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Tuesday, April 29, 2008

Il prezzo del comando e la solitudine del manager: intervista a Mauro Fantechi, Ceo di Par-Tec (seconda parte)

Questo post è dedicato alla seconda parte dell'intervista a Mauro Fantechi, ma vorrei fare una piccola ulteriore premessa in relazione ad un mini dibattito scaturito proprio dal precedente post, off-line, ovvero via mail con alcune persone intervenute.

Manager o imprenditore? Qual'è il punto di vista? Mauro è un imprenditore ed è, ed è stato, manager. La qualità e l'intensità delle motivazioni può essere diversa, ma in ogni caso credo che un imprenditore è manager, per definizione, ma anche un manager deve affrontare il proprio lavoro con piglio imprenditoriale. Quindi poche differenze tra i due punti di vista.


Un manager può essere amico dei suoi collaboratori? Marchionne dice che è solo nel momento delle scelte. Il compito degli amici dovrebbe essere proprio quello di non farti sentire solo.

Lavoro con professionisti e impiegati e fino a che mi sono mosso in mie iniziative e in dimensioni piccole, non credo che per loro ci sia stato un prezzo da pagare anzi. Muovendomi poi in contesti più grandi la cosa è cambiata un po’ e mi sono chiesto “perché”, molto spesso.

Partiamo da questo esempio , abbandonate le dimensioni piccole non ho mai avuto motivo di fare una 48 ore di full immersion sul lavoro, situazione che ricordo di avere affrontato con gioia trascinando i collaboratori e rimpinzandoli di pizza e dolci....


Perchè? è calato il lavoro? Tutto funziona bene e non serve?

Penso che siano cambiate due cose, la presenza di strutture gerarchiche poco inclini al “modello team” e l'effetto avuto su di me da queste strutture, che mi hanno reso meno attivo, non avevo più la voglia di capire sino al minimo dettaglio, di supportare ogni collaboratore in qualsiasi situazione. Quindi chi lavora oggi con me , fatica più di prima, è meno supportato nei suoi problemi sul lavoro, insomma succede che meno pago io e più pagano gli altri, situazione perversa.


Uhmm!! Una struttura riesce ad influenzare così i nostri comportamenti personali? Quali sono questi meccanismi perversi che ti cambiano? Un problema intrinseco alle strutture o determinato dalle persone che la compongono?

Già… non si direbbe… non lo vorresti, ma alle volte accade. I meccanismi sono semplicissimi, ritieni che sia utile adattarsi e piano piano eccedi, magari cerchi di compiacere tutti, medi troppo e anche vorresti fare bella figura….micidiale, se pur ingenua, poltiglia.

Le strutture sono una rappresentazione delle persone che le compongono, se cerchi una struttura adatta a tutti hai perso in partenza… occorre una “sana” dittatura.


Non te la prendere, ma fino ad ora non mi sembra che hai pagato un gran prezzo, conosco molte persone che senza essere ne manager, ne imprenditori, dedicano molto tempo e risorse al lavoro... e senza le soddisfazioni economiche, ne di riconoscimento del proprio ego.

Io ho scoperto che pagavo altri balzelli quasi senza accorgermene: la famiglia si è dovuta adattare alla mia vita lavorativa, i figli...pensavo fosse meglio evitarli, i rapporti rarefatti con i miei genitori, le amicizie difficili da coltivare. E tutto questo lo scopri sempre dopo, quando qualcosa ti rende evidente che non puoi più riparare. Vale quanto detto prima, EGO e successo ti soddisfano molto, ritieni più utile fare tardi al lavoro che non uscire per vedere un film o ascoltare della musica.


Sei sicuro che non si può più riparare? Io credo che sia solo il coraggio di rimettersi in gioco, cambiando tutti gli schemi precedenti. Mettendo un po’ da parte L’EGO. Ho imparato che le persone sono, in genere, molto più comprensive di quanto crediamo.

Al solito penso ad aspetti personali e ti rispondo…

Gli anni che passano, le vicissitudini personali, salute, affetti.. le persone che piano piano non vedrai più, è la vita che ti aiuta a cambiare, non cancella il tuo EGO, ma ti consente di vederlo nella giusta misura.

Le persone sono più comprensive di quanto crediamo… può essere.

Ma sicuramente (credo!) lo diverrano nel tempo, vivere è una grande e continua lezione, comprende anche il lavoro, ma non è assolutamente solo il lavoro. Nel momento in cui riesci ad osservare e riflettere su tutto quello che ti circonda cambi e cambia il tuo atteggiamento.

Dalle tue parole emerge che il “mestiere del capo” impone dei sacrifici nella gestione della propria vita e soprattutto nei rapporti con le altre persone. Questo significa allora che la gestione di amici e la gestione di collaboratori sono due piani paralleli? E' una questione sottile ma importante. Si può "saper gestire persone" in un ambito lavorativo ed al contrario "non sapere gestire i propri rapporti affettivi"... Allargando ulteriormente il concetto, la capacità di gestire la vita lavorativa prescinde dalla capacità di saper gestire la propria vita?

Ogni miglioramento della mia vita (non necessariamente economico) è stato frutto di momenti di equilibrio dei vari aspetti che mi circondavano, credo che comprendersi, conoscersi, imparare a riconoscere quando si sta sbagliando ed essere capaci di comprendere e comunicare chiaramente cosa ci si aspetta da gli altri, sia la base per qualsiasi tipo di rapporto.

I rapporti tra persone sono comunque complessi e oggi dico affascinanti…dico oggi perché è il tempo che ti aiuta a comprendere queste verità. Se sai costuire buoni rapporti, lo saprai fare sempre… …altrimenti…


Alla luce di quello che sei riuscito ad ottenere e di quello che hai dovuto lasciare per strada pensi ancora che ne valesse veramente la pena? O cambieresti qualcosa?

Per fortuna posso dire che rifarei tutto, ma vorrei rifarlo meglio…affermazione ovvia… Mi sento banale, ma vorrei avere la possibilità di rifare pensando di più, ascoltando di più e facendo più uso della testa, anziché farmi subissare da informazioni. Non puoi passare tutto il tempo a cercare di informarti per decidere… Devi decidere ed in tempi rapidi; infine vorrei essere stato molto più bravo a darmi le giuste priorità, troppe volte si focalizzano le cose semplici e brevi, per poi fare con "calma e tranquillità" quelle importanti.

Non funziona , non raggiungi mai la calma e tranquillità che desideri, quindi inverti l’ordine.



p.s. Mauro Fantechi è interessato a continuare ed ampliare la discussione sul prezzo che si paga, sotto il profilo personale, nel realizzare i propri obiettivi professionali. Chi desidera può contattarlo anche direttamente: mauro.fantechi@par-tec.it

Wednesday, April 23, 2008

Il prezzo del comando e la solitudine del manager: intervista a Mauro Fantechi, Ceo di Par-Tec

Mauro Fantechi è Ceo di Par-Tec, gruppo che si occupa di tecnologie nel mondo della Finanza e Telco.Nella sua storia personale ci alcuni successi sul mercato internazionale con Unirel Sistemi e la suite di prodotti Felis Cluster acquisita da Stonesoft, leader finlandese del mercato security e load balancing , e Lightstreamer, lo streaming Ajax con clienti in tutto il mondo e partnership prestigiose come quella con TIBco.

Il tema di questa intervista è quanto meno “particolare” e quindi rubo un po’ di spazio per una premessa da condividere con chi legge la tua intervista. Mi corre l’obbligo di dire che Mauro Fantechi è stato un mio diretto superiore, ma spero che il buon rapporto personale non mi abbia impedito realizzare un’intervista anche critica. In realtà non si tratta di una vera e propria intervista quanto il compendio di alcune discussioni, sul tema del management, fatte a colpi di e-mail e messanger.

Il titolo si ispira ad un celebre romanzo di Montalban, "La solitudine del manager" appunto, la storia di un manager che avendo scoperto le malefatte della multinazionale in cui lavora non rimane passivo, ma alla fine, isolato, viene ucciso. Niente a vedere con il caso di Mauro, ma introduce il tema che desidero sviluppare: il “prezzo” del comando. L’idea era nata leggendo un'intervista di Marchionne in che diceva che, al di la del lavoro in team, il manager è solo quando deve affrontare delle decisioni.

Antonio Juamà, il protagonista del libro, alla fine viene ucciso. Tralasciando l'esito specifico e le cause raccontate da Montalban, esiste un "prezzo" che un manager deve pagare?

Non voglio farti un'intervista facile... e quindi ti ricordo che in genere se si pensa ad un prezzo si pensa a quello pagato soprattutto da operai ed impiegati

Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" nel senso classico della parola, sicuramente da sempre sono almeno stato "manager" di me stesso.
Il prezzo.... in prima battuta mi viene in mente il mio, quello pratico: non vacanze, non tempo libero, non hobbies.. ma questo ci stà...mi è piaciuto troppo il mio lavoro, e poi non dimentichiamo che noi imprenditori/manager non siamo ne fini artigiani ne dogmatici artisti, lo si fà per soldi e per EGO (te lo assicuro) e quando ci prende qualcosa non riusciamo a fermarci.....perchè? semplice per essere i primi a dire io l'ho fatto... anche se non ci guadagni un tubo.


Particolare questa risposta, siamo abituati a pensare che la logica che muove un imprenditore sia quella ferrea del mercato, si fa solo quello che fa guadagnare.

Non so se io, con le mie azioni, sono una interpretazione letterale della parola “imprenditore”, e comunque quando ho iniziato ilo mio percorso forse non sapevo bene neanche quale fosse la definizione. Ma per quanto mi riguarda , e conosco molti miei conterranei che come me si sono mossi, riaffermo che si fa non solo per soldi ma anche per fama e riconoscimento, e aggiungo per il desiderio che tutti sappiano che lo si è fatto bene e con ragionevole rispetto degli altri. Management illuminato? No, voglia di successo e ortogonale , di cose tangibili , soldi, e cose meno tangibili ma altrettanto percepibili.


Quando parli di conterranei è perché pensi che quel che abbiamo detto sia più vero per i toscani?

.. Toscani.... potrebbe essere, ma non abbiamo l’esclusiva.


Però tornando al concetto precedente, la “solitudine” del manager ed il prezzo che paga, potrebbe far sorridere i precari o coloro che devono arrivare a fine mese con 1.300 euro. Nell’immaginario collettivo inoltre il manager che sbaglia spesso si ricolloca altrove e non paga alcun prezzo per avere lasciato a casa un po’ di lavoratori. La percezione del “costo” personale è molto diversa.

