

continua....

Monday, December 17, 2007

La percezione della comunicazione delle Aziende misurata su web e giornali e l'impatto della responsabilita sociale

Riccardo Taverna, partner e fondatore di B2 Comunicazione e di Ethics2Business, si occupa da anni di Reputation Management, CSR e Comunicazione al mercato finanziario. Grande appassionato di comunicazione ha sempre cercato di misurare l'impatto dell'esistenza di un'organizzazione sulle comunità e sui gruppi e i percorsi di formazione delle opinioni. E’ convinto che per superare le consuetudini con successo occorre miscelare innovazione e buon senso.



Sei l’ideatore di BSQ, per misurare il brand di una società quotata e di Hespi, indice di reputazione di un'impresa rimandata dalla stampa. Ma la reputazione ed il prestigio sono veramente misurabili?

La risposta necessita di una premessa. La reputazione ed il prestigio possono essere riconducibili ad un modello di percezione, cioè quello "schema mentale" al quale un soggetto fa riferimento, anche inconsapevolmente, quando si rapporta a quei temi. Ricostruendo lo schema mentale, attraverso il confronto con più soggetti, se ne possono identificare le dimensioni, i parametri, arrivando a misurarli. In questo modo concetti altamente intangibili quali rispettabilità possono essere resi misurabili e quindi un po' più intangibili. Dal punto di vista metodologico occorre specificare che il valore della misurazione è più significativo se si compiono rilevamenti successivi identificando un trend.



Il web ha dilatato la possibilità di produrre e far conoscere “opinione”. Questo facilita o rende più complessa la valutazione sulla comunicazione di una azienda o di una istituzione?

La rende più complessa perché bisogna comunicare correttamente attraverso più canali di comunicazione dedicando molta attenzione agli effetti prodotti dal canale stesso. Secondo me è necessario partire misurando il grado di credibilità che ogni soggetto attribuisce ai canali di comunicazione (tv, stampa, Web). Successivamente, all'interno del canale, la credibilità attribuita ai mezzi. A questo punto si può passare a misurare l'effetto della comunicazione sui target e quindi sulla reputazione e sull'immagine dell'impresa e/o dei suoi prodotti. Sì, ha reso la valutazione più complessa perché si è aperto il canale dei blog le opinioni dei quali sono più complicate da monitorare... ma noi ci stiamo lavorando.



Esiste una distorsione spesso tra come una comunicazione viene concepita e come invece viene recepita. Un fenomeno che sembrava in qualche modo controllabile con i media tradizionali, un pò meno con il popolo del web

La distorsione è un fenomeno naturale la causa della quale risiede sia negli emittenti che nei riceventi. spesso le aziende, nella comunicazione, danno per scontati dei concetti, allo stesso modo i lettori e i consumatori filtrano i messaggi con il loro vissuto. Gli intermediari della comunicazione, penso per esempio ai giornali, ci mettono del loro (... che lo facciano in buona fede o in cattiva fede non sta a me stabilirlo). A prescindere, la distorsione deve essere data per scontata e gestita monitorando le opinioni e la loro formazione e correggendo i messaggi. Il canale del popolo del Web ha allargato le maglie del controllo: sono cresciute le fonti di informazioni indipendenti. Penso ai già citati blog dove i consumatori possono esprimere liberamente le proprie opinioni, raccontare la loro esperienza rispetto a un prodotto, ad un servizio o addirittura ad un'impresa.



È vero come dice Grillo che oggi è più difficile ingannare i consumatori ?

Assolutamente si!



In verità, web o non web, la storia è piena di abili comunicatori di massa che riescono a far apparire il contesto differente dalla realtà. I dittatori non sempre sono partiti controllando i media, ma hanno generato lo stesso consenso. Certamente li hanno controllati per il mantenimento dello stesso. Anche i televenditori, spesso presi in giro, sono fenomeni mediatici di successo. Come può un’azienda o un uomo politico monitorare il consenso o indirizzare la formazione dell’opinione?

Si può monitorare il consenso, si deve monitorare il consenso. Con questo intendo che occorre assicurarsi che i pubblici percepiscano correttamente i soggetti, per quello che sono realmente. Peccherò di ingenuità ma le prime qualità di un comunicatore devono essere la credibilità e l'integrità, anche perché con il cambiamento dei modi di comunicare le bugie avranno le gambe sempre più corte. L'unica cosa che temo è la pigrizia delle grandi masse di andare a cercare informazioni da fonti indipendenti.

