Friday, November 30, 2007

Per l'ABI, nel 2006, ha corso il banking multicanale. E' vero, ma in realtà corre ancora troppo lentamente

Il titolo del comunicato ABI del 26 novembre scorso da enfasi alla crescita dei conti on line, “un conto su tre corre su internet e telefono”, ma a leggere i dati (si parla ancora del 2006..) non ci troviamo ancora di fronte all’atteso “salto di qualità”.

Infatti, del terzo di conti correnti citato (37%, il 34% per il solo internet) solo il 58% utilizza abbastanza frequentemente canali alternativi, portando quindi, in realtà, al 20-21% i conti concretamente attivi.

C’è da aggiungere che la percentuale d'uso è fortemente influenzata dalla semplice consultazione, 462 milioni di operazioni contro i 262 dell’anno precedente, facendo due conti, il 76% in più; tant’è che lo sbandierato aumento del 25% dei conti on line si traduce in un 19% in più tra coloro che effettivamente lo utilizzano.

Con questa progressione (ammesso quindi che non decresca) ci vorranno altri 8-9 anni per superare il 50% dei conti correnti.

In una situazione di espansione sarebbe legittimo aspettarsi qualcosa in più, più facile fare incrementi grandi quando un fenomeno è agli inizi (se passo da un conto on line a due, in un anno, ho realizzato il più 100%... ma anche un pessimo risultato), piuttosto che quando si è raggiunti il punto di stabilizzazione o addirittura di riflusso.

Altra spia non positiva è la stabilità d’uso per i pagamenti diversi dal bonifico (Riba, bollette, F24...) paragonabili al 2005 e solo il 2% del totale.

Credo che questi numeri testimonino comunque una certa difficoltà di crescita del mercato, le cui cause sarebbero da investigare con attenzione. Io credo che ancora ci sia una certa difficoltà delle banche nello spingere i canali alternativi, anche per operazioni semplici, privilegiando il canale distributivo diretto.

Difficile dire se questa scelta sia giusta o meno, perché se da un lato si possono migliorare i processi (e quindi i servizi), in realtà educare il cliente ad essere indipendente, anche solo su cose banali, può essere controproducente, allentando il rapporto diretto tra cliente e personale di filiale. Il consumatore diventa più consapevole, quindi più critico ed esigente.

Risulta, a questo punto, poco allineato il pensiero del direttore generale dell’Abi, Zadra, che sostiene che “utilizzare strumenti di pagamento moderni, dal bonifico online alla carta PagoBancomat, significa non solo più efficienza, velocità e sicurezza per le famiglie e le imprese, ma anche contribuire in modo significativo all’opera più generale di ammodernamento del Paese”.

Accompagnando una amica presso una filiale Intesa, ho scoperto che la novità introdotta un bel po’ di tempo fa, ovvero la corsia preferenziale per chi si fa riconoscere all’ingresso via bancomat, è in realtà poco utilizzata. Siamo entrati ed in 30 secondi (tra gli sguardi incattiviti degli altri utenti) eravamo allo sportello. Sarà stato un caso particolarmente fortunato ma ho il dubbio che alle altre 20 persone almeno la metà di loro avesse in tasca il bancomat. Perché non sfruttavano questa possibilità?

La mia amica mi ha confermato che quella situazione si ripete quasi sempre...

Eppure il consumatore non deve essere così refrattario alla tecnologia....

Per quanto riguarda i mercati finanziari, infatti, ormai la maggior parte delle operazioni avviene in maniera digitale, con il contributo diretto dell’utente, e leggendo bene i dati del comunicato ABI comincia ad avvenire lo stesso per i Bonifici.

E’ questa la principale operazione dispositiva effettuata dagli utenti, con 19 milioni di operazioni on line, un quarto del totale, quindi con un percentuale superiore a quella degli utilizzatori effettivi del web (ricordate? 20-21%).

Il comunicato non dice purtroppo se si tratta di dati della clientela retail, completamente disaggregati rispetto a quelli della clientela corporate, ovvero le aziende. Sarebbe infatti interessante capire se le aziende, dove immaginiamo una maggiore cultura tecnologica, influenzano il dato, e se, e come, viene utilizzato il canale web dalle aziende italiane.

Un nuovo motore che mette insieme linguaggio naturale e wikipedia

E' apparsa la notizia su un progetto da seguire con interesse. Parlando di innovazione avevo citato tempo fa l'Expert System, società italiana di tecnologia con un respiro internazionale.

Un loro recente progetto riguarda un motore di ricerca basato sul linguaggio naturale (loro tradizionale cavallo di battaglia), associato alla knowledge base di Wikipedia. Il coraggio di investire premia anche in Italia.

http://www.technorati.it/2007/11/29/askwiki-il-motore-di-ricerca-intelligente/

Monday, November 26, 2007

La conoscenza del web sembra sconfinata, in realtà è sintetica e pilotata. Come affrontarla ed il contributo del social networking (seconda parte)

Nel post di ieri abbiamo osservato che ci sono quattro concetti che apparentemente danno una connotazione, se non altro non positiva, alla “nuova” conoscenza.

> Brevità, il concetto deve essere espresso nel minor numero di righe possibile
> Ampiezza della ricerca, una pagina, per “esistere” realmente sul web, deve essere correttamente indicizzabile. Da questo derivano in cascata:
>>> Un contenuto presentato nelle primissime pagine è in se considerato autorevole
>>> Un contenuto presentato sufficientemente bene, su un sito sufficientemente adeguato al tema in questione, può essere considerato autorevole.

Questa considerazioni appena fatte sulla conoscenza nell’era del web però non sono intrinsecamente negative nel complesso, anzi.

Dobbiamo infatti considerare che possiamo avere informazioni più velocemente e su di un maggior numero di temi, inoltre questa fase di approfondimento così rapida favorisce anche la possibilità di ripetere l’operazione più frequentemente, tattica questa che aiuta nella ricerca. Ad ogni step, infatti acquisirò pochi concetti per volta, e quindi presumibilmente meglio, inoltre ai successivi approfondimenti partirò da una knowledge base già acquisita che mi permetterà una ricerca ed una analisi maggiormente responsabile dei contenuti.

E’ un poco come la questione, emersa da tempo, delle calcolatrici e dei fogli di calcolo che per riflesso hanno ridotto la nostra capacità di fare calcoli “manualmente”. Questo è sicuramente vero, ma hanno dilatato la nostra capacità di ottenere risultati complessi. Fondamentale a questo punto mettere in atto tutte quelle precauzioni che ci consentano di non subire danni da questo vulnus acquisito.

La definizione delle best practise per giovarci solo dei pregi della situazione e non subirne le conseguenze negative.

Ciò che sta accadendo quindi non è di per se un fatto positivo o negativo ma è sicuramente un fattore di cui tenere conto, deve cambiare la nostra abilità di produrre informazione.

L’informazione deve essere sintetica e ricca di approfondimenti che non espandano direttamente il contenuto principale del post (lunghezza del testo), ma piuttosto utilizzano la struttura ramificata abilitata dai link, per lasciare all’utente la possibilità di navigare l’informazione in relazione ai temi di suo maggiore interesse e pertinenza ed in relazione alla propria capacità di acquisizione di quantità rilevanti o meno di informazioni.

Queste considerazioni danno maggior risalto alle possibilità di utilizzo dei sistemi di social networking nel campo della conoscenza condivisa, sia essa aziendale o meno.

Il tagging, il social bookmarking etc. diventano sistemi eccellenti che coadiuvano la semplice pubblicazione o ricerca di contenuti. Infatti, in relazione alla mappa mentale che ciascuno degli utenti si costruisce a riguardo dell’attendibilità degli altri utenti in un network, o semplicemente all’importanza che egli attribuisce alla numerosità di segnalazioni su un dato argomento, è ovvio che ogni utente trae un enorme giovamento dagli ambienti collaborativi.