La domanda non fa una piega, ma riparto dalla mia frase .Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" . Oltre a questa affermazione vorrei aggiungere due punti , il primo è che le dimensioni di lavoro in cui mi muovo non sono grandi (al massimo circa 150 persone) e secondo, pur con tutta la modestia, vorrei dire di sentirmi anche o forse più “imprenditore” .
Da un lato la dimensione piccola mi ha sempre posto in contatto con tutti e dall’altro, essere anche padrone, con tutte le fasi economiche personali positive e negative, mi hanno sempre fatto riflettere molto , portandomi a combinare azioni manageriali con azioni personali a salvaguardia o in aiuto di persone.

Non mi sento inqadrabile nella definizione di manager secondo l’immaginario collettivo che citi, non mi sento asettico decisore.


Un’altra obiezione e poi che il prezzo che decide di pagare un manager dipende dalle proprie scelta. Diversa mente chi ha poche opportunità di emergere può solo pagare il proprio prezzo (un salario basso) senza poter scegliere.

Vero, quanto dedicarmi al lavoro è stata una mia scelta, ma quanto gestire al meglio situazioni che coinvolgevano persone è stata una imposizione della mia coscienza.
Ho avuto opportunità di scegliere il prezzo da pagare , ma ho trovato anche pesanti fardelli da cui non potevo sottrarmi. Essere impenditore e che come dici tu “manager” mi ha dato opportunità e rischi in prima persona.


( la seconda parte dell'intervista....)

p.s. Mauro Fantechi è interessato a continuare ed ampliare la discussione sul prezzo che si paga, sotto il profilo personale, nel realizzare i propri obiettivi professionali. Chi desidera può contattarlo anche direttamente: mauro.fantechi@par-tec.it

Tuesday, March 18, 2008

Le aziende italiane che innovano: Blogmeter, ovvero l'arte di sapere "ascoltare" la Rete.

Oggi dedico spazio ad un prodotto, Blogmeter, di cui ho già parlato ampiamente in altri post che hanno, tra l'altro, stimolato un dibattito interessante, segno di un forte interesse nei confronti di questo tipo di tecnologie. Rispondono insieme Vittorio di Tomaso e Sacha Monottti, di cui traccio alla fine un profilo sintetico.


CB: Cominciamo, come al solito, con il nome della società e del prodotto.

BM: Al momento Blogmeter non è ancora un'azienda, ma un prodotto sviluppato da una joint-venture, costituita da specialisti nello sviluppo di tecnologie di web intelligence, analisi semantica e media research.


CB: Ho avuto modo di vedere Blogmeter all'opera e come sai lo valuto molto positivamente, ritrovandovi molte caratteristiche che penso siano fondamentali. Bello per esempio il vostro monitoraggio della campagna elettorale che vi ha guadagnato anche un'autorevole citazione da parte di Repubblica.
E' sempre difficile fare sintesi in questi casi, ma riuscite a descriverlo in poche righe?


BM: Blogmeter è una piattaforma di market/web intelligence il cui obiettivo è la comprensione e l'analisi delle conversazioni che avvengono nei social media (non soltanto blog, ma anche forum, newsgoup e social networks).
Lo scopo di Blogmeter è mettere ordine, nel mare magnum della conversazione online, per fornire ad aziende o istituzioni marketing e consumer insight partendo da informazioni fornite liberamente e spontaneamente quali le conversazioni che si trovano all'interno dei social media.


CB: Quali i principali campi d'azione di Blogmeter, il segmento di mercato ed i vostri interlocutori?

BM: I nostri intelocutori principali sono le aziende che considerano lapropria reputazione un asset fondamentale e/o che hanno un marchio forte, riconoscibile e dunque chiaccherato. Per queste aziende la comunicazione è ovviamente fondamentale e strategica; Blogmeter è parte della più ampia strategia di comunicazione aziendale rivolta ai media digitali: fornisce uno strumento di verifica e di misura di come le strategie di marketing e comunicazione (e non solo!) dell'azienda incidono sul buzz generato sui social media.


CB: Possiamo scendere un po' più nel tecnico e descriverne le componenti architetturali e le principali inovazioni tecnologiche?

BM: All'interno di blogmeter vivono un sofisticato motore di crawling, che naviga la rete alla ricerca di fonti interessanti da analizzare (una fonte, per noi, è interessante quando è un luogo di conversazione) e un motore di analisi semantica, basato su tecnologie proprietarie, che consente l'analisi e la comprensione (almeno per quanto possibile) di quanto viene detto in rete.
Esteriormente blogmeter si presenta come un'applicazione di intelligence intuitiva e facile da usare, che consente sia viste di insieme (cruscotti e grafici) che viste specifiche (identificazione delle conversazioni da tracciare, estrazione di concept cloud), fino alla possibilità di leggere ciascun singolo messaggio grazie ad un motore di ricerca interno.
Ad oggi esistono verticalizzazioni di Blogmeter (che implicano specifiche configurazioni dei crawler e dell'analisi semantica) su settori che vanno dall'automotive alle banche, dalla salute / benessere al cinema, dalla moda alla politica. Le fonti monitorate portano un numero enorme di messaggi mensili e di post: la nostra proiezione 2008 è di indicizzare e analizzare diversi milioni di post per ciascuna verticalizzazione.


CB: Quale e' il vostro modello di business?

BM: Blogmeter è proposto come sas. il cliente acquista un abbonamento per avere accesso al prodotto attraverso un'interfaccia di analisi web based inclusiva di supporto ed aggiornamenti constanti su temi e fonti monitorati. Non sono richiesti investimenti hardware o software e il roll out su un settore monitorato è pressochè immediato.


Vittorio di Tomaso dopo gli studi all’Università di Torino e presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, ha intrapreso un percorso accademico, come visiting researcher alla Brandeis University di Waltham, Massachussets, come docente presso l’Università del Piemonte Orientale e la Libera Università di Bolzano. Attualmente insegna Informatica Umanistica all’Università di Torino. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche in Italia e all’estero, è attualmente membro della redazione di Sistemi Intelligenti, rivista di Scienza Cognitiva edita da Il Mulino.
E’ Ceo e co-fondatore di CELI, azienda italiana specializzata in tecnologie automatiche di analisi del linguaggio.

Sacha Monotti Graziadei ha lavorato per Ernst & Young Consultants e AGB Nielsen Media Research, leader mondiale nella rilevazione dell’audience televisivo. Nel 2006 ha deciso di tornare ai media digitali fondando Me-Source, società specializzata nello sviluppo di soluzioni innovative nei settori della “web intelligence” e della “social media analysis”.


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Wednesday, March 12, 2008

Serve MySpace ai piccoli e grandi gruppi musicali? L'opinione di chi lo vive in prima persona: The Sunnation, giovane band milanese

MySpace è l'esempio più rappresentativo del fenomeno del Social Networking e la musica il segmento, che al suo interno, ne ha determinato più d'altri il successo. Oggi ne parliamo con Simone Pase dei The Sunnation, per capire la novità che MySpace ha significato per quelle micro-aziende che sono i gruppi musicali emergenti.



CB: Ciao Simone, direi come prima cosa di cominciare ad inquadrare il contesto. Chi sono the Sunnation e chi è Simone?

SP: I Sunnation non sono altro che uno dei tanti gruppi musicali italiani, precisamente di Milano, che hanno l’obiettivo di riuscire, un giorno, a “sfondare” nell’industria discografica.

Questo è l’unico aspetto in comune con le altre band. Le differenze consistono essenzialmente nello stile, nel genere, e nella fiducia pressoché nulla nella discografia italiana.

Simone è il sottoscritto, nonché frontman di questo gruppo e persona molto eclettica e curiosa.
Ovviamente oltre alle velleità musicali mi dedico a quella che rappresenta la mia principale occupazione, ossia lo studio della facoltà di Scienze della Comunicazione all’università Iulm di Milano. Dovrei conseguire la Laurea tra meno di un anno.


CB: Facciamo anche un po’ di pubblicità... quale è il pezzo dei Sunnation che consigli di ascoltare nel vostro Spazio?
(http://www.myspace.com/thesunnation)

SP: “Disco Paradise”. E’ quello che meglio rappresenta la nostra identità oggi.


CB: MySpace è nato come un grande social network generalista, ma mi sembra che in realtà, sempre di più, diventa un canale tematico su musica, arte ed entertainment, seguendo una tendenza di verticalizzazione che sembrava valere per tutti, ma non per MySpace. Nella tua doppia veste, di musicista e appassionato di comunicazione, condividi questa analisi?

SP: Ragionando in maniera molto sintetica non mi sento di dissentire. Tuttavia credo che la sua essenza principale sia “pubblicitaria”, nel senso etimologico della parola e inerente a tutto l’ ”universo” di collegamenti che tale definizione comprende.
Quindi il fatto rendere pubblico ed accessibile ai più qualsiasi tipo di aspetto che i suoi utenti vogliono mostrare. Da loro stessi, alla musica, al cinema, agli spettacoli, alla promozione generica in generale.


CB: Ad un complesso giovane e poco conosciuto serve veramente essere su MySpace? In fondo richiede un certo impegno, quali sono i vantaggi ed il rapporto costi/benefici? Quali sono materialmente le attività che garantiscono un certa visibilità?

SP: Sicuramente serve. E dirò di più. Non solo a un gruppo giovane, ma serve soprattutto ai gruppi affermati che così si ritrovano con un canale in più e più diretto grazie al quale elargire e veicolare le informazioni che lo riguardano. Compreso il contatto più veloce e informale con il proprio pubblico, con l’enorme possibilità di arrivare anche a frange sempre nuove.
Ovviamente una così grande potenzialità richiede, dalla sua, pure un impegno notevole.
Infatti, oltre all’aggiornamento continuo - giornaliero direi - del proprio spazio, immaginiamo solo il tempo necessario per rispondere a tutti i messaggi o per farsi conoscere grazie ai “biglietti da visita”, commenti, messaggi personali ecc…

Si può dire che questo sia il costo principale da sostenere per un gruppo giovane. Il proprio tempo. La propria dedizione, niente di più. Il che non significa che non ci sia spazio per pubblicità a pagamento. Ovviamente ne usufruisce chi ha i mezzi, quindi non è il nostro caso.


CB: Ma è proprio vero che si può diventare famosi dal nulla?