Tuesday, December 4, 2007

Interruzione pubblicitaria....

Si questo è da considerarsi un messaggio promozionale. Ho deciso che il web mi consente anche di realizzare un piccolo desiderio, posso diventare autore... senza pretese ovviamente, ne di fama ne successo. Solo per il gusto di farlo... non è questo uno dei piaceri della vita?
Avevo scritto un racconto breve e lo pubblico sul mio website. Se poi due persone lo leggeranno (escluse mia madre e le mie sorelle) sarò felice. Se riceverò un anche commento (positivo o negativo) sarà un successo!!!

Friday, November 30, 2007

Un nuovo motore che mette insieme linguaggio naturale e wikipedia

E' apparsa la notizia su un progetto da seguire con interesse. Parlando di innovazione avevo citato tempo fa l'Expert System, società italiana di tecnologia con un respiro internazionale.

Un loro recente progetto riguarda un motore di ricerca basato sul linguaggio naturale (loro tradizionale cavallo di battaglia), associato alla knowledge base di Wikipedia. Il coraggio di investire premia anche in Italia.

http://www.technorati.it/2007/11/29/askwiki-il-motore-di-ricerca-intelligente/

Tuesday, October 30, 2007

Sondaggio: le aziende italiane che fanno innovazione. Miki Fossati ci parla del motore di ricerca semantico





Questa di oggi è la mia prima segnalazione nell'ambito del mini sondaggio che sto facendo sulle aziende italiane che innovano. Quella di oggi è una conversazione con Miki Fossati, CEO di "Nel Web" (http://www.improntenelweb.it). Miki è uno dei più antichi abitanti della blogosfera e si occupa di edizioni online (ultima produzione in ordine di tempo è 'Archphoto rivista digitale di architettura arti visive e culture' – http://www.archphoto.it). Insieme ad Andrea Baresi (http://www.webdomus.it/tao) ho sviluppato il primo aggregatore semantico sperimentale in Italia. Il suo blog è http://mezzomondo.nelblog.it


Una delle componenti principali del web 2.0 è la ricerca semantica. Tu sei uno dei primi ad avere realizzato un motore di ricerca semantico in Italia, quali risultati ed in quali contesti può essere più utile di un motore generalista come Google?

In effetti i motori semantici ed i motori di ricerca della generazione di Google fanno due lavori molto diversi tra loro. Tipicamente il valore semantico delle singole chiavi di ricerca che vengono utilizzate nei motori di ricerca è molto piccolo se non addirittura nullo e spesso è un lavoraccio riuscire ad estrarre il 'significato' da così pochi termini potenzialmente ambigui. Vien da dire che è impossibile, addirittura. I motori semantici operano sulla stessa materia prima, il testo, ma senza frammentarla cercando di riconoscere al suo interno alcuni pattern che possano far dire loro “ci siamo!”, “eccolo!”, “si sta parlando di questo!”. Una volta delineati gli argomenti di interesse un motore semantico è in grado di scandagliare la Rete alla ricerca di chi parla di quegli specifici argomenti e di esprimere valutazioni di “affinità” di quanto via via viene trovato. Chissà, le prossime generazioni dei motori di ricerca saranno forse in grado di fare entrambe le cose, cercare singole chiavi ed evidenziare aree comuni di significato all'interno di insiemi di testi.


Senza naturalmente svelare i tuoi segreti industriali, puoi brevemente spiegare, a scopo didattico, su quali concetti e tecnologie si basa un motore semantico?

Un motore semantico è un robot che ha imparato a leggere e a capire il significato del testo che sta leggendo. Essendo un robot è molto veloce ed è in grado di leggere decine di migliaia di testi al secondo, è in grado di incasellare nelle aree semantiche a cui è stato addestrato questi testi ed è in grado di creare relazioni di “affinità”, come dicevo, tra i vari testi. La difficoltà sta nel fatto che gli strumenti che si utilizzano per raggiungere questo scopo sono multidisciplinari: teoria dei modelli, informatica, linguistica computazionale, intelligenza artificiale.


E le tue esperienze pratiche di utilizzo del motore?

Il motore ha circa un anno e mezzo di vita ed è stato utilizzato con buoni risultati durante i mondiali di calcio dell'anno scorso (http://www.moltomondiale.it) e durante il festival di Sanremo di quest'anno (http://www.improntenelweb.it/sanremo2007), due versioni oggi “congelate”. La sua incarnazione attuale si può ammirare su http://www.moltomoda.it un aggregatore semantico sulla moda italiana pubblicato grazie alla collaborazione di Mondadori.