Questo mutuo supporto permette di trovare più facilmente i contenuti obiettivo di una ricerca, perché il supporto degli utenti permette di evidenziare, con maggiore semplicità, cluster di informazioni pertinenti e non, informazioni banalmente somiglianti. Se ricerco il mio nome in rete scopro informazioni su un rimorchiatore, Carlo Bruno affetto da SLA (a cui va tutta la mia solidarietà), un celebre musicista, uno un po' meno celebre ecc..

È chiaro che in un ambito ristretto, la mia azienda o i miei rapporti professionali, ha senso solo ciò che è relativo alla mia attività. L’esempio è banale ma mi serve per chiarire che una ricerca, supportata da meccanismi collaborativi evidenzia solo i risultanti interessanti in un dominio specifico, seppure questi, come nel mio caso, non siano di rilevanza assoluta.

il contributo del socal network verticale supporta questa necessità di far emergere conoscenza, altrimenti probabilmente nascosta.

carlo bruno
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La conoscenza del web sembra sconfinata, in realtà è sintetica (poche righe) e pilotata. Come affrontarla ed il contributo del social networking

Questo post in realtà è più che altro uno spunto di riflessione, per capire se alcune delle mie personalissime sensazioni sono condivise o sono solo elucubrazioni personali.

Ho aperto infatti il blog per condividere le mie esperienze sul web 2.0, sull’innovazione nelle aziende italiane e su come questi concetti astratti vengano concretamente recepiti nel mondo delle banche (ora va di moda il Banking 2.0) e nelle aziende, ovvero a raccogliere feedback da persone che si occupano, da punti di osservazione diversi, di questi temi.

Oggi vorrei riflettere su come è cambiato, se è cambiato, il processo di apprendimento individuale grazie ad internet. Dall’osservazione di alcuni di questi fattori possiamo derivare infatti considerazioni sul migliore utilizzo di strumenti di diffusione della conoscenza.

In realtà, una prima condivisione di questi concetti l’ho riscontrata in una serie di esperienze dirette, fatte negli ultimi tempi, come con il “collega” blogger, gianmoenia, che mi ripete spesso di essere più conciso nel trattare i vari argomenti, oppure quando un altro collega (questa volta d’ufficio) mi ha espresso qualche giorno fa la sua difficoltà a concentrarsi a lungo durante un’unica “azione di apprendimento”.

Diceva di se che, essendosi abituato ad approfondimenti brevi del web, traspone ormai questa attitudine anche in altri campi, avendo difficoltà prestare attenzione a lungo. per esempio, a programmi televisivi o alla lettura di riviste.

Non mi è nuova questa sensazione, quando mi capita di leggere una pagina web molto lunga, occorre che il testo sia veramente interessante perché questo mi induca ad arrivare fino in fondo. Ma altri temi di riflessione sono collegati.

L’ampiezza delle fonti e dei contenuti disponibili in rete sembra apparentemente più scoraggiare l’approfondimento che favorirlo. È vero che oggi rapidamente riesco a rintracciare informazioni su qualunque argomento, ma quanto sono veramente disposto a verificare tali fonti? Uno studio (anche qui... quanto io stesso l’ho verificato??) sostiene che 81% delle persone che utilizzano un motore di ricerca arriva a consultare circa tre pagine e addirittura il 56% si ferma alla prima.

C’è da dire che questi risultati dipendono anche dall’incapacità, per ciascuno di noi, di fare la domanda giusta al primo colpo, questo determina che probabilmente riformulerò una domanda più volte, prima di approfondire i risultati. E’ d’altra parte reale osservare che, nella maggior parte dei casi, le prima pagine vengono ritenute sufficienti per costruirsi una propria opinione o per saperne di più su un dato argomento.

Il terzo argomento di riflessione riguarda la “cessione” di competenza che pratichiamo nel momento in cui ci fermiamo nella ricerca dopo poche pagine. Assumiamo infatti, pur ignorando il criterio di funzionamento degli algoritmi utilizzati da Google & C., che in qualche modo i primi ad essere esposti sono probabilmente i più significativi ed interessanti. Se riflettiamo un attimo, il fatto che in realtà esistano vere e proprie specializzazioni professionali che studiano come migliorare la “ricercabilità” delle pagine web, significa che, quando otteniamo una risposta da Google, stiamo osservando solo quelle pagine che, casualmente o per un lavoro esplicito, hanno meglio “matchato” le capacità di analisi dei motori.

Medesima autorevolezza la riconosciamo anche alla fonte che viene valutata credibile o meno in base spesso a pochissimi criteri, quasi “epidermici”. In definitiva una informazione mordi e fuggi, ma è necessariamente tutto ciò un fatto negativo

prosegue.... "come è cambiata la conoscenza nell'era del web 2.0, pro, contro ed il contributo del social networking"

carlo bruno


Wednesday, November 21, 2007

L’elogio dell’ozio, non un vizio, ma l’abilità di riflettere senza necessariamente agire. Un valore per persone e aziende, ed una pratica ambientale

Non so se dipende dalle mie origini mediterranee o invece dalla mia naturale propensione verso l’arte e quindi verso la contemplazione, ma la cultura della iperattività non mi appartiene.

Me ne accorgo in particolare quando al mattino, letteralmente, “attraverso” le stazioni della metropolitana milanese, mi sento un pesce che nuota controcorrente e mi chiedo… ma cosa ci sarà di così impellente da dover correre?
Credo che qualcuno, che probabilmente non ci amava, ha seminato nel nostro futuro, questo concetto insidioso che ormai serpeggia nelle nostre menti, in tutti i maledetti momenti della nostra giornata.

Io cerco, quando posso, di praticare l’ozio.

Ciò non di meno ritengo di essere efficace nelle cose che faccio.

Una contraddizione?

No… l’ozio, nella concezione che ho di esso, è la capacità di non fare, e di meditare prima di agire, e questa capacità è un valore. Le migliori riflessioni riesco a partorirle nelle notti in cui il mio corpo rimane forzosamente sveglio, mio malgrado. Quella condizione di “non azione” e di riflessione, impostami (dal mio corpo), mi permette di concentrarmi sui problemi, senza l’incubo e l’ossessione di “produrre” un risultato.

Il management di Google, l' azienda che meglio rappresenta la capacità di crescita negli ultimi anni, lascia, anzi incoraggia, i propri dipendenti liberi di sperimentare. Credo che questo modo di coltivare la propria intelligenza sia molto più efficace di una ossessionante ricerca dei risultati.

I miei studi classici hanno inizialmente supportato (o giustificato?) questa convinzione, con la memoria del “De Otio” di Seneca e con “L’elogio” di Bertrand Russell. Ma poi, avendo deciso di scrivere questo post, sono andato a cercare qualcosa di più preciso sul tema.

E mi sono accorto di non essere solo...

Stevenson nel 1877 scrive "Dobbiamo rivalutare il significato di ozio dandogli la connotazione positiva di ricerca del piacere all'interno del difficile mestiere di vivere".

Il Wu e ed il Wu wei, azione e non azione nel Taoismo;Seneca, nel suo “De Otio” afferma che l’uomo è saggio sia nell’azione che quando si dedica all’ozio, inteso come contemplazione e riflessione, così come sempre l’arte della contemplazione è l’oggetto dell’Elogio dell’Ozio di Bertrand Russel.

Ma la scoperta più interessante che ho fatto è che internet ha reso addirittura l’ozio una virtù. Scrive il il mio conterraneo, il sociologo De Masi, già nel 2000:

Sì, lo dico e lo teorizzo. Il mercato del lavoro è così cambiato che richiede creatività, flessibilità. Permette cioè di mescolare tutto. Produzione, gioco, vita privata. Io credo molto di più ad un modello di sviluppo latino che a quello anglosassone. Dove il ritmo della vita non viene sacrificato in nome della carriera. Sapete cosa rispose Napoleone quando il pittore David gli domandò in quale posa volesse essere ritratto? Sereno su un cavallo imbizzarrito, disse Bonaparte. Ecco la mia sensazione è che gli italiani siano imbizzarriti su un cavallo sereno. Cioè frenetici a vuoto...