SP: Io alle favole col lieto fine credo e mi piace crederci. Non vedo perché vorrei escluderlo. Alla fine il business coinvolge ogni ramo, quindi non vedo perché un gruppo senza etichetta su myspace, ma enormemente seguito e apprezzato, non possa rivelarsi appetibile per una major. Sarebbe un controsenso economico. E’ semplicemente cambiato il modo di proporsi. Non si spedisce più la cassettina marciona alla casa discografica, si da semplicemente il contatto myspace. Con la consapevolezza che in quella paginetta si debba rappresentare al meglio tutto il “mondo” e le peculiarità che il gruppo vuole trasmettere.

La casa discografica, così, si ritrova in mano molte più informazione rispetto alla sola cassetta con 4 canzoni.


CB: Mi raccontavi qualche giorno fa che dagli inizi MySpace è molto cambiato, riesci a tracciare un profilo di questo cambiamento?

SP: La peculiarità principale di MySpace è quella di essere in completa e continua evoluzione. Di essere sempre “work in progress”, al fine di adattarsi a tutti i cambiamenti e alle nuove necessità comunicative dei singoli utenti e non.

Solo due anni fa si presentava come una finestra che definirei alquanto “casereccia”, spoglia e standardizzata nelle sue parti - molto emblematica la foto di Tom, suo padre fondatore e primo “Top Friend” per tutti, in maniche corte davanti al mobiletto del PC di casa -
Oggi invece, dopo il suo boom di accessi - prima americano del 2005, e poi, mondiale del 2006 – MySpace si è riempito logicamente di pubblicità, links e attività di promozione parallele.
Per non parlare della grafica, enormemente migliorata, come pure la sua gestibilità e le possibilità che offre.


CB: Oltre MySpace... il web, come viene definito oggi, 2.0.... quali strumenti offre per promuovere se stessi ed il proprio prodotto musicale, qual’è il lavoro necessario per questo tipo di attività e quali i benefici che se ne possono trarre?

SP: Gli strumenti sono plurimi. La differenza non è in quello che offre, piuttosto al fatto che offre tutto il possibile CONTEMPORANEAMENTE. Grazie soprattutto alla sua collaborazione con altri social network come YouTube o iTunes.
Per questo motivo è più facile organizzare una vera e propria campagna pubblicitaria improntata su tutti i fronti e le su tutte, o quasi, le possibilità comunicative di cui l’uomo nel 2008 dispone.
Concretamente: audio musicali, filmati, banner, links, finestre, foto, ecc…


CB: La comunicazione è cambiata, l’on-line sta diventando uno dei canali principali e per settori come la musica probabilmente lo è già. In quali altri segmenti pensi sia più facile utilizzare il web come canale di comunicazione?

SP: A mio parere non è un discorso di facilità o in che cosa sia più facile.
Inesorabilmente il web arriverà ad essere strumento principale e fondamentale in ogni attività e settore. Il web è una rete nel mondo ramificatissima oramai. Ne ricopre la maggior parte.
Se sei fuori dal web, non esisti.


CB: Ora la sfera di cristallo.... quale futuro per: social network, Sunnation e Simone?

SP: Questo lo ignoro.

Monday, February 25, 2008

Presente e futuro prossimo di Zopa raccontati da Maurizio Sella

Maurizio Sella è Amministratore Delegato di Zopa, dopo una lunga esperienza nel banking a livello internazionale principalmente con Citigroup a Londra.



CB:
Come è nata l'idea di portare in Italia Zopa? Chi sono i promotori e quale la motivazione che vi ha fatto propendere per la partnership con Zopa piuttosto che con altri soggetti internazionali

MS: L'idea è venuta a un piccolo gruppo di soci promotori, tra cui il sottoscritto, che era venuto a conoscenza dell'iniziativa Zopa in UK. Con l'appoggio nell'azionariato di un fondo privato estero e di alcuni imprenditori italiani non del settore, abbiamo deciso di importare in franchise il modello Zopa in Italia. I nostri primi contatti con Zopa sono stati precedenti all'ingresso di altri player con altri modelli di social lending, ma abbiamo deciso di continuare con Zopa perché il suo modello borsistico rispetto al modello "ad asta" di Prosper, che è l'altro punto di riferimento a livello mondiale nel social lending, si adatta meglio alla mentalità italiana. Infatti in Italia non si ama proprio mettere in piazza le proprie necessità di denaro, spesso si tiene nascosta la richiesta di un prestito addirittura all'interno della propria famiglia. Con Zopa la privacy del Richiedente è completamente tutelata.


CB: Zopa ha avuto in Italia un grande riscontro sui media fin dal suo esordio, ma in Italia non siete i soli a fare Social Lending. Ho parlato anche con i vostri competitor e credo sia giusto farvi domande per esprimere la differenza che c'è tra Zopa e Boober, dal vostro punto di vista ovviamente.

MS: Ben volentieri. Una prima differenza è che prima di aprire il nostro mercato abbiamo costruito una forte community che abbiamo ascoltato e con cui abbiamo dialogato. È un processo lungo che è durato quasi un anno, ma è stato strategico e decisivo per il nostro grande successo iniziale: 10.000 iscritti, un milione e mezzo di euro messi in offerta dai Prestatori a cui fanno fronte 600mila euro di prestiti approvati e 420 mila euro di prestiti erogati in meno di un mese.


CB: Quali sono invece le differenze per finanziatori e richiedenti?

MS: Dal lato Prestatore Zopa si distingue per la semplicità operativa e la sicurezza. Si scelgono somma e durata del prestito, più il tasso che si vuole ottenere: automaticamente il sistema trova i Richiedenti con le caratteristiche desiderate, senza dover controllare ogni giorno, fino alla sua chiusura, l'esito dell'asta. Il Prestatore poi è molto tutelato, in primis dai controlli approfonditi che svolgiamo sui Richiedenti prima di erogare il prestito e poi, per ridurre i rischi, il prestito viene suddiviso su almeno 50 diversi Richiedenti. Il tasso a cui andrà a prestare, come ulteriore protezione, includerà il tasso di insolvenza atteso nel mercato in cui avviene il prestito. Se poi non si verifica alcuna insolvenza ciò si traduce in un maggior guadagno per lui. Per i Richiedenti, invece, al di là della convenienza - i tassi su Zopa sono attualmente più bassi, le commissioni inferiori di un punto, non ci sono costi di ingresso né costi bancari per le rate mensili - il valore sta nella tutela della privacy, come dicevo prima, e nell'immediatezza: so immediatamente, online, se posso avere il prestito. Zopa è in grado di erogarlo in 24 ore, sempre che ci vengano inviati subito i documenti necessari.


CB: Avete un inequivocabile vantaggio, Zopa ha un brand molto forte all'estero, e mi sembra che questo abbia di riflesso contribuito a darvi maggiore visibilità anche in Italia , chiedo anche a voi, senza scoprire troppo le vostre strategie, su quali fattori puntate per superarli nella competizione commerciale?

MS: In realtà, la visibilità ce la siamo creata da soli, muovendo i passi giusti dentro e fuori dal web per costruire una community di zopiani. Siamo partiti con un minisito nell'aprile 2007, abbiamo monitorato con attenzione le reazioni del web, abbiamo coinvolto i blogger nella fase a invito, dialogando con tutti coloro che si sono dimostrati interessati. Abbiamo usato le newsletter per raccontare i nostri progressi, abbiamo lanciato Zopacontest (www.zopacontest.it), un concorso creativo per creare l'immaginario di Zopa, che ha avuto ottimi risultati in termini di partecipazione e di opere prodotte. Abbiamo aperto un blog (http://blog.zopa.it) molto partecipato che in pochi mesi è entrato tra i primi 15 della classifica BlogBabel per i blog aziendali/commerciali. Il vantaggio vero - tornando alla sua domanda - è che abbiamo potuto beneficiare dell'esperienza fatta da Zopa UK in tre anni di attività e di una piattaforma stabile e collaudata. Il nostro percorso pluriennale, in termini di nuovi prodotti e servizi, è già ben delineato e tiene conto proprio dei suggerimenti che abbiamo ricevuto dalla community, la cui centralità è il nostro tratto distintivo.


CB: Rispetto alle banche "tradizionali" come sperate di erodere quote di mercato ? E' più importante il messaggio "sociale" o la componente "risparmio"?

MS: Innanzitutto non dimentichiamo che il competitor reale del social lending sono le finanziarie che detengono il 75% del mercato del credito al consumo. Direi che per ora la componente "sociale" e la componente "risparmio" siano entrambe rilevanti, vediamo una leggera predominanza della componente sociale in questa fase iniziale, ma ci aspettiamo che il fattore convenienza aumenterà d'importanza in un prossimo futuro.

continua....





Sunday, February 17, 2008

Aziende Italiane che innovano: Sadas, un database organizzato in colonne e 100 volte più veloce dei competitor

L'Ing. Mauro Pelissetti, VP Business Development di Sadas ci parla di un prodotto estremamente innovativo, nato non nella Silicon Valley ma a Napoli. Un database organizzato su colonne e non su righe. (www.sadasdb.com)


CB: Nome della società?

MP: Advanced Systems srl


CB: Qual'è l'attività della società

MP: Siamo focalizzati nello sviluppo di soluzioni software ad elevata performance per ambienti Data Warehouse


CB: il nome del prodotto?

MP: SADAS


CB: Ci descrive le caratteristiche del prodotto cercando di approfondire le caratteristiche architetturali e tecniche? In cosa si differenzia dai database tradizionali?

MP: Si tratta di un DBMS esplicitamente progettato per ambienti Data Warehouse, dove gli archivi dati hanno da un lato grosse dimensioni ma sono dall’altro essenzialmente statici (es. grossi archivi storici). E' stato quindi possibile utilizzare per l'organizzazione di dati ed indici tecniche specifiche che non sarebbero viceversa state raccomandabili in un contesto dove fossero previsti anche aggiornamenti di tipo transazionale.


CB: E'possibile dare un'idea del miglioramente nelle performance di SADAS rispetto ai suoi concorrenti?

MP: Grazie alla sua elevata specializzazione Sadas permette di migliorare i tempi di accesso di 10/100 volte rispetto a quanto ottenibile con i sistemi DBMS tradizionali (che nascono in funzione di un utilizzo più generalista e quindi meno ottimizzato sul caso specifico).

Come già detto, il miglioramento ottenibile è di uno-due ordini di grandezza in dipendenza del tipo di query che viene effettuato. Questo significa nella pratica tempi di risposta di secondi vs. minuti, o di minuti vs. ore, per complesse applicazioni di Business Intelligence.