Gartner, in un suo recente studio, ha detto che le aspettative di maturazione delle tecnologie, relative ad i motori semantici, sono attesi in un arco temporale di 10 anni... prudenza eccessiva o realtà?

Non sono mai stato bravo con le profezie e non ho la minima idea di come possa essere la Rete ed il suo mercato fra dieci anni. Di certo i motori semantici rappresentano una frontiera che prima o poi bisognerà varcare. La mia esperienza dice che la tecnologia è più che pronta per affrontare la sfida ed il problema risiede soprattutto nella disponibilità degli investimenti. Non è escluso che qualcuno dei grandi attori di Internet si sia già mosso in questa direzione, Google in testa.


Sempre la medesima analisi di Gartner indica il web 2.0 nella cosiddetta fase di riflusso prima della definitiva maturazione. In parte concordo, visto la generale assenza, negli ultimi tempi, di novità tecnologiche, però da un punto di vista del successo di pubblico, mi sembra siamo ancora nella fase dell’entusiasmo, tu cosa ne pensi?

Che l'Italia vede la Rete da un minuscolo spiraglio, resta da capire se questo spiraglio si trova nella testa delle persone o dove altro. Il problema della partecipazione è fondamentale nel nostro paese. Quello che gli analisti leggono come “successo” è in realtà lo specchio di una situazione miserabile, generare un traffico di un milione di visitatori al giorno dovrebbe farci domandare: “quanto diffusa è questa informazione?”. Poco. In Francia quello che succede sulla Rete lo sanno tutti, in Italia non lo sa nessuno, ministri compresi.


Qual’è secondo te lo stato del mercato, l’offerta c’è.. ma la domanda è già in uno stato di maturità?

Lo stato della domanda è desolante. I VC italiani con i quali sono entrato in contatto nell'ultimo anno si sono dimostrati di un'ignoranza e di un'incompetenza sconfortante, senza eccezioni. Lo stato del mercato? in Italia il mercato lo devono ancora costruire, in Italia il mercato non esiste proprio. Novità sulla Rete che si possano definire “di mercato” nell'ultimo anno non ce ne sono state e temo che dovremo attendere la morte, fisica, di molti dei manager delle grandi aziende per poter avere quel ricambio generazionale e di mentalità che tutti stiamo aspettando.


Beh.. basta una buona pensione... tornando al tema, chi fa vera ricerca in Italia?? Qui, dove l’informazione è libera e non abbiamo problemi di budget, possiamo dire che ci sono tante realtà, come Impronte nel Web, che fanno vera innovazione?

L'innovazione proviene da NelWeb al prezzo di rinunce ed enormi sacrifici personali e questa situazione è condivisa da alcune delle realtà di livello con cui sono entrato in contatto grazie all'esperienza dell'aggregatore semantico. L'unico ossigeno in questo panorama proviene dalla “superiore attività civilizzatrice dell’Unione Europea” della quale ogni tanto è possibile approfittare ma nella quale però non è sempre possibile sperare. In Italia vedo nascere ogni giorno progetti interessanti e di ottima qualità, appetibili anche a livello internazionale, e li vedo restar lì ad attendere languidi nel deserto.

Thursday, October 11, 2007

Il Blog di Alessandro Robecchi, il web 2.0 visto da un giornalista

Alessandro Robecchi è giornalista, scrittore ed autore televisivo, ha una reputazione da difendere eppure è stato cosi gentile da essere il primo ad accettare di conversare con me in questo spazio. Lo ringrazio per questa sua fiducia...

Per i pochi che non lo conoscono wikipedia ospita un suo breve profilo (wikipedia.org/wiki/Alessandro_Robecchi) oppure la sua produzione (e profilo) è raccolta nel suo blog www.alessandrorobecchi.it

Alessandro, sei un giornalista, scrittore e autore televisivo... io invece mi occupo di tecnologia per una azienda che sviluppa software e la mia attività è prevalentemente commerciale... però in questo caso sono io a sollecitarti una ”intervista” (si fa per dire... nessuna pretesa da parte mia...). Non lo trovi per lo meno un pò contorto? E’ questo il web 2.0???