.... L'ozio creativo è quella parte della vita che noi dobbiamo recuperare, e che le professioni della new economy ci permetteranno di esprimere. Orari flessibili, possibilità di lavorare da casa, di giorno, di notte, quando si vuole
”.

E proprio l’ozio creativo di De Masi viene recepito come pratica di conoscenza aziendale. Di segno opposto le considerazioni di Paul Lafargue, genero di Karl Marx che invece combatteva il mito del lavoro ad ogni costo, considerandolo un mezzo “pacifico” di oppressione dei lavoratori: “Lavorate, lavorate, proletari per far più grandi la fortuna sociale e le vostre miserie individuali

Piuttosto mi chiedo “quanto sarà difficile” per alcuni tornare ad oziare.

Chi riuscirà a fermarsi e a scendere da questa giostra, mentre tutto il mondo corre e vuole che si corra? Non sarà facile perché non siamo più abituati a farlo... essere fermi al centro ed osservare il mondo intorno, toccarlo, annusarlo ed ascoltare... ascoltare il silenzio. E li che comincia la parte difficile... e poi... ...toccherà pensare.

Mi incoraggia sapere che l'ozio è “verde” ....

Si.... nel mio viaggio nel web alla ricerca di notizie ho scoperto un pezzo di Rita Imwinkelried che afferma che “L'ozio è un grande regalo all'ambiente: evita l'inquinamento dell'aria, non produce rumore, non sporca l'acqua, non consuma risorse, insomma, è a "impatto zero”.

Quest'anno, seduto sulla mia sdraio, in vacanza, osserverò le barche a motore e le auto che scorrono sul lungomare... penserò che proprio lì, proprio con quella mia immutabile posizione sotto il sole, sto difendendo il futuro dei miei nipoti...


Tutti sono capaci di lavorare. Pochi conoscono l'arte dell'ozio
(Alessandro Morandotti 1980)



Altri link:
http://it.wikipedia.org/wiki/Ozio
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010711s.htm
http://www.lifegate.it/editoriale/articolo.php?id_articolo=641

Monday, November 19, 2007

Web 2.0 o meno... "l'intelligenza" è un fattore strategico per le aziende, il punto di vista di Alberto Baggini, Head Hunter.

Può sembrare banale dire che il "fattore umano" è considerato una leva competitiva, ma a mio parere in Italia non è sempre così; vi propongo alcune considerazioni sull'Intelligenza di un Head Hunter, Alberto Baggini.

Alberto è CEO di IQM selezione, azienda italiana impegnata nella selezione e nello sviluppo dei migliori talenti, ed è anche professore al Politecnico di Milano dove insegna “Fondamenti di Economia Aziendale ed Impiantistica Industriale”. Alberto Baggini segue da tempo, con passione, le tematiche legate all' "Intelligenza" ed alla sua valorizzazione all'interno delle aziende.


Ho avuto modo di ascoltare un dibattito sull’intelligenza su Radiouno, cui hai partecipato con Roberto Vacca e Natalia Buzzi. Tema interessantissimo in relazione alle discussioni sul mio blog, ovvero l’Innovazione in Italia, web e mondo collaborativo. L’italia è sempre più in affanno sul tema Innovazione. Un problema anche di mancanza di “cervelli”?
Tu conosci anche il mondo accademico, in quanto professore del Politecnico di Milano, c’è una responsabilità anche dell’Università Italiana in questa difficoltà di produrre innovazione del sistema Italia?

Non credo che ci sia un problema di mancanza di cervelli: in Italia ci sono ottimi istituti di formazione, sia universitaria sia post-universitaria, che consentono di preparare futuri professionisti alle sfide lavorative più impegnative ed articolate. Penso piuttosto a carenze strutturali nella valorizzazione delle risorse, che risiedono prevalentemente nella mancanza di un sistema meritocratico ben articolato, in grado di autoriprodursi ed evolversi in modo equilibrato e funzionale. Le maggiori difficoltà di accesso alle opportunità professionali sono significativamente limitate da un sistema clientelare diffuso, che spesso ed in molti contesti lascia poco spazio alla naturale crescita di capacità e doti personali di indubbio valore.


L’intelligenza è funzionale anche alla possibilità di reagire a stimoli esterni (che ovviamente devono esistere!). Sicuramente chi lavora in Silicon Valley parte da una posizione privilegiata rispetto ai nostri giovani professionisti, cosa consiglieresti loro per sviluppare meglio il loro percorso professionale?

Suggerisco di tenere un atteggiamento sempre coerente, disponibile e trasparente, che non si pieghi a compromessi e a sotterfugi, consentendo di portare alla luce le distorsioni del nostro sistema. Occorre grande tenacia, onestà intellettuale, dedizione allo studio e alla professione, che alla lunga riescono a far emergere le proprie caratteristiche professionali, al di la’ della congiuntura che può frenare tale crescita con vincoli di natura non professionale; perseguire i propri obiettivi con chiarezza e determinazione può consentire la piena valorizzazione delle proprie capacità, attraverso impedimenti che per loro stessa natura non possono che essere congiunturali e temporalmente e spazialmente limitati.


E cosa consiglieresti alle aziende per sviluppare le capacità umane presenti?

Le aziende sono chiamate a facilitare l’emersione ed il pieno sviluppo delle potenzialità dei propri dipendenti e dei propri collaboratori, proprio per il ruolo sociale che esse debbono avere. Investire sulle risorse umane significa creare ed alimentare costantemente un clima aziendale positivo, che apporta inizialmente benefici di natura extra-economica, che poi hanno importanti ricadute reddituali. Liberare energie e risorse significa alla lunga arricchire il proprio capitale umano, patrimonio d’impresa primario, tanto da generare “giochi a somma positiva”, ovverosia sinergie che vanno al di la’ della mera somma algebrica dei fattori. Occorre credere nella capacità degli individui di generare valore aggiunto per l’impresa, anche quando tali risorse non siano empiricamente misurabili.


Faccio un passo indietro... quali e quanti tipi di intelligenza esistono? E sopratutto come fai, nella tua attività professionale di head hunter, a mettere correttamente in relazione una capacità individuale con i requisiti relativi ad una specifica ricerca?

Le tipologie di intelligenza sono tante quante le abilità umane ed i contesti in cui queste trovano piena applicazione. L’esperienza, la misura, il buon senso, la cultura d’azienda consentono ad un selezionatore di individuare gli skills critici per una certa posizione e di far emergere le relazioni tra questi ed i contesti in cui trovano espressione. L’ottica prevalente deve essere sempre quella del management: occorre sapersi calare nella realtà in cui la persona andrà ad operare come se fosse la propria realtà aziendale. E’ necessario mettersi sempre nei panni del cliente, per valutare con professionalità e piena onestà se il tal candidato sarebbe l’elemento di punta anche per noi in veste manager dell’azienda di destinazione. Se io fossi il cliente, troverei in questo candidato l’elemento migliore per la posizione che devo ricoprire?


Una delle abilità che hai citato in quell’intervista è quella di reagire adeguatamente nelle situazioni difficili... mi sembra di entrare in una sfera veramente poco misurabile, ma concordo con te che è una delle caratteristiche che apprezzerei di più in un collaboratore. Come si fa a valutare ciò in sede di colloquio? E soprattutto ci si può educare a reagire correttamente?