CB: Quali sono i principali campi di applicazione di Sadas? A chi è rivolto il prodotto

MP: Il campo di applicazione riguarda tutte le situazioni dove il cliente debba mantenere grossi volumi di dati di tipo storico ed accedere a questi secondo criteri di volta in volta differenti. Ad esempio: movimentazione di conti correnti bancari, dettagli di chiamate telefoniche, etc.


CB: Come è nata l'idea di SADAS? E' difficile fare innovazione in un distretto come quello di Napoli?

MP: L'idea di Sadas deriva dagli ormai 25 anni di esperienza di Advanced Systems nel settore specifico. In passato le nostre soluzioni erano sempre state di tipo verticale e la tecnologia di accesso ai dati era sostanzialmente "annegata" all'interno di una applicazione chiusa di tipo bancario, finanziario, etc.

Con Sadas si è deciso di realizzare un DBMS aperto a sé stante, che attraverso una compatibilità SQL potesse essere integrato con qualunque strumento o applicazione di Business Intelligence il cliente ritenesse validi per la propria attività.


CB: Quali sono i principali competitor? Ne esistono in Italia?

MP: L'idea che è alla base di Sadas (quella dei database ad organizzazione colonnare) è documentata in letteratura ma ha finora trovato pochissime realizzazioni pratiche a livello industriale. In realtà non ci sono pertanto sul mercato italiano concorrenti diretti (che risolvano cioè lo stesso problema in modo analogo al nostro) e la vera concorrenza da vincere per noi è rappresentata dallo "status quo" esistente presso il cliente e cui il cliente è ormai abituato.


CB: Quali sono quindi i vantaggi che dovrebbero convincere un cliente a cambiare la propria attuale piattaforma per passare a Sadas?

MP: Innanzitutto chiariamo che Sadas non vuole essere un rimpiazzo per i DBMS oggi comunemente in uso (es. Oracle, DB2, SQL server, etc.) ma solamente uno strumento specifico da utilizzare all’interno delle poche applicazioni che abbiano le giuste caratteristiche. Quindi l’impatto sull’ambiente esistente sarà comunque minimale.

Le motivazioni della scelta vedono spesso, ovviamente, la possibilità di ridurre sensibilmente i tempi di risposta di applicazioni OLAP divenute troppo pesanti: questo è fondamentale per consentire all’utente un effettivo accesso ai dati in “tempo reale” e non confinarlo in un ambito di reportistica batch come accade quando i tempi di risposta diventano di decine di minuti o di ore.

CB: Sadas ha un impatto anche in altri ambiti oltre al miglioramento dei tempi?

MP: Certo! Vanno inoltre considerati i sensibili risparmi in termini di infrastruttura hardware e software resi possibili dall’utilizzo di Sadas, che grazie all’utilizzo di algoritmi più specializzati richiede una potenza elaborativa molto inferiore a quella normalmente necessaria con altri strumenti.



CB: Sadas è la dimostrazione che l'innovazione tecnologica è possibile in Italia, anche in un distretto come quello di Napoli, che i giornali descrivono spesso solo per i suoi tanti problemi. E' la dimostrazione che le idee, l'impegno e professionalità dei tecnici ma soprattutto il coraggio del management consentono di raggiungere obiettivi importanti. Ringrazio Roberto Goglia per la collaborazione nella realizzazione di questa intervista.

Thursday, December 20, 2007

La percezione della comunicazione delle Aziende misurata su web e giornali e l'impatto della responsabilita sociale (II parte)

Continua l'intervista a Riccardo Taverna sulla comunicazione approfondendo il tema della Social Responsibility


Un’altro dei tuoi ambiti professionali di riferimento è la Social Responsibility. Il concetto di “sociale” abbinato al concetto di “network”, cosi come nel web 2.0, è comunque un concetto che si avvicina a quello della responsabilità sociale o è una affinità solamente linguistica?


Questa domanda è molto bella! Di primo acchito ti direi che c'è solo un'affinità linguistica. Ma a rifletterci con un po' più di attenzione e curiosità non è così. Alla base del concetto di CSR ci sono gli impegni a migliorarsi che l'azienda si assume nei confronti dei propri portatori d'interesse dopo essersi confrontata con loro. Partendo da questa premessa, che è una semplificazione, e considerando ciò che abbiamo detto fino ad ora, il Web 2.0 consente agli stakeholder di comunicare direttamente la loro esperienza rispetto all'impresa facendoli così diventare dei "controllori" della responsabilità sociale dell'impresa. La singola persona, cliente, dipendente, fornitore, cittadino o altro che sia, può accorgersi di particolari problemi, errori, vizi che possono sfuggire all'azienda stessa e segnalarli. Anche questa è una visione "bucolica" della CSR e presuppone una reale volontà dell'impresa di ascoltare e di confrontarsi con i propri stakeholder. Da un'altro punto di vista la stessa segnalazione, se non è gestita opportunamente e soprattutto concretamente dall'impresa si trasforma in un "attacco" con conseguente perdita di reputazione e valore.


Sei un attento osservatore dei social network, puoi raccontarci qualche tua esperienza/ valutazione su qualcuno di questi?

Mi ricordo che già 10 anni fa un autorevole giornalista della redazione tecnologica del Sole 24 Ore durante un nostro pranzo mi descriveva l'assetto futuro di Internet basato su i "Social network". Li trovo uno strumento importantissimo per creare relazioni sia sociali che professionali di valore. I più interessanti sono quelli con i forum e un ruolo fondamentale è giocato dai Webmaster che li governano facendo rispettare le regole (... c'è sempre chi vuole andare sopra le righe o violare semplici regole di buon comportamento) difendendo la reputazione del network.
Io sono un assiduo frequentatore di asmallworld che trovo uno dei più riusciti. Una regola che ho trovato vincente di questo network è che ti devi guadagnare la possibilità di invitare frequentando il network stesso, un modo piuttosto efficace per fare selezione.


Quale sarà a tuo parere il passaggio successivo dei Social network?

Senza dubbio quelli verticali, tematici!

Monday, December 17, 2007

La percezione della comunicazione delle Aziende misurata su web e giornali e l'impatto della responsabilita sociale

Riccardo Taverna, partner e fondatore di B2 Comunicazione e di Ethics2Business, si occupa da anni di Reputation Management, CSR e Comunicazione al mercato finanziario. Grande appassionato di comunicazione ha sempre cercato di misurare l'impatto dell'esistenza di un'organizzazione sulle comunità e sui gruppi e i percorsi di formazione delle opinioni. E’ convinto che per superare le consuetudini con successo occorre miscelare innovazione e buon senso.



Sei l’ideatore di BSQ, per misurare il brand di una società quotata e di Hespi, indice di reputazione di un'impresa rimandata dalla stampa. Ma la reputazione ed il prestigio sono veramente misurabili?

La risposta necessita di una premessa. La reputazione ed il prestigio possono essere riconducibili ad un modello di percezione, cioè quello "schema mentale" al quale un soggetto fa riferimento, anche inconsapevolmente, quando si rapporta a quei temi. Ricostruendo lo schema mentale, attraverso il confronto con più soggetti, se ne possono identificare le dimensioni, i parametri, arrivando a misurarli. In questo modo concetti altamente intangibili quali rispettabilità possono essere resi misurabili e quindi un po' più intangibili. Dal punto di vista metodologico occorre specificare che il valore della misurazione è più significativo se si compiono rilevamenti successivi identificando un trend.



Il web ha dilatato la possibilità di produrre e far conoscere “opinione”. Questo facilita o rende più complessa la valutazione sulla comunicazione di una azienda o di una istituzione?

La rende più complessa perché bisogna comunicare correttamente attraverso più canali di comunicazione dedicando molta attenzione agli effetti prodotti dal canale stesso. Secondo me è necessario partire misurando il grado di credibilità che ogni soggetto attribuisce ai canali di comunicazione (tv, stampa, Web). Successivamente, all'interno del canale, la credibilità attribuita ai mezzi. A questo punto si può passare a misurare l'effetto della comunicazione sui target e quindi sulla reputazione e sull'immagine dell'impresa e/o dei suoi prodotti. Sì, ha reso la valutazione più complessa perché si è aperto il canale dei blog le opinioni dei quali sono più complicate da monitorare... ma noi ci stiamo lavorando.



Esiste una distorsione spesso tra come una comunicazione viene concepita e come invece viene recepita. Un fenomeno che sembrava in qualche modo controllabile con i media tradizionali, un pò meno con il popolo del web

La distorsione è un fenomeno naturale la causa della quale risiede sia negli emittenti che nei riceventi. spesso le aziende, nella comunicazione, danno per scontati dei concetti, allo stesso modo i lettori e i consumatori filtrano i messaggi con il loro vissuto. Gli intermediari della comunicazione, penso per esempio ai giornali, ci mettono del loro (... che lo facciano in buona fede o in cattiva fede non sta a me stabilirlo). A prescindere, la distorsione deve essere data per scontata e gestita monitorando le opinioni e la loro formazione e correggendo i messaggi. Il canale del popolo del Web ha allargato le maglie del controllo: sono cresciute le fonti di informazioni indipendenti. Penso ai già citati blog dove i consumatori possono esprimere liberamente le proprie opinioni, raccontare la loro esperienza rispetto a un prodotto, ad un servizio o addirittura ad un'impresa.



È vero come dice Grillo che oggi è più difficile ingannare i consumatori ?

Assolutamente si!



In verità, web o non web, la storia è piena di abili comunicatori di massa che riescono a far apparire il contesto differente dalla realtà. I dittatori non sempre sono partiti controllando i media, ma hanno generato lo stesso consenso. Certamente li hanno controllati per il mantenimento dello stesso. Anche i televenditori, spesso presi in giro, sono fenomeni mediatici di successo. Come può un’azienda o un uomo politico monitorare il consenso o indirizzare la formazione dell’opinione?

Si può monitorare il consenso, si deve monitorare il consenso. Con questo intendo che occorre assicurarsi che i pubblici percepiscano correttamente i soggetti, per quello che sono realmente. Peccherò di ingenuità ma le prime qualità di un comunicatore devono essere la credibilità e l'integrità, anche perché con il cambiamento dei modi di comunicare le bugie avranno le gambe sempre più corte. L'unica cosa che temo è la pigrizia delle grandi masse di andare a cercare informazioni da fonti indipendenti.