Beh, non troppo contorto. Io faccio il giornalista, ma non credo che i giornalisti debbano avere il monopolio del far domande…

Alcune rilevazioni dicono però che la percentuale di chi contribuisce “uploadando” contenuti nei siti di social networking è bassissima rispetto al totale dei visitatori, 0,16% per YouTube il 0,20% per Flickr... sembrerebbe un bluff, nella realtà il web non si differenzia dal modello televisivo dove la fruizione è essenzialmente passiva. Si allarga solo il palinsesto...

Credo che la differenza sostanziale sia la possibilità, non l’effettiva quantità degli upload. Cioè: il sistema permette di intervenire, volendo, di aggiungere e di aumentare la massa delle informazioni. Già questo – pure se uno non "uploada" niente – cambia la prospettiva. Un sistema aperto è meglio di un sistema chiuso anche se ci entrano in pochi. Credo.


Una delle motivazioni addotte per spiegare il grande successo del web, come medium di comunicazione, è che ognuno può pubblicare ciò che vuole e che questa libertà garantisce maggiormente la veridicità dell’informazione, perchè non viene da una fonte “istituzionale”, con interessi alle spalle, e perchè il trust degli utenti smascherebbe comunque eventuali falsi. Questo mi sembra certamente vero in una fase di pre-espansione, ma poi ho paura che questa arena sarà occupata da webpredicatori, o inquinata ad arte per minarne la credibilità. Corriamo questo rischio? Qualcuno ucciderà il social networking?

Quello che tu vedi come un difetto, o come un rischio mi sembra invece una conferma: l’utente non può restare passivo. Se trovo una notizia sul sito di Pincopallino, la sua credibilità è un po’ diversa che se la trovo sul sito della France Presse. Questo fa in modo che quando trovo la notizia, vado a cercare altre fonti, affino la mia ricerca e valuto conferme o smentite, o diverse versioni. In realtà credo che la struttura dinamica sia ancora un po’ oscura alla grande massa degli utenti. Spesso si considera un’informazione come conclusa in se stessa, ma non è mai così: ogni informazione contiene elementi per cercare meglio e precisare quell’informazione. In questo modo il processo di informazione si fa collettivo (gli utenti controllano), ma anche stratificato (ogni utente può controllare più fonti). Spesso si parla del fatto che la grande quantità di informazione finisca per annullare l’informazione, ma questo è vero solo per un uso distratto e superficiale. I giornalisti controllano molte volte prima di scrivere… perché questo non dovrebbe farlo (imparare a farlo) anche l’utente normale in fase di ricerca? E’ possibile che qualcuno ucciderà il social networking, ma certamente lo farà qualcuno per cui la parola scomoda non è networking, ma social…


Non vorrei sembrarti un pessimista, ma, quando osservo cose che mi piacciono, cerco prima di capire se c’è qualcosa che non va. Dietro i giganti del social networking ci sono Murdoch, Google, Yahoo oppure dietro alcune iniziative di giornalismo sociale comunque dei giornalisti famosi. Forse già oggi l’informazione del web non è poi cosi libera...

Il problema è che molto spesso si tende a considerare l’informazione come un non-lavoro, o se preferisci come un lavoro che non necessita di professionalità. Sapere una cosa non basta quasi mai. Bisogna dimostrarla, controllarla, cercare altre fonti. E’ un lavoro che costa, ed è per questo che i grandi editori sono così forti, perché possono muovere risorse anche enormi per affinare il servizio. Per quanto riguarda i giornalisti famosi… direi che torniamo al problema della credibilità: c’è chi si è fatto un suo nome, ha un suo pubblico e tutto l’interesse a difendere la propria credibilità. Posso prendere l’informazione da uno qualsiasi, da un professionista o da un mitomane, e tendo a supporre che chi ha già un nome sul mercato dell’informazione non metterà in rete cose false. Anche qui, però, il discorso è generale, le eccezioni possono essere numerose. Ma se so che il tizio scrive su un importante quotidiano, che ha pubblicato dei libri sensati, che ha una schiera di lettori che lo apprezzano, beh, tendo a fidarmi di più. Soprattutto perché quando le notizie sono scritte bene indicano anche la fonte o almeno danno qualche elemento per cercare riscontri. Se io leggo una frase… “come scrivono i giornali inglesi…” può venirmi qualche dubbio. Se si dice “come ha scritto il Guardian il giorno tale”, mi si offre la possibilità di controllare. Sarebbe ora di dire che fare informazione non è così facile, rilassante e riposante come si vuol far credere


tu sei uno scrittore di satira... talvolta cattiva, come deve essere la satira, da qualche tempo hai aperto un tuo blog, www.alessandrorobecchi.it, cosa ti aspettavi e cosa ne pensi oggi? Grillo addirittura da un blog oggi lancia un partito travestito da “bollino blu”....