I colloqui sotto stress consentono di valutare le reazioni dei candidati di fronte a reazioni non prevedibili o difficilmente inquadrabili, in modo che il nostro interlocutore non possa mettere in atto un comportamento consolidato ma debba mettere in gioco il proprio istinto, la propria capacità di improvvisazione e di gestione delle criticità, che sono poi requisiti fondamentali di fronte a richieste endogene od esogene di adattamento.
Ci si può certamente educare a reagire correttamente, cercando di coltivare una visione prismatica della realtà ed una conseguente capacità di analisi della situazione; nella quotidianità del mio lavoro appare molto evidente come uno skill, un’abilità, un’inclinazione caratteriale, costituiscono un valore se riferiti ad uno specifico contesto ed ad una posizione definita, ed allo stesso tempo un disvalore quando collocati in un contesto non appropriato. Non ci sono professionisti bravi e professionisti non validi; ci sono professionisti bravi in un certo contesto e professionisti inadatti alla situazione. Reagire positivamente di fronte alle situazioni “difficili” significa riuscire a vedere se stessi ed il contesto congiunturale nel modo più ampio possibile, contemperando soluzioni di segno opposto, e sapendo cogliere che i segnali sfavorevoli e quelli positivi sono tali fino a che non vengono decontestualizzati. L’intelligenza in senso lato è proprio la capacità di elaborare una visione prismatica per non essere dominati da un’interpretazione univoca e per incanalare fattori positivi e negativi verso la loro più adeguata collocazione.


Roberto Vacca appariva scettico rispetto alla mission di Mensa Italia, di cui è presidente la sig.ra Buzzi, ovvero un club dei superintelligenti selezionati attraverso test. Ti confesso che, seppure nel totale rispetto per queste iniziative, sono su posizioni contrarie, per una questione personale (preferisco l’associazione spontanea e “democratica” del web sociale) ma anche sotto il profilo sostanziale. Proprio nella sezione “job” della nostra azienda ho citato una frase (anche banale se vuoi) di Jean Cocteau.... “una certa stupidità è indispensabile” . l’intelligenza è fatta da analisi ma anche di emozioni...

Sono assolutamente d’accordo con te: le abilità che cito sono un mix equilibrato di ragione e sentimenti, che matura con l’esperienza, con l’apprendimento, con la ricchezza delle relazioni interpersonali. Senza l’interazione umana e sociale l’intelligenza – comunque definita – non avrebbe ragion d’essere: non è nozionismo, non è cultura, non è tutto ciò che esiste e persiste nel nostro io isolato bensì quell’insieme di attitudini, competenze, capacità che maturano, si sviluppano, si valorizzano attraverso l’interazione. Ion Tiriac – grande tennista degli anni ’70 – è ora un uomo d’affari con un patrimonio di 880 milioni di euro, e ha dichiarato: “Mi ritengo molto intelligente: in tutte le circostanze in cui sono stupido, cerco qualcuno più intelligente di me”.


Tralasciando la politica, l’altro attore coinvolto nei processi di valorizzazione dell'intelligenza sono le aziende, proprio per il Politecnico segui da vicino l’organizzazione delle Aziende Italiane, perché sono poco preparate alla sfida dell’innovazione?

In Italia il 98% delle imprese sono PMI, con meno di 500 dipendenti. Di queste, il 95% ha meno di 10 addetti.
In tale contesto è molto difficile che l’innovazione abbia i capitali, le risorse umane, i mercati di riferimento. Occorrono team di lavoro ampi e ben organizzati, una cultura aziendale di ampie vedute e con relazioni internazionali. Antropomorfizzando l’impresa tipo italiana, possiamo dire che manca quella visione prismatica di cui scrivevo, nonché soprattutto una convergenza di risorse, di strategie imprenditoriali, di obiettivi di lungo periodo, verso una piena valorizzazione non solo della propria realtà ma dell’intero sistema Paese. Posso provocatoriamente e semplicisticamente dire che l’Italia è un Paese di individualisti, che frammentano le proprie risorse, le proprie idee, le proprie abilità in una moltitudine di progetti, spesso e volentieri a proprio uso e misura.

Farei un’altro centinaio di domande ma prometto questa è l’ultima... Parlando proprio di risorse umane la mia impressione è che talvolta il management è troppo conservatore rispetto alle pulsazioni che arrivano dal “basso”. Su Repubblica un’inchiesta dice che il 51% dei dipendenti non ha fiducia nei propri manager. Sicuramente il conflitto è fisiologico, però ho l’impressione che ci sia un fondo di verità, Robert Jackall, professore di sociologia al Williams College nel Massachusetts sostiene che i manager sono troppo presi dall’assicurarsi un ruolo in presenza di cambiamenti di struttura, da non rischiare mai decisioni “coraggiose”, uno stimolo negativo per “l’intelligenza” del manager?

La risposta è una continuazione ed una estensione della precedente: quanti manager sono disponibili a lavorare per la propria realtà e per una effettiva ricaduta socio-economica del proprio operato?
E’ peraltro difficile tirarsi fuori da un siffatto sistema, dove un proprio orientamento al medio-lungo periodo da’ l’avvio ad un nostro competitor per raccogliere nel breve. Chi investe nella corporate social responsibility, spostando risorse dalla redditività di breve ad un ritorno più organico e lungimirante? Chi ha una cultura anglosassone, chi ha una struttura aziendale di grosse dimensioni, chi è obbligato dall’esposizione sui mercati, chi ha già una redditività extra-budget…

Friday, November 16, 2007

La mobilitazione sociale sul web e la battaglia contro la pena morte, finalmente votata la moratoria dall'assemblea dell'Onu

In un post di qualche tempo fa avevo parlato del contributo che ciascuno di noi può dare per sostenere campagne sociali importanti, facendo circolare appelli e firmando petizioni on line, in quelli che ho definito i "network istantanei".

Queste battaglie spesso sono destinate ad essere perse (ma ciò non significa che non valga la pena combatterle..) perchè in realtà credo che il sostegno sia complementare. Impossibile (??? forse..) raggiungere risultati significativi senza l'azione di qualcuno che possa incidere sulle scelte, ma talvolta si sono ottenuti risultati importanti, coma abbiamo visto nel caso della mobilitazione contro la legge Levi Prodi, per esempio.

Non voglio tornare sul tema con ulteriori analisi, oggi assaporiamo solo i frutti di una battaglia a più lungo termine che si combatte da anni per limitare un atroce delitto di stato: la pena di morte. L'assemblea ONU ha infatti votato la moratoria, un atto poco più che simbolico, ma godiamoci questo momento.

Le guerre vanno vinte passo dopo passo....

carlo bruno

Wednesday, November 14, 2007

The opportunity/necessity to monitor the web as competitive factor

Blogs are now the fastest growing information source. Their strength is measured by the number of links from other bloggers, creating an intricate web of connections capable of widely distributing information.

There are million pf blogs, mostly insignificant, personal, with a big rate of growth ( and of dead...) , thousands new ones every day. Among them the most part is probably useless but the remaining part is useful. For example a complete, unedited, uncensored official report, about the death of a secret service agent in Iraq, mr.Calipari, led to its huge distribution, even though not produced by a recognised press agency.

A new category of Net.Surfer born: the influencer.

Who he/she is him?

He/she is a blogger or a member of a community who has a big reputation for what he has create in the past. Many other web people read his posts, and his messages, or through the RSS (really simple syndication) files other people publish on their website its thoughts or read him by means of an RSS aggregator.

He is the new opinion maker, he doesn’t write on a newspaper or doesn’t do interview in television, but for the same reasons he is considered as credible by others, because his idea isn’t influenced (in the reader’s mind) by external editorial choice.

In Italy a satirical actor, Beppe Grillo, has the most visited blog, because he has reduced his presence in TV shows, and was able to foreseen some important financial scandal of italian company.
Beside some consumers associations are represented by him in stakeholders meeting.

In USA candidate team made many effort to monitor blogs or/and to involve the most known bloggers in political campaign. Their influence could be felt outside the Net too.

This revolution is changing our way to see the world. Internet is the new big domain of information, but we need new tools to distinguish information from the noise.

The determining of the trend and the communication perception has to be kept up with the new tools and their consequent social changes in order to keep “knowledge” as a competitive factor. Processes that can understand the opinion-making methods and the ability of the influencers are fundamental, mostly as regards networked media, that is to say, where the opinion is formed and what the media is addressed to.