Thursday, December 13, 2007

Continuano le interviste alle aziende italiane che esportano tecnologia:lo streaming Ajax di Lightstreamer raccontato da Alessandro Alinone (II parte)

...Continua dal post precedente


So che intorno a Lightstreamer state facendo crescere anche una comunità di sviluppatori, il pacchetto infatti è free downloadable. Per quale tipologie di applicazioni vi sollecitano ed inoltre Lightstreamer è un server che necessita di molte risorse hw?


Con l’introduzione lo scorso marzo di Lightstreamer Moderato, un’edizione di Lightstreamer completamente gratuita (anche per uso commerciale), abbiamo iniziato a creare una comunità di sviluppatori affezionati alla nostra tecnologia. E il forum di supporto online ci sta consentendo una buona interazione.



Ma come si vende tecnologia all’estero? Non c’è un pregiudizio verso gli italiani? In fondo ci conoscono per la moda, gli spaghetti ed il vino...


Sì, infatti. Al nostro sito Web abbiamo dato un’impronta molto internazionale. Accade allora che i potenziali clienti ci contattano, dando inizio gli approfondimenti tecnici e alle trattative commerciali. Quando si arriva alla domanda “where are you based?”, noi rispondiamo “Milan, Italy”. Al che ci dicono: “ah, siete la filiale italiana di un’azienda americana?” :-) Ormai siamo abituati allo stupore iniziale degli interlocutori nel trovarsi di fronte una software house italiana. E questo accade costantemente, alle fiere del settore, ai meeting dei consorzi di standardizzazione, ecc. Ma questo è anche fonte di profondo orgoglio, visto che pur partendo da queste condizioni, abbiano raggiunto dei traguardi che un tempo ci sembravano impossibili. Ad esempio: vendere software italiano nella Silicon Valley (due anni fa abbiamo conquistato il nostro primo cliente a San Mateo); e il già menzionato accordo OEM con TIBCO Software.



Il sito web è quindi un po’ lo snodo centrale della vostra strategia commerciale. Quanto impegno richiede....?


La gran parte dei contatti commerciali arrivano attraverso il sito Web, che è quindi una risorsa fondamentale. il sito è abbastanza semplice, ma con una grafica curata. Consente di vedere subito, senza registrazione, moltissime demo. E consente di scaricare il prodotto previa registrazione. E’ fondamentale anche essere presenti su siti e blog di terze parti, che sono spesso il punto di riferimento per le comunità di sviluppatori. Ad esempio, recentemente i fondatori di Dojo [uno dei principali toolkit AJAX] hanno lanciato un nuovo blog, “cometdaily.com”, dedicato interamente alla tecnologia Comet. Ci hanno chiesto di partecipare, contribuendo con i nostri articoli.



Quanto è difficile fare innovazione in Italia? Questione di capitali, di infrastrutture o di talenti? In fondo forse era meglio andarsene a Silicon Valley...


Non è facile. Ci vogliono le giuste condizioni e un pizzico di fortuna. Personalmente devo buona parte della forma mentis improntata all’innovazione al Cefriel del Politecnico di Milano, dove ho lavorato come ricercatore prima di entrare nell’industria privata. A volte mi stupisco di come sia facile negli USA lanciare nuove tecnologie. Bastano un’idea discreta e un business plan per trovare i capitali che consentono di iniziare un’avventura.



Puoi anticiparci qualche novità interessante riguardo Lightstreamer?


Attualmente stiamo lavorando alla nuova major release del prodotto, che conterrà Lightstreamer Server v.4.0 e Lightstreamer Web Client v.5.0. Aumenterà la flessibilità nella scrittura degli Adapter (i componenti necessari per integrare il server con le sorgenti dati) e ci sarà una parziale reingegnerizzazione del kernel. Parallelamente vogliamo aumentare la quantità di esempi e tutorial disponibili, per rendere la curva di apprendimento di Lightstreamer sempre migliore.



Per quanto riguarda la tecnologia in generale, tu sei sempre in giro per il mondo, quali sono i temi caldi all’estero?


Una delle svolte tecnologiche dell’ultimo anno è stata certamente la migrazione verso AJAX da parte delle banche. Alle fiere americane del settore si è visto cambiare da un anno con l’altro il profilo dei visitatori. Dagli smanettoni, un anno fa, ai rappresentanti delle principali istituzioni finanziarie mondiali, quest’anno. Credo che questo trend si consoliderà, aiutato anche dalla crescente maturità di Comet.


Carlo Bruno.

Monday, December 10, 2007

Continuano le interviste alle aziende italiane che esportano tecnologia: lo streaming Ajax di Lightstreamer raccontato da Alessandro Alinone (I parte)

Alessandro Alinone è Chief Technology Officer presso Weswit, che produce e commercializza Lightstreamer. Alessandro creò Lightstreamer quando lavorava per Sol-Tec, un system integrator in ambito finanziario, che con un spin-off della tecnologia diede vita a Weswit.
Dopo la laurea in ingegneria informatica al Politecnico di Milano ha lavorato come ricercatore al Cefriel


Lightstreamer è un prodotto di nicchia, siete probabilmente poco conosciuti al grosso pubblico, sopratutto in Italia, allora con qualche domanda, modello intervista delle “Iene”, vorrei tracciare un vostro breve profilo:

1. Nome?

Lightstreamer (www.lightstreamer.com).


2. Di che tecnologia vi occupate?

Di tecnologia “Comet”, ovvero un’estensione al paradigma AJAX.


3. Da quando avete cominciato?

Il progetto Lightstreamer nacque nel 2000 (anche se i termini usati sopra sono ben più recenti).


4. Uno dei vostri maggiori successi è l’accordo con Tibco, leader mondiale della tecnologia di integrazione. Ce ne puoi parlare un po’?

L’accordo con Tibco è stato indubbiamente uno dei principali successi. Tibco Software, leader storico nel middleware di messaging (ricordiamo Rendezvous ed Enterprise Message Service) ha ufficialmente annunciato lo scorso maggio un accordo OEM con Lightstreamer. In sostanza, per estendere il “messaging asincrono” al Web, invece di sviluppare un prodotto da zero, Tibco ha scelto di fare un rebranding di Lightstreamer, e di venderlo come engine del nuovo TIBCO Ajax Message Service (AMS).


5. Ci puoi fare il nome di qualche cliente internazionale?

I nostri clienti appartengono prevalentemente a due mondi: il finance e il gaming (anche se talvolta i confini tra i due appaiono sfumati...). Nel finance possiamo annoverare due tra le più grosse banche d’affari del mondo, di cui purtroppo non posso fare il nome. Posso però citare G.X. Clarke, Hedgestreet e PatSystems. Nel gaming abbiamo una prevalenza di clienti anglosassoni, che coprono i più diversi settori, dalle scommesse sportive allo spread betting sul mercato Forex. Ad esempio IG Group.


6. In Italia?

Un cliente storico è IntesaTrade, del gruppo Intesa Sanpaolo. Posso poi citare UniCredit Group e Banco Popolare.


7. Quali concorrenti internazionali avete?

Per molti anni ci siamo trovati di fatto senza concorrenti, ma anche senza un vasto bacino di utenza... Col senno di poi possiamo dire che eravamo probabilmente in anticipo sui tempi. E’ solo con la recente esplosione del mercato AJAX che abbiamo visto crescere sia la concorrenza , sia la quantità e la qualità dei clienti. Nel mercato finance il nostro principale concorrente è una software house inglese, che solo di recente ha introdotto il supporto AJAX nella propria soluzione. Nel segmento low-end invece la concorrenza è con le iniziative open source, prima tra tutte il progetto Cometd. Per questo motivo forniamo anche un’edizione completamente gratuita di Lightstreamer, anche se il nostro modello rimane closed source. Tuttavia siamo estremamente attivi sul fronte dell’apertura delle API e dell’interoperabilità con framework e toolkit di terze parti. Siamo membri dell’OpenAjax Alliance, consorzio dei principali player del mondo AJAX. Periodicamente ci incontriamo e partecipiamo al cosiddetto InteropFest, dove ciascun vendor porta un’applicazione demo che dimostri l’interoperabilità della propria soluzione. L’ultimo InteropFest si è svolto a settembre ed è stato ospitato da Microsoft.


8. E in Italia ?

Non ci risultano concorrenti italiani.


9. Che unità di misura di riferimento usate per contare i contatti mensili al vostro sito, decine, centinaia, migliaia o..?

I contatti mensili sono diverse migliaia, che portano ad alcune centinaia di nuove registrazioni ogni mese per il download del prodotto.



Bene... questa era una sorta di scheda anagrafica, giusto per dare una informazione reale sull’impatto sul mercato. Ora andiamo al sodo, anche perché mi piacerebbe qualche approfondimento tecnico...


Dunque voi siete molto noti nella comunità Ajax, ma in realtà l’unica novità vera e propria di Ajax è il superamento della logica passiva del web, il classico paradigma pull.
Anche se è solo un pull mascherato non è un meccanismo che supera la necessità di un push? Uno degli slogan è l’AJAX streaming, ma in realtà il vostro prodotto esiste ancor prima che la sigla AJAX stessa si diffondesse. Quale è il rapporto tra queste due tecnologie?

Forse una breve cronistoria può aiutare a districarsi nei meandri delle “buzzword” tecnologiche legate al mondo AJAX. Il Web si è sempre basato su un paradigma definibile, più o meno intercambiabilmente, come “pull”, “request/response”, o “sincrono”. In sostanza, per ogni azione dell’utente, il browser effettua una richiesta al server, il quale risponde con una pagina nuova che sostituisce la precedente. Già dieci anni fa era possibile costruire pagine Web particolarmente evolute che aggiravano questo paradigma, ma per tutta una serie di motivi, la vera e propria rivoluzione si è verificata solo a partire dal 2005, anno di invenzione del termine “AJAX” (ma non certo del paradigma sotteso, ben più antico). AJAX è l’acronimo di “Asynchronous JavaScript and XML”, anche se ormai la parte “XML” della definizione sta cadendo concettualmente in disuso (XML è solo uno dei possibili protocolli di comunicazione; più spesso si usa JSON). Con AJAX, le richieste fatte dal browser al server non sono più necessariamente finalizzate al caricamento di una nuova pagina. Il browser può chiedere dati puri, che poi visualizzerà in modo asincrono rispetto alle azioni dell’utente. Questo approccio rende le applicazioni Web molto più interattive, ma non “real-time”. Un’applicazione real-time richiede un’inversione del paradigma pull classico, per approdare a un paradigma definibile come “push”, “publish/subscribe” o “asincrono”. In questo modo è il server che prende l’iniziativa e manda dati aggiornati al browser non appena disponibili. Per delineare questo paradigma, nel 2006 è stato inventato il termine “Comet” (di nuovo, solo il termine, mentre la tecnologia esisteva già da molti anni). Come nota di colore, in America Comet è una marca di detergenti alternativa ad Ajax... E’ bene chiarire che la tecnologia Comet non è alternativa ad AJAX, ma ne rappresenta a tutti gli effetti un’estensione. Come dicevo prima, Lightstreamer nacque nel 2000, come implementazione completa del paradigma Comet. Prima che inventassero questo termine lo scorso anno, noi utilizzavamo la locuzione “Streaming AJAX”.