Sinceramente il mio è un blog sui generis: non è una tribuna aperta, io pubblico quello che già esce sui giornali, in questo caso è una specie di archivio commentabile e consultabile, anche se ogni tanto qualche pezzo satirico soltanto per il sito lo pubblico. Dunque non è che mi aspettassi chissà che. Le motivazioni erano essenzialmente due: raccogliere un lavoro un po’ dispersivo (un quotidiano, vari periodici, varie trasmissioni tv) in un corpo unico, rispondendo così alla “domanda” di “pubblici” diversi, e magari unendoli in un unico “pubblico”. L’altra motivazione è stata di tipo difensivo. Mi sono trovato ad avere 70.000 citazioni con il mio nome su Google e mi sono un po’ spaventato: molti ti citano male, ti travisano, pubblicano stralci senza dire il contesto… insomma, non mi andava di essere citato così casualmente, anche se la maggior parte lo fa in buonafede, oppure trovare biografie un po’ fantasiose, o vedermi tra gli autori di cose che non ho mai fatto… il mio sito è nato anche come un’assicurazione su queste cose, diciamo che in mezzo a tutte quelle citazioni un po’ “anarchiche” ho voluto mettere anche una specie di riferimento ufficiale. Chi vuole sapere chi sono e cosa scrivo può cercare ovunque, io posso solo garantire che quel che trova sul mio sito è l’originale… Quanto a Grillo, è un discorso complesso, l’antipolitica è una forma della politica che mi lascia freddino. Che si possa fare tutto ciò partendo da un blog non mi stupisce e non mi scandalizza… ricordo che “gli esperti” Tony Blair, per dimostrare che Saddam aveva armi di distruzione di massa, copiarono qui e là un po’ di documenti dalla rete… Se con la rete si può dichiarare e combattere una guerra illegale, perché non si può dare i bollini ai partiti?

L’offerta dei social network sta diventando un pò ripetitiva, cosa ti piacerebbe veder nascere da utente del web?

E’ una domanda difficile, perché secondo me le previsioni in materia sono pura follia: la cosa è troppo veloce per prevederla o anche solo immaginarsela. C’è un altro problema… qualunque cosa io possa desiderare dal web sono quasi sicuro che salterebbe su qualcuno a dire… ma c’è già!


Verba volant è la tua striscia quotidiana televisiva sul significato e l’uso delle parole, come cambia il linguaggio del web “sociale”? Gli sms contraggono e stravolgono l’uso del linguaggio, ed il web migliorerà o peggiorerà l’utilizzo dell’italiano? In fondo potrebbe essere un nuovo stimolo a scrivere...

Delle settemila lingue “vive” che esistono nel mondo, ne scompaiono varie centinaia all’anno… si sta riducendo ovunque la biodiversità del linguaggio e tra un secolo tutto il pianeta parlerà due o tre lingue al massimo, questo pare certo. Per il resto, io credo che sia fatale: il telefono ha cambiato il modo di parlare, la radio ha cambiato il modo di dire le cose, la tivù pure, gli sms anche. Word mi dà una possibilità di intervenire sulla struttura di quello che scrivo più di una macchina da scrivere, che a sua volta era migliore di una tavoletta di cera… la lingua si evolve, cambia, si strizza e si modifica, io non me ne scandalizzo perché so che è inevitabile. Se uno lo vede dal punto di vista filologico, o da accademia della Crusca, certo, il nostro italiano peggiorerà, ed è già molto peggiorato con la tv. Pure, ci sono degli anticorpi: la gente scrive di più, butta giù due righe, articola concetti e sceglie delle parole… chi lo fa impara a distinguere se una cosa è scritta bene o male, cioè lo spero. In ogni caso è bene che chi scrive sappia scrivere, perché se una cosa è scritta, o detta, male, perde molto del suo valore e della sua credibilità…


Ho in sottofondo la canzone di ligabue per questa chiacchierata... “ho tre domande per te, chi prende l’inter...” ma per questa prima domanda aspetterò un’ occasione più seria... grazie.