For this reason a new system should realize the search for public contents in a more intelligent way in order to:
- Extract implicit data from not structured information
- Monitor the opinions and trends
- Apply algorithms of competitive intelligence
- Influence the sharing of knowledge

We could apply our information management tool to different application fields

- Marketing:
>> brand and product reputation monitoring
>> emerging trend tracking

- Knowledge management
>> intelligent search
>> elearning
>> company knowledge management

From an article of Kenneth A. Sawka of Outward Insights:

The proliferation of information available on the Internet, combined with the myriad of IT tools available to help manage and handle that information, is creating new challenges for intelligence analysts and decision-makers alike.

Advertising agencies can now add a new asset to those already available. The communication paradigm is now migrating from mass communication to one-to-one communication. The preferences expressed by bloggers in theirs posts, the searches that customers carry out and other personal data present on the web (my birthdate on Myspace, my name is Carlo Bruno or "hurra, I have retired” on my blog), all build a map of personal iterative or punctual needs, such that a marketing manager can now target people with a very personalized advertising message (real time event driven!!) which is therefore more effective.

The announcement by Facebook of its new advertising system is only one explicit realization of this concept, but how many others out there are already operating?

c.b.

related post: Facebook (italian), Banking 2.0 (italian)

Tuesday, November 13, 2007

Le Banche ed il loro approccio al Web 2.0, se ne comincia a discutere con continuità

Una serie di incontri nell’ultimo periodo sembrano testimoniare un forte interesse del segmento Banking & Finance nei confronti del cosidetto Web 2.0. Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di partecipare ad uno dei workshop di Aifin, l’Associazione ben promossa dal bravo Sergio Spaccavento. L’atmosfera relativamente intima ha consentito un dibattito interessante su una serie di interventi molto interessanti. Due su tutti (perché più attinenti al mio personale campo di interesse), quello di Ignazio Rocco di Torrepadula di Boston Consulting, un’analisi sulla costruzione di modelli di business “low cost”, e quello di Vincenzo Tedeschi di IWbank che ha raccontato le prime esperienze di social networking bancario.

I primissimi feedback sembrano interessanti e testimoniano la possibilità di funzionamento di questi modelli anche in realtà così atipiche come le banche.

In questi giorni anche IDC dedica il suo Banking Forum annuale al Banking 2.0 e sarà interessante capire i commenti e gli approcci del mondo bancario a questo tema. Al momento sembra sopratutto un approccio tecnologico, volto all’introduzione della SOA nelle architetture bancarie, ancora saldamente e concettualmente mainframe oriented. sono meno gli esperimenti, come quello di IWbank o Intesa San Paolo, più orientati all’eplorazione degli aspetti sociali del 2.0.

In generale sembra che l’atteggiamento sia cauto, e che al momento, più che veri è propri investimenti nel settore, si osserva l’utilizzo di temi e “keywords”. D’altra parte proprio le banche sono state tra le imprese scontratesi più drammaticamente con la prima onda, quella della “net-economy” e quindi qualche timore sembra giustificato.

Il fenomeno del trading on line è stato, per lo meno in Italia, una delle concause dello sviluppo dell’utilizzo della rete come fenomeno di massa.

Certamente non la sola, altrettanto determinante, se non più, la disponibilità di connettività assicurata su larga scala da alcuni first mover come Tiscali. L’esplosione di alcuni fenomeni si realizza infatti solo se contemporaneamente si ha disponibilità di humus culturale, di infrastruttura (disponibilità di connettività gratis) e di una business idea (il trading on line, i viaggi, i libri ecc.)

L’errore di comprensione alla base della bolla della net economy fu quella di confondere il medium (la rete) con l’idea.

Oggi assistiamo ad un gran discutere intorno al cosiddetto web 2.0 , web 3.0 ecc. e molti si interrogano se non ci troviamo nuovamente ad un bluff di grandi proporzioni.

La risposta ovviamente non può essere decisamente positiva o decisamente negativa, come tutti gli interrogativi che riguardano il futuro, ma certo alcune osservazioni possono essere fatte. Il web 2.0 è prima un fenomeno sociale e poi economico, dove la leva di business è legata soprattutto alla crescita di investimenti pubblicitari sul web. Infatti questa crescita pilota lo sviluppo dei grandi network “free”, e di conseguenza anche l’atteggiamento degli utenti della rete verso questo fenomeno. I modelli di comportamento consolidati potranno poi essere adottati da strutture con differenti obiettivi come le banche.

A differenza della net-economy, basata sull’ipotesi di revenue future legate a non ancora testati modelli business, qui si tratta di un fenomeno in atto e tendente a crescere. La storia del Media che aveva preceduto il web, ovvero la Televisione, tende a confermare, nelle caratteristiche (i fruitori passivi sono la larga maggioranza di quelli attivi), tale fenomeno ripetendosi oggi, di fatto, il processo che appunto ha visto la tv erodere pubblicità alla carta stampata.

L’utente web rimane fondamentalmente un fruitore, come indicato dalle statistiche sulla sua “partecipazione”, ma meno passivo e sopratutto aumenta la scelta di contenuti. Questa caratteristica e la possibilità di studiare meglio i comportamenti dei consumatori, attraverso l’analisi sul web, lascia immaginare una crescita costante degli investimenti.

Piuttosto sembrano altri gli interrogativi riguardanti la futura crescita del web e, secondo me, sono attinenti alla “credibilità” dell’informazione sul web.

L’esplosione del web 2.0 si basa su un concetto egalitario, in cui la mia opinione conta come quella di tutti gli altri netsurfer, e che in rete è possibile trovare informazione “libera” ed alternativa, certificata non dall’autorevolezza di una fonte ma dal “trust”degli utenti.

Io, singolo individuo, ritengo quindi che l’informazione che riesco a trovare è meno influenzata da pressioni di “poteri forti” di quella dei media ufficiali. Ma questo rimane vero fino a che il circuito è alternativo. Quando questo diventa il circuito principale, si affollano e si fanno notare populisti, demagoghi e, nel peggiore dei casi, truffatori.

Questo introduce rumore, che potrebbe spingere a perdere quella credibilità su cui si basa il sistema stesso. Può ciò far implodere il sistema?

Per il momento il fenomeno appare solido, fatto di componenti sociali, come quelle introdotte in precedenza, e tecnologiche, ovvero l’utilizzo di tecnologie e strumenti tecnologici per migliorare l’utilizzo del web con applicazioni più interattive.
Il fiorire di nuove possibilità da AJAX al pure streaming, ai motori semantici difficilmente potrà essere cancellato da una variazione di trend.

Allo stesso modo questo sembra rassicurarci sugli aspetti sociali, il web 2.0 infatti non altro è che due facce della stessa medaglia. Ovvero la ricerca più veloce delle migliori informazioni affrontata, da un lato, con un approccio tecnologico e dall’altro con meccanismi collaborativi che sfruttano la capacità intellettuale umana per superare i limiti tecnologici.

Forse è questo bilanciamento che ancora deve essere raggiunto, privilegiando tuttora il web 2.0 soprattutto gli aspetti relazionali rispetto a quelli tecnologici, con il risultato di produrre ormai una serie di iniziative clonate le une dalle altre.

Perché poca tecnologia? Forse perché gli utenti sono ancora poco preparati (manca “l’humus”) o più probabilmente perché la tecnologia costa e può costare moltissimo nel momento in cui si falliscono gli obiettivi iniziali. E’ ovvio anche che, come afferma Gianni Soreca nel suo contributo a questo blog, tra i due aspetti “sia quello sociale il predominante, visto che senza la socializzazione tra individui non esisterebbe neanche il Web 2.0

La premessa è stata lunga ma ora si può arrivare al nocciolo della questione... c’è nel mondo web una rivoluzione, o meglio si sta completando una rivoluzione, e nel mondo del Finance sembra non ancora completamente cominciata.

E’ logico attendersi da parte di soggetti che hanno molto corso (e investito) negli ultimi anni un momento di riflusso, appagati da una crescita importante negli ultimi anni. Lo scenario di Sim e Broker era molto diverso 10 anni fa.