Su cosa si basa la vostra tecnologia? io credo che sia estremamente interessante e potrebbe veramente essere utilizzata in mille casi per delle applicazioni realmente interattive... per esempio il mondo dell’informazione è il segmento ideale

Lightstreamer è utile in tutti i casi in cui bisogna inviare dati in tempo reale attraverso Internet, verso applicazioni Web o di altro tipo. Trattiamo esclusivamente dati testuali (stringhe, numeri, ecc.) e non multimediali (non facciamo cioè streaming di audio o video). L’applicazione più tipica è la visualizzazione delle quotazioni di borsa che si aggiornano continuamente. Basta un qualunque browser Web, e senza fare il download di alcun componente (nemmeno di un’applet Java) si vedrà la pagina aggiornarsi in tempo reale. Ma anche i sistemi di chat, messaging e i social network posso trarre beneficio da Lightstreamer. Altre possibili applicazioni sono: console di monitoring, trasmissione di risultati sportivi e alert di ogni genere.


Il problema classico del push è quello di utilizzare molta banda ed in molti casi questo è ancora un problema, pensiamo solamente al mobile per esempio..

Eh sì... Se da un lato la banda media disponibile per ogni accesso Internet è enormemente aumentata rispetto a dieci anni fa, dall’altro lato si sono diffuse modalità di accesso molto eterogenee, a partire dall’Internet mobile in tutte le sue declinazioni. I primi sistemi di push dei dati sprecavano parecchia banda per inviare informazioni ridondanti o non rilevanti e soprattutto non tenevano in considerazione la banda effettivamente disponibile istante per istante.


Puoi raccontarci qualche features applicativa e darci un’idea delle potenzialità delle prestazioni?

Con Lightstreamer abbiamo voluto implementare fin dall’inizio un meccanismo di controllo di banda, caratterizzato da aspetti sia statici sia adattativi. Il tutto nasce da considerazioni sulla natura del dato testuale. Ad esempio, esistono tipologie di dati che sono comprimibili mediante “delta”. Se ogni aggiornamento è caratterizzato da uno schema comune, è sufficiente inviare solo i campi cambiati e non l’intero evento. Vi sono poi tipologie di dati filtrabili in frequenza. Il classico esempio è quello delle quotazioni finanziarie. Se il titolo Microsoft sul NASDAQ valorizza 100 prezzi in un secondo, difficilmente avrò bisogno di inviare 100 eventi al secondo a un fruitore umano. Spesso 2 o 3 aggiornamenti al secondo sono più che sufficienti, purché si mantenga la consistenza del dato dopo l’operazione di filtraggio (detta “conflation” nel gergo finanziario). Lightstreamer permette di assegnare una banda massima ad ogni utente, con la garanzia che non verrà mai superata, consentendo così un facile dimensionamento della connettività Internet in uscita necessaria per erogare un buon servizio. Il rispetto della banda assegnata avviene applicando algoritmi di filtering, conflation, bursting, queueing, ecc. Ma se un’improvvisa congestione di rete fa sì che la banda disponibile sia ancora meno di quella allocata, allora il sistema inizia automaticamente a ridurre la quantità di dati inviati, fino a calibrarsi sul valore ottimale (throttling). In questo modo si evita di mandare dati vecchi che verrebbero accodati nei vari buffer che separano il client dal server.
Per quanto riguarda invece le prestazioni del server, fondamentale è la scalabilità. Un sistema di push deve reggere parecchie migliaia di connessioni TCP concorrenti. Per questo motivo le architetture tradizionali dei web server e degli application server non sono adatte per realizzare soluzioni Comet scalabili. Lightstreamer utilizza un’architettura proprietaria di tipo staged event driven, dove pool di thread di dimensioni fisse gestiscono un numero arbitrario di connessioni concorrenti.


segue....

Tuesday, December 4, 2007

Quando il network diventa realmente "social", il web usato per il no-profit. L'esperienza Aism di Isabella Baroni

Isabella Baroni si occupa di web, web 2.0 ed iniziative ad essi collegati per conto dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM). Dopo diverse esperienze in aziende del settore IT oggi si occupa di web marketing per questa importante associazione. Per interesse professionale e personale si è occupata da sempre dei temi legati all’usabilità ed accessibilità delle applicazioni web.


- Ciao Isabella, grazie della tua disponibilità. Il web 2.0 ed i social network sono uno strumento per le vostre campagne? Un bacino di utenti, collaboratori o cosa?

Web 2.0 e social network possono rappresentare uno strumento utile per la comunicazione, per le campagne di sensibilizzazione e di raccolta fondi; dall’altra possono rappresentare qualcosa di ancora più significativo per una associazione come l’AISM dal punto di vista di strumenti collaborativi e di servizio: penso a obiettivi di socializzazione, informazione, condivisione, partecipazione, formazione. Per persone con sclerosi multipla e in particolare per raggiungere un pubblico più giovane (contrariamente a quanto spesso si pensa la sclerosi multipla colpisce principalmente tra i 20 e 30 anni). Ma anche per volontari, per ragazzi in servizio civile, per operatori sanitari.


- Ho letto una bellissima recensione sulla vostra iniziativa delle “mele virtuali” e naturalmente concordo in tutto e per tutto. Per la mia domanda approfitto di un tema accennato proprio in quel commento, ci sono differenze tra l’uso che si fa in Italia del web e quello che succede all’estero? Ci puoi raccontare qualche iniziativa che ti ha colpito più di altre?

Dall’estero abbiamo molto da imparare. Ecco una iniziativa interessante: www.change.org, un sito di social network dedicato all’attivismo sociale. In pratica, milioni di persone possono connettersi l’una con l’altra per portare avanti delle iniziative a livello globale.

Ecco, un sito come questo ha una potenzialità significativa da questo punto di vista: favorisce il processo di aggregazione e valorizza il senso di partecipazione comune a una stessa causa. Favorisce la costruzione di una comunità, di una rete direttamente dal basso e che non ha limiti geografici.


- Le funzionalità disponibili sulle varie piattaforme di social networking cominciano ad essere un pò ripetitive... cosa vorresti avere a disposizione di “collaborativo” per il tuo lavoro?

C’è da dire che ogni piattaforma adesso incorpora meccanismi di condivisione ma poi, di fatto, il suo valore dipende dai contributi e dalla collaboratività che è in grado di attivare negli utenti. Personalmente vorrei poter disporre un ambiente unico di lavoro, e accessibile da qualsiasi pc.


- La mia impressione è che i network sociali poi siano in realtà molto protettivi e “poco sociali”, difficile andare oltre quello che mettono a disposizione di preconfezionato. Che ne dici? E dal punto di vista dell’usabilità? Tu sei una grande esperta di questi temi.

Dal punto di vista dell’usabilità, il nodo ancora da risolvere è la portabilità dei dati su applicazioni diverse, l’assenza di uno standard. E poi su questo aspetto c’è ancora una contraddizione ben più astiosa da risolvere: tra modello collaborativo e modello proibitivo a (presunta) tutela della proprietà intellettuale.


- Ci racconti brevissimamente le iniziative di Aism riguardanti il web, come quella delle mele di cui abbiamo parlato in apertura?

personalmente ho seguito con particolare cura www.giovanioltrelasm.it, il sito dedicato ai giovani messo on line all'inizio di quest'anno e l'iniziativa ad esso collegata, ovvero www.giovanioltrelasm.it/mela, una campagna on line "Fai qualcosa di buono" legata a Una Mela per la Vita, un appuntamento tradizionale e oramai consolidato dell'associazione.
Attualmente è in corso www.stelledellasolidarieta.it : un'iniziativa di raccolta fondi on line legata al Natale solidale Aism.

Su http://aism.axenso.com/ abbiamo un vero e proprio archivio di video di convegni e seminari realizzati su temi di interessi delle persone con sclerosi multipla, realizzati per favorire il confronto diretto con i ricercatori e poi... ...abbiamo qualche altra novità in cantiere..



- Quali sono gli altri strumenti/canali che utilizzate per sfruttare al meglio le potenzialità di comunicazione espresse oggi dai social network?

Oggi siamo su Youtube con un canale sclerosimultipla http://www.youtube.com/sclerosimultipla con tutti i video degli spot e delle ultime campagne, e su Delicious (sclerosimultipla) ma certamente appronteremo altri strumenti di social networking come Facebook e Myspace. Abbiamo iniziato una riflessione che riguarda questi strumenti innovativi: quest'anno per esmepio abbiamo chiesto ad un esperto di venirci a parlare di Second Life, e vorremo fare lo stesso su altri temi.

Insomma sondiamo un po tutto per capire poi cosa ha senso utilizzare, come utilizzarlo e in quale dei numerosi ambiti che ci coinvolgono (dalla informazione, alla formazione, alla raccolta fondi, etc...).
Tutto naturalmente oltre alla "ordinaria" gestione del sito associativo www.aism.it, ricco di migliaia di pagine.


Grazie ad Isabella, ma anche, per tutto quello che fa, grazie Aism!

Carlo

Tuesday, October 30, 2007

Sondaggio: le aziende italiane che fanno innovazione. Miki Fossati ci parla del motore di ricerca semantico





Questa di oggi è la mia prima segnalazione nell'ambito del mini sondaggio che sto facendo sulle aziende italiane che innovano. Quella di oggi è una conversazione con Miki Fossati, CEO di "Nel Web" (http://www.improntenelweb.it). Miki è uno dei più antichi abitanti della blogosfera e si occupa di edizioni online (ultima produzione in ordine di tempo è 'Archphoto rivista digitale di architettura arti visive e culture' – http://www.archphoto.it). Insieme ad Andrea Baresi (http://www.webdomus.it/tao) ho sviluppato il primo aggregatore semantico sperimentale in Italia. Il suo blog è http://mezzomondo.nelblog.it


Una delle componenti principali del web 2.0 è la ricerca semantica. Tu sei uno dei primi ad avere realizzato un motore di ricerca semantico in Italia, quali risultati ed in quali contesti può essere più utile di un motore generalista come Google?