Eppure proprio le comunità di clienti delle banche presentano caratteristiche adatte allo sviluppo di queste tematiche: condivisione di obiettivi, necessità di continuo affinamento delle expertises, predisposizione alla discussione e all’innovazione, utilizzo spinto del web

Pesa certamente il controllo (aggiungo.. il “necessario” controllo) istituzionale, che contraddice lo spirito rivoluzionario del web 2.0 , quello che spinge l’informazione dal basso, però forse qualcosa in più è lecito aspettarselo.

I mercati sarebbero più stabili con un maggiore sharing delle informazioni? E’ difficile darsi una risposta.

I trader potrebbero affrontare meglio le situazioni turbolente se invece di valutare solo gli effetti (le variazioni dei prezzi) potessero scambiare collaborativamente in real time delle opinioni? O al contrario il mezzo tecnologico potrebbe essere cassa di risonanza per rumors generati ad hoc, come afferma qualche autorevole leader del settore?

Io propendo per la prima ipotesi, anche perché il networking è un dato di fatto che non lo si può ignorare. Inoltre la conoscenza esplicita è sempre il modo miglior per produrre difese endogene appropriate in caso di attacchi e quindi i meccanismi collaborativi diminuirebbero la capacità manipolativa di pochi soggetti. Anzi, quanto detto sulla bassa percentuale di contributori, rafforza il concetto, la conoscenza e capacità di analisi di (relativamente) pochi può aiutare molti.

Monday, November 12, 2007

Successo inaspettato del "manuale antistronzi" tra le vittime, eppure era indirizzato alle aziende....

Nei giorni scorsi ho dedicato qualche post al rapporto tra manager ed impiegati e alla valorizzazione del capitale umano. In particolare osservavo il plusvalore dato ad una azienda da una sagace politica di valorizzazione degli "asset" umani.

voglio segnalarvi questo articolo sul Corriere che fa riferimento ad un libro già uscito da tempo e di cui ho già parlato: "il manuale antistronzi".

la notizia non è nuova ma fa riferimento ai risultati ed al successo di questa pubblicazione, e ad alcune iniziative che ha generato in perfetto web 2.0 style. Sorvolando sugli aspetti di "colore" c'è da ricordare che in effetti il libro si occupa soprattutto di capire l'impatto che persone di questo genere hanno sull'azienda e contiene alcune interessanti osservazioni sul valore economico, prodotto o meno, nella gestione delle risorse umane. Si calcola la perdita di 160.000 dollari l'anno a causa della presenza di uno di questi personaggi, ma naturalmente la perdita dipende dalla posizione di questo individuo, perchè se dovessi ragionare in base alla esperienze viste in giro il "costo" indotto può essere di gran lunga superiore.

Insomma non l'ennesimo "manuale per qualcosa" ma un'analisi sugli effetti di un fenomeno ahimè diffuso.

Wednesday, November 7, 2007

Facebook ha annunciato un "nuovo" modello di advertising, network sociale o grande fratello?

Il nuovo fenomeno che cresce, come l’onda dello tsunami, all’approssimarsi della costa, si chiama “pubblicità on line”.

E’ un fenomeno in atto già da tempo, Google aumenta i ricavi ogni mese, ma quello che forse era meno chiaro è che la pubblicità sul web avrà caratteristiche molto diverse da quelle a cui siamo abituati in tv e sui giornali.

Due giorni fa i giornali erano pieni di titoli tipo “Facebook reinventa l’advertising” (Repubblica, Reuters ecc.) e dov’è la novità?
Non era difficile immaginare dove saremmo arrivati. Ma facciamo un passo indietro ed analizziamo dal principio il problema.

Dunque.... l’impossibilità di segmentare in maniera fine il mercato per i media tradizionali si traduce in un bombardamento pubblicitario con molti “danni collaterali”, ovvero anche utenti non interessati ad un tipo di messaggio sono comunque “colpiti” dallo stesso.

Da qualche anno, sul web, i social network hanno raccolto milioni di utenti offrendo gratuitamente servizi e non esagerando con la pubblicità, per minimizzare i fenomeni di rigetto. In particolare negli ultimi mesi l’esplosione dell’informazione alternativa, li ha spinti ad estendere lo spazio degli user generated content dai semplici blog al giornalismo sociale: Newswine è stato acquistato da e MSN e NBC, così come la Fox aveva acquistato Newroo, mentre MySpace mette su il suo personale servizio di notizie.

Come dicevo due notizie apparse ieri danno il segno del mutamento in atto. Facebook annuncia l’apertura ad accordi pubblicitari veramente significativi ed il suo fondatore Zuckerberg, 25 anni, ammette, candidamente, che i dati e le preferenze dei milioni di iscritti verranno messi a disposizione delle aziende. Nulla di stupefacente, beninteso, come ho detto, era l’epilogo atteso, stupisce piuttosto che l’annuncio sia così rumoroso.

Contemporaneamente allo Iab Forum 2007 viene reso noto che la crescita pubblicitaria dei settori diversi dal web è pressocchè stazionaria (+1,1%), mentre su internet cresce a ritmi incredibili: +45% al mese!

Nulla di strano? A prima vista no… ma i social network non sono solo semplici bacini di utenti su cui riversare messaggi pubblicitari, sono essi stessi domini di osservazione. Le notizie che scriviamo o commentiamo, i feed RSS che sottoscriviamo, le ricerche che facciamo e i blog che giornalmente pubblichiamo, descrivono a chi può osservare i nostri comportamenti (gli owner del servizio) chi siamo, cosa ci piace e cosa vorremmo.

Una tale marea di informazioni potrebbe sembrare illegibile, ma grazie agli strumenti tecnologici oggi a disposizione è possibile un’analisi di dettaglio impensabile per media tradizionalmente “broadcast”come la televisione o giornali. Il singolo utente può essere classificato singolarmente circa le proprie aspettative, con precisione, e fatto oggetto di un messaggio di comunicazione calibrato esattamente per lui. Quella che viene definita la “real time business intelligence”.

Ieri questa “calibratura” poteva essere fatta dai motori di ricerca, ma senza avere “profondità di memoria” nei comportamenti. Al limite, se alla precedente search indagavo sui ristoranti giapponesi, alla successiva il sistema di advertising poteva propormi due ristoranti nella zona in cui lavoro… (eh già.. aggiungiamo la possibilità di localizzare da dove proviene la richiesta del mio server).
Ma tutti i network detengono anche altre informazioni importanti, la data di nascita, i figli, il luogo di residenza. Inoltre nel mio blog probabilmente dirò che sono felice il giorno in cui nasce mio figlio o perché sono andato in pensione. Questi “segnali naturali” arricchiranno la capacità cognitiva del sistema consentendo un marketing non più basato solo sulle aspirazioni e sulle attitudini, ma anche “event driven”.

Oggi tutta la storia dei miei interessi è descritta al mio social network dai miei comportamenti quotidiani, e quando una casa automobilistica comprerà gli spazi pubblicitari per vendere la sua nuova auto, il mio social network si ricorderà che io ho letto e scritto su quel forum in cui si parla della Ferrari. In più mi potrà mandare una bella pubblicità di una station wagon non appena IO gli dirò che sono diventato papà. Un giorno, in vacanza, dalla mia camera d’albergo a New York mi collegherò al mio “space”, ed il sistema potrà capire che non sono nel mio abituale luogo di residenza, zac.... ecco la pubblicità del Metropolitan Museum of Art o del Mama Jolanda’s Restaurant.
Se poi vado in pensione.... il mitico "tom" di Myspace saprà che avrò soldi da investire....

Altro che Big Brother...

Oggi la popolazione web è una parte dei consumatori, persone come me... "emigranti" (dalla definizione di Gartner... è un destino il mio... emigrante fisico ed anche virtuale... mi sento Troisi nel film "ricomincio da tre"), ovvero nate nella generazione pre-tecnologica, ma poi arriverà la generazione dei "nativi" (ma nel west non erano gli emigranti a mettere nelle riserve i nativi???), ovvero quelli che oggi crescono a console e web, e piano piano ci sarà un ulteriore scatto nella crescita dei netsurfer incalliti.