In effetti i motori semantici ed i motori di ricerca della generazione di Google fanno due lavori molto diversi tra loro. Tipicamente il valore semantico delle singole chiavi di ricerca che vengono utilizzate nei motori di ricerca è molto piccolo se non addirittura nullo e spesso è un lavoraccio riuscire ad estrarre il 'significato' da così pochi termini potenzialmente ambigui. Vien da dire che è impossibile, addirittura. I motori semantici operano sulla stessa materia prima, il testo, ma senza frammentarla cercando di riconoscere al suo interno alcuni pattern che possano far dire loro “ci siamo!”, “eccolo!”, “si sta parlando di questo!”. Una volta delineati gli argomenti di interesse un motore semantico è in grado di scandagliare la Rete alla ricerca di chi parla di quegli specifici argomenti e di esprimere valutazioni di “affinità” di quanto via via viene trovato. Chissà, le prossime generazioni dei motori di ricerca saranno forse in grado di fare entrambe le cose, cercare singole chiavi ed evidenziare aree comuni di significato all'interno di insiemi di testi.


Senza naturalmente svelare i tuoi segreti industriali, puoi brevemente spiegare, a scopo didattico, su quali concetti e tecnologie si basa un motore semantico?

Un motore semantico è un robot che ha imparato a leggere e a capire il significato del testo che sta leggendo. Essendo un robot è molto veloce ed è in grado di leggere decine di migliaia di testi al secondo, è in grado di incasellare nelle aree semantiche a cui è stato addestrato questi testi ed è in grado di creare relazioni di “affinità”, come dicevo, tra i vari testi. La difficoltà sta nel fatto che gli strumenti che si utilizzano per raggiungere questo scopo sono multidisciplinari: teoria dei modelli, informatica, linguistica computazionale, intelligenza artificiale.


E le tue esperienze pratiche di utilizzo del motore?

Il motore ha circa un anno e mezzo di vita ed è stato utilizzato con buoni risultati durante i mondiali di calcio dell'anno scorso (http://www.moltomondiale.it) e durante il festival di Sanremo di quest'anno (http://www.improntenelweb.it/sanremo2007), due versioni oggi “congelate”. La sua incarnazione attuale si può ammirare su http://www.moltomoda.it un aggregatore semantico sulla moda italiana pubblicato grazie alla collaborazione di Mondadori.


Gartner, in un suo recente studio, ha detto che le aspettative di maturazione delle tecnologie, relative ad i motori semantici, sono attesi in un arco temporale di 10 anni... prudenza eccessiva o realtà?

Non sono mai stato bravo con le profezie e non ho la minima idea di come possa essere la Rete ed il suo mercato fra dieci anni. Di certo i motori semantici rappresentano una frontiera che prima o poi bisognerà varcare. La mia esperienza dice che la tecnologia è più che pronta per affrontare la sfida ed il problema risiede soprattutto nella disponibilità degli investimenti. Non è escluso che qualcuno dei grandi attori di Internet si sia già mosso in questa direzione, Google in testa.


Sempre la medesima analisi di Gartner indica il web 2.0 nella cosiddetta fase di riflusso prima della definitiva maturazione. In parte concordo, visto la generale assenza, negli ultimi tempi, di novità tecnologiche, però da un punto di vista del successo di pubblico, mi sembra siamo ancora nella fase dell’entusiasmo, tu cosa ne pensi?

Che l'Italia vede la Rete da un minuscolo spiraglio, resta da capire se questo spiraglio si trova nella testa delle persone o dove altro. Il problema della partecipazione è fondamentale nel nostro paese. Quello che gli analisti leggono come “successo” è in realtà lo specchio di una situazione miserabile, generare un traffico di un milione di visitatori al giorno dovrebbe farci domandare: “quanto diffusa è questa informazione?”. Poco. In Francia quello che succede sulla Rete lo sanno tutti, in Italia non lo sa nessuno, ministri compresi.


Qual’è secondo te lo stato del mercato, l’offerta c’è.. ma la domanda è già in uno stato di maturità?

Lo stato della domanda è desolante. I VC italiani con i quali sono entrato in contatto nell'ultimo anno si sono dimostrati di un'ignoranza e di un'incompetenza sconfortante, senza eccezioni. Lo stato del mercato? in Italia il mercato lo devono ancora costruire, in Italia il mercato non esiste proprio. Novità sulla Rete che si possano definire “di mercato” nell'ultimo anno non ce ne sono state e temo che dovremo attendere la morte, fisica, di molti dei manager delle grandi aziende per poter avere quel ricambio generazionale e di mentalità che tutti stiamo aspettando.


Beh.. basta una buona pensione... tornando al tema, chi fa vera ricerca in Italia?? Qui, dove l’informazione è libera e non abbiamo problemi di budget, possiamo dire che ci sono tante realtà, come Impronte nel Web, che fanno vera innovazione?

L'innovazione proviene da NelWeb al prezzo di rinunce ed enormi sacrifici personali e questa situazione è condivisa da alcune delle realtà di livello con cui sono entrato in contatto grazie all'esperienza dell'aggregatore semantico. L'unico ossigeno in questo panorama proviene dalla “superiore attività civilizzatrice dell’Unione Europea” della quale ogni tanto è possibile approfittare ma nella quale però non è sempre possibile sperare. In Italia vedo nascere ogni giorno progetti interessanti e di ottima qualità, appetibili anche a livello internazionale, e li vedo restar lì ad attendere languidi nel deserto.

Thursday, October 25, 2007

L'Osservatorio sulla Posta Elettronica , dati ed analisi di Filippo Dini

Filippo Dini è Business Manager di Babel (www.babel.it), promotore dell'Osservatorio sulla Posta Elettronica (www.osservatoriopostaelettronica.it) in coda al post una semiseria autodescrizione della sua vita professionale.

Ciao Filippo, Babel è promotrice dell’Osservatorio sulla Posta Elettronica, perchè? Esiste una necessità di monitorare l’uso di questa tecnologia?

Carissimo Carlo,
Babel è promotrice di un Osservatorio sulla Posta Elettronica perché è diventato lo strumento principale di comunicazione e fino a ieri non c’era una ricerca italiana che potesse fotografare lo stato dell’arte. Si trovano solo ricerche americane o europee. Volendo dare una fotografia ed un valore a questo mercato circoscrivendolo all’Italia, abbiamo realizzato questo studio. Le difficoltà non sono state poche, ma i risultati ci hanno dimostrato che l’interesse per questo tipo di pubblicazione è alto.


Puoi sintetizzarci qualche risultato interessante che avete riscontrato con il vostro osservatorio? E naturalmente quali i problemi...
Innanzi tutto vi invito a scaricarvi l’osservatorio al link www.osservatoriopostaelettronica.it. In poche parole (ma come si fa ad essere concisi con un argomento così vasto?) è emerso che, con il 12% del campione, c’è stato un incremento del 7% rispetto al 2006 di aziende che utilizzano sistemi di posta open source mentre IBM e Microsoft si dividono il restante 88% della torta. Le problematiche emerse sono quelle note a tutti. Lo spam raggiunge il l’incredibile soglia del 90% delle mail che circolano e la sicurezza applicata alla posta è sempre più importante perché i sistemi di posta sono diventati “Mission Critical” per l’88,2% delle aziende.


Uno dei temi dell’osservatorio era la posta certificata... a che punto siamo? Chi la usa ?

Esistono delle normative che regolamentano l’uso della posta certificata e che ne impongono l’uso, per esempio per lo scambio di informazione con il ministero del tesoro etc.. Esistono 17 gestori di PEC (al momento della stesura dell’osservatorio) e la prevalenza delle aziende si appoggia a questi gestori per avere 1 o 2 caselle PEC. Alcune realtà hanno invece provveduto a mettersi in casa il sistema. Questi ultimi sono comunque veramente pochi per i requisiti stringenti imposti dalla normativa in ambito di capitale sociale minimo richiesto (100 milioni di euro) ed al piano di sicurezza.


La mail è stato uno dei primi strumenti collaborativi aziendali, tant’è che oggi sembra quasi strano parlare della posta come strumento del web 2.0 (consentimi la semplificazione nell’usare il termine web 2.0). come si inserisce in un panorama di razionalizzazione degli strumenti, dalle piattaforme collaborative, alle chat, IM, blog, wiki o il VoiIP? Qualcuno le chiama Unified Communications

Bella domanda. Quella di riserva?
No, scherzi a parte il panorama della comunicazione e della collaboration informatica sta mutando rispetto a quello a cui siamo abituati.
Mentre ieri il telefono ed il fax erano i principali strumenti di lavoro, in tempi recenti la e-mail ha completamente soppiantato questi arcaici e onerosi strumenti di comunicazione. Oggi, con l’avvento dell’Instant Messaging (la chat) siamo arrivati ad un livello di comunicazione impensabile
pochi anni fa. E’ possibile parlare con chiunque nel mondo anche per chiedere solo poche cose con il solo costo della connettività alla Rete (con la R maiuscola), Internet. La frontiera della comunicazione si è ulteriormente infranta con l’avvento del VoIP che ha consentito alle persone di comunicare a voce. Infatti, se c’è un punto a sfavore delle e-mail o della Chat e che non si possono interpretare i segnali verbali non espliciti come il tono e l’intonazione della voce, che danno un senso alla discussione. E’ facile quindi fraintendersi ed equivocare quanto scritto. Per questo motivo sono nate le “emoticons” o faccine.. con il VoIP invece è stato possibile comunicare a voce e quindi più velocemente e a scanso equivoci.


L’Enterprise Instant Messanging viene indicato come una tecnologia matura che si sta affermando nelle aziende. A scapito delle posta elettronica?

Più che a scapito direi a corredo. Facciamo un esempio. Se ti devo chiedere una cosa del tipo “ci sei domani alle 14:00 che passo a trovarti”, il tempo in cui avrò la risposta è molto elevato, da pochi minuti a giorni. Devo infatti scrivere la e-mail, aspettare che ti arrivi (ed i tempi non sono
predicibili perché potrebbero esserci intoppi sul mio mail server o sul tuo di cui non sapremo niente), poi tu la devi leggere, ed io non so se sei al PC in quel momento e devo aspettare una tua risposta. Con l’Instant Messaging invece io vedo subito se sei al PC o meno (si chiama presence e mi indica chi è on-line al momento) e quindi posso scrivere il mio messaggio ed aspettarmi una risposta pressoché immediata. Ma se invece ti devo mandare un resoconto su una attività comune, magari con qualche documento allegato, l’instant messaging non va bene. Pensa anche solo agli acquisti on-line oggi sempre più diffusi… con l’IM non potrei avere le ricevuta, mentre con la email posso tranquillamente ricevere le mie informazioni utili anche per una eventuale contestazione.


Un’altro “attacco” che subisce la posta è quello dello spamming, non rischia di far sembrare appunto la posta meno affidabile di sistemi come gli IM?

Anche per l’IM ci sono una serie di problematiche relative alla privacy… se lasci il tuo account libero di essere contattato da chiunque, per esempio, potresti ricevere messaggi dalle persone più disparate in cerca di compagnia.. per non dire di peggio :-)
Vedrai che non passerà molto tempo prima che inizino a mandarti messaggi equiparabili allo spam. La e-mail SPAM in realtà ha una sua natura ben definita e per questo intercettabile con un livello di sicurezza molto elevato ad oggi. Non per niente esistono moltissime aziende che hanno fatto dell’AntiSpamming il loro core business. Parlando di spam, comunque, mi piacerebbe portare alla tua attenzione che, se ieri il problema era bloccare lo spam, oggi invece lo sforzo si sposta sull’evitare che tutte le mail entrino nella rete dell’azienda colpita, per evitare che una mole eccessiva (si parla del 90% delle e-mail ricevute) impegni le risorse di rete o i server creando disservizi. Sono nati così appliance (sistemi integrati Hardware/Software) che lasciano questo tipo di e-mail fuori dalla rete. Un esempio? Gli appliances di F5 (www.f5.com)


La nostra posta contiene spesso anche molta della conoscenza aziendale, e non è solo un problema di storaging dell’informazione quanto anche di organizzazione e ricerca. A che punto siamo? Quali strumenti?

Google (e tutti sappiamo di cosa parlo) ha realizzato degli appliances per portare il proprio algoritmo di ricerca alla portata di tutti. Sono estremamente costosi e per questo non ancora diffusi, ma è il primo passo. Esistono anche software per fare questo (un esempio? Beagle http://beagleproject.org/Main_Page), ma poi entra in gioco il problema della privacy… e la mole di mail sale esponenzialmente di giorno in giorno e di conseguenza la mole dei dati da indicizzare sale enormemente, rendendo piccoli i dischi e lente le macchine. In alternativa ci sono sistemi proprietari come IBM Lotus Notes che integrano nel client uno strumento di ricerca per l’utente che indicizza mail ed allegati, evitando così le problematiche di privacy di una indicizzazione a livello company. Ci stiamo muovendo insomma… e dato che l’informatica ha dei tempi rapidissimi di evoluzione chissà se per la prossima intervista non sia già tutto disponibile sul mercato.


A bruciapelo.... cosa dice la vostra inchiesta: Open source o Prodotto Commerciale?

Non mi bruciare la barba che ci tengo… La nostra inchiesta dice assolutamente “prodotti commerciali”, ma lo dice per ignoranza e la crescita dell’Open Source è già buona. Ci sarà un momento in cui l’OS sorpasserà il Prodotto commerciale. Quello che serve è sintetizzabile in 2 parole: conoscenza e consulenza.
Conoscenza per consentire a tutti di sapere che esistono alternative affidabili ed economiche
Consulenza per aiutare chi vuole cambiare a fare “il grande passo”. E dare quel minimo di rassicurazione che oggi i prodotti commerciali hanno nel nome.


about Filippo Dini:

Sono prossimo ai 40 anni, ha passato 12 anni in una banca a Firenze ad occuparmi di software prima e di sistemi dopo fino a che non ho scoperto che il mondo è molto più vasto, variopinto ed interessante di quello chiuso e conservativo di una banca. Da allora ho girato, all’inizio a Firenze
per 4 anni e poi facendo tappa a Milano dove ho trascorso 18 bellissimi mesi ed infine a Roma, dove sono da 3 anni. Rimango un Fiorentino nell’anima e torno nella mia piccola (rispetto alle due citate), provinciale e caotica Firenze ogni fine settimana per ricongiungermi con i miei due meravigliosi figli e mia moglie.
Troppo breve? Ok, allora dirò anche che sono un motociclista perso e che soffro gli inverni in cui la moto deve restarsene chiusa in garage

Tuesday, October 23, 2007

Banche, Aziende e web 2.0 visti da Gianni Soreca, Consulting Director di IDC

Gianni Soreca è Consulting Director in IDC, osservatorio privilegiato sul mondo delle tecnologie.
Prima di arrivare in IDC nel 2000 è stato in EDS Italia e successivamente in Gartner


Dopo l’euforia del 1999-2000 il web torna alle origini, o meglio si consolida il suo uso essenzialmente quale medium di comunicazione. Lo scopo per cui era nato. Non corriamo il rischio che il web 2.0 si riveli un nuovo fenomeno mediatico, una nuova bolla?

- Il Web 2.0 è una condizione corrente della rete, la componente di "hype" è stata creata su aspettative "commerciali" così come era successo per la "vecchia" Internet nel 1996 e per i tre, quattro anni successivi. Il Web è sempre stato (e non è mai cambiato…al di là dei racconti..) un mezzo di comunicazione (molto potente e complesso), la differenza attuale è che le informazioni, oltre ad essere "digerite" passivamente dagli utenti, sono prodotte dagli stessi utilizzatori. E' il concetto stesso di informazione che è mutato, lo sono quindi video, foto, testi, mashup ed ogni altro modo di combinare qualcosa che abbia "sensorialmente" una sua validità. Sulla qualità del contenuto autoprodotto, poi, è la rete stessa, in quanto ormai sociale e biunivocamente attiva, a sottoporre ogni pezzetto di informazione ad un vaglio caustico e non istituzionale. Se ci si aspetta, però, che qualunque cosa con la targhetta "2.0" produca automaticamente denaro, standing commerciale, un'immagine più moderna e altre amenità, allora più che di bolla si dovrebbe parlare di brusco risveglio per alcuni.



Siamo comunque portati a valutare i fenomeni analizzando i casi più eclatanti, i social network da Myspace a Facebook, quelli che vengono acquistati/venduti a cifre da capogiro, o il caso domestico del blog di Grillo. Eppure credo la rivoluzione più importante e silenziosa si può compiere nelle aziende, soprattutto medie e grandi, utilizzando tool collaborativi per efficentare il lavoro di gruppi distribuiti.
Grandi numeri, utenti e/o informazioni, richiedono una capacità organizzativa sofisticata per evitare il rischio di disperdere informazione preziosa. Come si collocano la business intelligence e il knowledge management all’interno di progetti 2.0?

- Sono più che altro i concetti stessi di organizzazione e gestione della conoscenza che possono fungere da architrave per la creazione di dinamiche d'interazione "a la Web 2.0". Che, sottolineo ancora una volta, non è assolutamente una tecnologia o un'architettura tecnologica, ma un approccio concettuale, una "filosofia" d'interazione tra parti. Far entrare in un'azienda il concetto di "rete sociale" significa essere disposti, in termini di management, a lasciare per strada il "controllo" dell'organizzazione e, invece, assumerne l'osservazione, stiamo parlando di assumere diversi standing tattico-strategici, non semplicemente di attaccare una targhetta ai comunicati di marketing. Lanciare un blog, un wiki, creare gruppi di lavoro distribuiti (già questo un bel target..) che lavorano in "rete" e non a "filiera" permette la definizione di informazioni e cluster di informazioni (primitive, analisi, giudizi, modificazioni..) che possono solo uscire da interazioni "libere" da vincoli e che, se supportati da un'analitica che ne definisce gli ambiti d'applicazione, allora è ancora possibile inserire il "2.0" come un'evoluzione all'interno dell'azienda e non come un disturbo "dettato dalle mode" e fine a sé stesso.



Veniamo alle Banche, il principale investitore IT in Italia. Ho l’impressione che a parte di un pò di tecnologia pura, un pò di AJAX e un pò si SOA, il fenomeno del web 2.0 non sia stato recepito. Hai anche tu questa impressione? Da cosa dipende? Colpa dei megaprocessi di fusione in corso?

- Credo che la mancanza di adozione del 2.0 (ma ancora, non si tratta di tecnologie da comprare!!!) sia essenzialmente legato al "cui prodest".. non è certo vero che tutti i possibili settori economici e sociali d'improvviso debbano adottare tattiche di social networking per sopravvivere o che sia mandatario avere un blog aziendale per essere presi in considerazione.. le banche ancora devono offrire un servizio che ha dei confini di valore ben determinati, rimane il fatto che essere vicini al modo di agire ed interagire della clientela può aprire possibilità di revisione del modo di operare interessanti per il futuro, anche perché mentre si discute se fare o non fare, i nostri clienti possibilmente si informano e discutono su di noi in maniera "sociale". Tuttavia non va dimenticato che ad oggi molto di quanto è definibile "2.0" è spesso ad appannaggio di segmenti di "clientela" ben particolari (ad oggi ed in Italia).. e questo suggerisce come, in fondo, prima si dovrebbero conoscere con precisione le "tribù" di clienti che si controlla e poi, successivamente, se queste sono profittevoli ed ingaggiabili con risorse e comunicazioni diverse dall'ortodosso.



Anche i grandi protagonisti del social networking comunque non sembrano poi in effetti puntare un granchè sulle tecnologie, è più importante l’aspetto sociale o quello tecnologico?

- Mi pare ovvio che sia quello sociale il predominante, visto che senza la socializzazione tra individui non esisterebbe neanche il Web 2.0, ed i grandi contratti / acquisizioni di cui sopra sono fatti essenzialmente per acquisire milioni di potenziali clienti (o eyeballs..), non certo e non solo impianti tecnologici.



Dove vedi un migliore utilizzo per le banche di queste tecnologie/metodologie? Rivolte alla clientela o alla struttura interna?

- Credo dipenda dalla volontà dell'istituto di mutare (più o meno) radicalmente rotta rispetto al presente. Non scordiamo una cosa: aprire al 2.0 significa dare più "potenza" alle idee e alle voci dei dipendenti e/o dei clienti.. e a fronte di una richiesta, critica o proposta socialmente rilevante (leggi: sollevata da una massa rilevante di clienti / individui) si deve rispondere con un'azione coerentemente concertata, e diciamo che il rischio è che il Re si trovi poi nudo di fronte ad una platea più grande e con la vista migliore di quanto ci si potesse aspettare.