Nulla di proibito (credo..) perchè sono io che decido di scrivere e pubblicare le mie informazioni, ma un po' la sensazione di essere spiato mi viene... per questo mi stupivo per il clamore dato all'annuncio... però non mi sembra di aver letto grandi reazioni.

E se domani mi succederà di lasciare accesa la mia webcam quando entra la tipa carina del terzo piano? Sono certo che se le offrirò di sedersi sul divano per bere un bicchiere di vino il mio social network mi chiederà se ho comprato i preservativi alla liquirizia....

Se volete possiamo consolarci con gli aspetti positivi, vedere il bicchiere mezzo pieno, le uniche pubblicità che vedrò saranno quella a cui “forse” sono interessato… certamente più positivo per chi quella pubblicità l’ha comprata, non comprerà più un target di utenti, ma l’attenzione di singole persone certamente sensibili alla mia offerta.

Questo varrà per le grandi strutture ma forse ancor più per i piccoli esercizi. Per me, proprietario di una piccola palestra, l’unico modo che avevo prima per colpire un target specifico di utenti per era distribuire depliant all’uscita della metropolitana più prossima e per le strade intorno. Domani potrò raggiungere tutti gli utenti nell’area che ritengo mi interessi e soprattutto quelli che una palestra la stanno realmente cercando. Il micromarketing potrà spostarsi anche sul web.

E’ chiaro che si aumenta sia la capacità di soggetti di accedere al mercato della pubblicità sia la profittabilità con cui questa pubblicità viene proposta al mercato. Certo aumenteranno anche i costi della pubblicità stessa...
In futuro l’esplosione del mobile web ma soprattutto dei sistemi di clusterizzazione delle informazioni basati sull’analisi semantica dei testi renderà sempre più precisa la capacità di indirizzamento. Rimane da capire se questo enorme flusso di denaro migliorerà o snaturerà il web. Fino ad oggi il grande appeal della Rete è stato proprio il senso di libertà che vi si respirava, domani i capitali disponibili consentiranno lo sviluppo di funzionalità sempre più evolute, ma certamente si pagherà un prezzo nella “libertà di pensiero” che oggi contraddistingue il web.
Difficile dirlo oggi, sistemi come internet, non controllati da una autorità specifica, sono in grado di generare adeguati anticorpi, ma è pur sempre difficile capire quale sarà il prezzo da pagare.


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Differenze tra Italia e resto del mondo nella gestione dei dati di navigazione

Il "capitale umano" e la qualità come fattori di crescita (terza parte): acquisizione e mantenimento dell' "intelligenza".

Scusatemi se questo post l’ho spezzato in tre parti ma purtroppo il tempo non è mai abbastanza per riuscire a far tutto come si vorrebbe... riepilogando...

Il punto di partenza è stato la valutazione del fattore “qualità” come premiante nella sfida dell’innovazione e della competitività, e di come questo valore è influenzato dalla competenza professionale di lavora in una azienda.

Nelle due parti precedenti mi sono soffermato sulla differente percezione da parte di manager ed impiegati proprio della adeguata valorizzazione di questo asset, mentre nella seconda di come tale valore sia solo potenziale in strutture dove la quotidiana gestione talvolta narcotizza le energie migliori.
Nel secondo post, dedicato a questi temi, il caso Fiat e la sua crisi testimoniano come proprio momenti negativi possono essere la giusta occasione per far emergere questi valori. Non è ovviamente scontato e non è sempre così, ma credo sia significativa la (ultima!!) citazione dall’intervista a Marchionne “Siamo dei sopravvissuti e l'onore dei sopravvissuti è sopravvivere”.

L’ultimo tema che vorrei introdurre è infine “l’acquisizione” dell’intelligenza da parte delle aziende ed il suo “mantenimento”.

Le competenze e la qualità infatti sono funzione “anche” dell’intelligenza, dove per intelligenza non intendo il concetto classico, l'intelligenza, per esempio, di Einstein ed i risultati del suo lavoro. O per lo meno non solo...

Il tema dell’ “intelligenza” mi è stato suggerito dall’ascolto di un dibattito radiofonico tra Roberto Vacca, Alberto Baggini e Natalia Buzzi di Mensa Italia, una associazione di "super intelligenti".

Semplificando molto il contenuto del dibattito mi sembra di poter dire che l'intelligenza di un individuo non trova concretezza in un concetto assoluto, ma è relativo, ne esistono diverse tipologie e danno diversi risultati in relazione al tipo di attività che l' individuo stesso è chiamato a realizzare.
La migliore capacità che l’intelligenza possa fornire ad una persona è l’abilità nel reagire correttamente alle sollecitazioni esterne, sopratutto in condizioni di stress.

In particolare è stato interessante l’intervento di Alberto Baggini che, in qualità di head hunter, ha sottolineato proprio la necessità di introdurre, nella valutazione di un candidato, il concetto di relatività tra caratteristiche della sua intelligenza e mansione che andrà a svolgere.

L’attività professionale di Baggini si occupa del primissimo stadio della politica di valorizzazione della qualità da parte di una azienda. E’ ovvio che la selezione di persone con alte potenzialità di crescita è alla base del processo di acquisizione e mantenimento del know how. Ma l’acquisizione di profili professionali troppo qualificati si traduce spessissimo in una successiva interruzione del rapporto di lavoro e conseguente perdita di know how.

Un breve inciso voglio poi dedicarlo ad una considerazione relativa sempre a questa fase del processo. Si parla spesso di fuga dei "cervelli" dall'Italia, ebbene credo che sia solo una parte del problema, credo la corretta visione sarebbe quella di trasformare l'Italia in un possibile "polarizzatore" di intelligenze provenienti anche da paesi diversi.

Non voglio entrare nel merito delle successive fasi, ovvero la formazione continua, la capacità di ascoltare e raccogliere le sollecitazioni più interessanti, l’abilità di creare le migliori condizioni di lavoro.

Su questi temi esistono opinioni molto più qualificate della mia, mentre io vorrei soffermarmi su quella che ritengo essere la condizione imprescindibile, ovvero la capacità di motivare i colleghi di cui si ha la responsabilità di gestione...
Credo che sia un aspetto poco curato in molte aziende, nelle quali in fondo si ritiene poco costoso l’avvicendamento del personale e sicuramente meno costoso di un’adeguata strategia (o semplicemente impegno?) tesa a creare forti motivazioni.

Mi spiace rubare ancora un citazione, ma credo che sia significativa. Proprio nell’home page di Symbola si legge una frase di Antoine de Saint-Exupery (Exupery... ....non Esuberi....):

Se vuoi costruire una nave non chiamare a raccolta gli uomini per raccogliere la legna e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio ed infinito

carlo bruno.

Il "capitale umano" e la qualità come fattori di crescita (seconda parte): l'emersione delle competenze inespresse

Desidero continuare una discussione introdotta ieri sull’opposta visione che si ha della vita aziendale da parte di dirigenti ed impiegati, ma soprattutto di come tali valutazioni si riflettano sulla produttività aziendale.

Personalmente credo che occorra fare di più a sostegno della valorizzazione del cosiddetto “capitale umano”, e non solo dichiararlo nelle interviste sui giornali. Ovviamente il mio discorso ha carattere generale e non vale per molte realtà in cui invece esiste una politica di forte coinvolgimento a tutti i livelli.

Sun Tzu, celebre guerriero giapponese, il cui manuale sulla guerra è stato adottato dai manager di tutto il mondo come testo di riferimento, citava tra gli elementi che consentono di vincere le battaglie e le guerre, la capacità di conoscere e motivare i propri uomini, affidandosi poi ai più brillanti come quadri intermedi.

Già sembra banale...

Il medesimo artitolo di Miojob cita l’opinione di Robert Jackall, professore di sociologia al Williams College nel Massachusetts: “le trasformazioni delle grandi imprese hanno mutato anche il ruolo dei manager. Per i manager moderni, alle prese con lotte di potere e fusioni, scrive Jackall in "Labirinti Morali", la preoccupazione principale è diventata quella di capire dove tira il vento. Più che la creatività e la pianificazione aziendale, dice il sociologo, per loro conta la capacità ad adattarsi a qualsiasi stravolgimento nelle gerarchie di potere. Le decisioni è meglio non prenderle affatto”.

Purtroppo sembra che i concetti contenuti ne “l’Arte della Guerra” vengono più spesso utilizzati come strumento di competizione interna, ed in particolare è seguito quello di non affrettarsi a combattere il nemico frontalmente, ma approfittare dei suoi errori. Come dire... attendi, non esporti...

Ma, come direbbe Carlo Lucarelli spalancando il palmo delle mani, “questa è un’altra storia”... e ne parleremo in altro post...

Tornando alla valorizzazione della componente umana ricordo che, in una recente intervista/racconto su Marchionne (manager i cui risultati non possono essere contestati). si legge “Nelle altre stanze del quartier generale Fiat, lungo i corridoi, dove erano abituati a amministratori delegati che non andavano oltre il buongiorno e buonasera, adesso Marchionne è considerato una specie di marziano. Lo temono. Lo stimano..... “.

Il suo impatto con la Fiat infatti viene cosi raccontato dallo stesso Marchionne “"Ho cercato di organizzare il caos. Ho visitato la baracca, i settori, le fabbriche. Ho scelto un gruppo di leader e ho cercato con loro di ribaltare gli obiettivi per il 2007."

Quindi il punto di partenza è stato quello di sconvolgere gli equilibri cristallizati, individuando e puntando sulle potenzialità represse durante le precedenti gestioni, manager più giovani e motivati, quelli che sono diventati poi i “Marchionne Boys”.

"Se ho un metodo - dice ancora Marchionne - è un metodo che si ispira a una flessibilità bestiale con una sola caratteristica destinata alla concorrenza: essere disegnato per rispondere alle esigenze del mercato. Se viene meno a questa regola è un metodo che non vale un tubo. Ai miei collaboratori, al gruppo di ragazzi che sta rilanciando la Fiat, raccomando sempre di non seguire linee prevedibili, perché al traguardo della prevedibilità arriveranno prevedibilmente anche i concorrenti.".

E pensare che a me invece è capitato di sentire qualche vecchio manager dire che è meglio essere dei buoni “follower”...

[ continua... ]

Tuesday, November 6, 2007

Il "capitale umano" e la qualità come fattori di crescita (prima parte): la visione "antagonista" di dipendenti e manager

La qualità di ciò che produciamo è uno dei fattori competitivi per eccellenza e tale qualità è funzione (in particolare nel settore della tecnologia IT) delle competenze professionali di quanti lavorano all’interno di una azienda.

La difesa quindi del capitale umano è difesa della propria capacità di produrre software di qualità e sostenere la sfida dell’innovazione, ma il continuo crescere del gap competitivo con gli atri paesi sembra indicare che questa strada in Italia sia scarsamente seguita.

Da un paio d’anni uno dei protagonisti del settore lavorativo in cui opero, ovvero l’AD di Unicredito Profumo, è l’animatore di una iniziativa tesa a promuovere le “qualità italiane”, proprio come fattore competitivo per fronteggiare la concorrenza commerciale dei paesi dell’Asia, basata sui bassi costi di produzione. >

L’associazione Symbola, che si autoproclama, la “Lobby delle Qualità Italiane”, nasce dalla inconsueta sinergia tra uno dei banchieri di maggior prestigio internazionale ed Ermete Realacci, che nel suo libro “Soft Economy”, teorizza appunto la Cultura della Qualità.

Mi piacerebbe che iniziative del genere riuscissero a produrre un cambiamento radicale nella cultura delle aziende e dei loro manager, andando oltre il semplice concetto di “Lobby”, che invece sembra essere quello più facilmente recepito dalle aziende stesse.

Ho il timore invece che le aziende italiane non perseguano ( o per lo meno non adeguatamente - e lo dimostrano i numeri - ) una politica di stimolo nei confronti dei propri dipendenti circa l’apprendimento e l’innovazione. Viene spesso ritenuto costoso investire nel personale, sia dal punto di vista economico ma forse ancor più sotto il profilo organizzativo e mentale.

Una inchiesta di questa estate su Miojob (Repubblica) dice che più della metà dei dipendenti si lamenta dei propri manager, il dato sembra comunque molto alto, seppure scremato del comprensibile malumore generato dalle conflittuali reciproche competenze.

Il risultato di questa inchiesta è stato rapidamente liquidato come inattendibile nella risposta del Presidente CIDA (associazione di dirigenti) Giorgio Corradini, che ne contesta, con molta forza, la validità (“vorrei far notare che un campione di duemila dipendenti non può assolutamente essere associato alla metà dei lavoratori italiani”) portando a testimonianza i risultati delle aziende italiane (“Il mercato - e non i dipendenti - è il vero giudice dell’operato della dirigenza. Ed il giudizio del mercato, non solo è positivo, ma promuove a pieni voti la managerialità italiana.”)

Mhmm.. capisco la difesa della categoria, ma contestare che un campione statistico non possa essere rappresentativo equivale dire che ogni studio di questo genere non serve a nulla... non so come sia stato selezionato il campione e la sua effettiva validità, però le scrivanie dei manager sono pieni di studi statistici e proiezioni ricavate proprio da campioni di questo genere... questi studi sono spesso acquistati da prestigiose e costose società di analisi...

Se poi misuriamo il “giudizio del mercato” e osserviamo i dati relativi al settore IT... beh l’Italia cresce dell’ 1,6% e l’Europa del 3,9%, con aumento costante del gap tra la crescita del nostro Paese e quella del resto d’Europa. E per non abbatterci troppo meglio non guardare i dati di Cina e India. Ma neppure quelli della Spagna...

Questa reazione sembra proprio una chiara spia del rapporto manager/dipendenti..

Sull’altra sponda invece la percezione di “smanetta” è spesso quella che chi comanda non sa bene di cosa parla, in un blog che mi ha segnalato un collega, leggo una definizione di una categoria di informatico molto particolare “La terza categoria degli informatici ha per me qualcosa di magico. In genere la si trova nei piani alti della scala gerarchica. Di informatica hanno uno spruzzo, come le torte con su lo zucchero a velo, però sono degli abilissimi comunicatori e dei perfetti creatori di presentazioni ad effetti speciali creati ad arte con Power Point”. Tutto il post è grazioso e traccia uno spaccato del conflitto dipendente/utente/manager visto dai primi.

Ovviamente le generalizzazioni sono pericolose ma indicano anche dei trend che risulta pericoloso ignorare

[segue nel prossimo post]

Friday, November 2, 2007

La battaglia contro la pena di morte approda all'ONU

La battaglia contro la pena di morte approda al Palazzo di Vetro. Questo commento non ha nulla di tecnologico ne di web 2.0., ma proprio due giorni fa avevo parlato del web come mezzo per creare aggregazioni spontanee che favoriscono la crescita di movimenti di opinione a favore, o contro, alcune battaglie sociali. In quel post mi rallegravo che una delle battaglie fosse a favore della battaglia contro la pena di morte, un problema che colpisce molto la mia sensibilità.

Quindi quando oggi ho letto la notizia delle presentazione della proposta di risoluzione all'ONU mi sono sentito particolarmente felice. E' poco più che una battaglia simbolica, occorre "motivare" almeno alttri 25 paesi e non sarà certamente impegnativa per nessuno, ma come dice Coelho "è proprio la possibilità si realizzare un sogno che rende la vita interessante". Inoltre è una delle poche volte in cui possiamo sentirci soddisfatti della attività della nostra classe politica.