Gianni Soreca è Consulting Director in IDC, osservatorio privilegiato sul mondo delle tecnologie.
Prima di arrivare in IDC nel 2000 è stato in EDS Italia e successivamente in Gartner
Dopo l’euforia del 1999-2000 il web torna alle origini, o meglio si consolida il suo uso essenzialmente quale medium di comunicazione. Lo scopo per cui era nato. Non corriamo il rischio che il web 2.0 si riveli un nuovo fenomeno mediatico, una nuova bolla?
- Il Web 2.0 è una condizione corrente della rete, la componente di "hype" è stata creata su aspettative "commerciali" così come era successo per la "vecchia" Internet nel 1996 e per i tre, quattro anni successivi. Il Web è sempre stato (e non è mai cambiato…al di là dei racconti..) un mezzo di comunicazione (molto potente e complesso), la differenza attuale è che le informazioni, oltre ad essere "digerite" passivamente dagli utenti, sono prodotte dagli stessi utilizzatori. E' il concetto stesso di informazione che è mutato, lo sono quindi video, foto, testi, mashup ed ogni altro modo di combinare qualcosa che abbia "sensorialmente" una sua validità. Sulla qualità del contenuto autoprodotto, poi, è la rete stessa, in quanto ormai sociale e biunivocamente attiva, a sottoporre ogni pezzetto di informazione ad un vaglio caustico e non istituzionale. Se ci si aspetta, però, che qualunque cosa con la targhetta "2.0" produca automaticamente denaro, standing commerciale, un'immagine più moderna e altre amenità, allora più che di bolla si dovrebbe parlare di brusco risveglio per alcuni.
Siamo comunque portati a valutare i fenomeni analizzando i casi più eclatanti, i social network da Myspace a Facebook, quelli che vengono acquistati/venduti a cifre da capogiro, o il caso domestico del blog di Grillo. Eppure credo la rivoluzione più importante e silenziosa si può compiere nelle aziende, soprattutto medie e grandi, utilizzando tool collaborativi per efficentare il lavoro di gruppi distribuiti.
Grandi numeri, utenti e/o informazioni, richiedono una capacità organizzativa sofisticata per evitare il rischio di disperdere informazione preziosa. Come si collocano la business intelligence e il knowledge management all’interno di progetti 2.0?
- Sono più che altro i concetti stessi di organizzazione e gestione della conoscenza che possono fungere da architrave per la creazione di dinamiche d'interazione "a la Web 2.0". Che, sottolineo ancora una volta, non è assolutamente una tecnologia o un'architettura tecnologica, ma un approccio concettuale, una "filosofia" d'interazione tra parti. Far entrare in un'azienda il concetto di "rete sociale" significa essere disposti, in termini di management, a lasciare per strada il "controllo" dell'organizzazione e, invece, assumerne l'osservazione, stiamo parlando di assumere diversi standing tattico-strategici, non semplicemente di attaccare una targhetta ai comunicati di marketing. Lanciare un blog, un wiki, creare gruppi di lavoro distribuiti (già questo un bel target..) che lavorano in "rete" e non a "filiera" permette la definizione di informazioni e cluster di informazioni (primitive, analisi, giudizi, modificazioni..) che possono solo uscire da interazioni "libere" da vincoli e che, se supportati da un'analitica che ne definisce gli ambiti d'applicazione, allora è ancora possibile inserire il "2.0" come un'evoluzione all'interno dell'azienda e non come un disturbo "dettato dalle mode" e fine a sé stesso.
Veniamo alle Banche, il principale investitore IT in Italia. Ho l’impressione che a parte di un pò di tecnologia pura, un pò di AJAX e un pò si SOA, il fenomeno del web 2.0 non sia stato recepito. Hai anche tu questa impressione? Da cosa dipende? Colpa dei megaprocessi di fusione in corso?
- Credo che la mancanza di adozione del 2.0 (ma ancora, non si tratta di tecnologie da comprare!!!) sia essenzialmente legato al "cui prodest".. non è certo vero che tutti i possibili settori economici e sociali d'improvviso debbano adottare tattiche di social networking per sopravvivere o che sia mandatario avere un blog aziendale per essere presi in considerazione.. le banche ancora devono offrire un servizio che ha dei confini di valore ben determinati, rimane il fatto che essere vicini al modo di agire ed interagire della clientela può aprire possibilità di revisione del modo di operare interessanti per il futuro, anche perché mentre si discute se fare o non fare, i nostri clienti possibilmente si informano e discutono su di noi in maniera "sociale". Tuttavia non va dimenticato che ad oggi molto di quanto è definibile "2.0" è spesso ad appannaggio di segmenti di "clientela" ben particolari (ad oggi ed in Italia).. e questo suggerisce come, in fondo, prima si dovrebbero conoscere con precisione le "tribù" di clienti che si controlla e poi, successivamente, se queste sono profittevoli ed ingaggiabili con risorse e comunicazioni diverse dall'ortodosso.
Anche i grandi protagonisti del social networking comunque non sembrano poi in effetti puntare un granchè sulle tecnologie, è più importante l’aspetto sociale o quello tecnologico?
- Mi pare ovvio che sia quello sociale il predominante, visto che senza la socializzazione tra individui non esisterebbe neanche il Web 2.0, ed i grandi contratti / acquisizioni di cui sopra sono fatti essenzialmente per acquisire milioni di potenziali clienti (o eyeballs..), non certo e non solo impianti tecnologici.
Dove vedi un migliore utilizzo per le banche di queste tecnologie/metodologie? Rivolte alla clientela o alla struttura interna?
- Credo dipenda dalla volontà dell'istituto di mutare (più o meno) radicalmente rotta rispetto al presente. Non scordiamo una cosa: aprire al 2.0 significa dare più "potenza" alle idee e alle voci dei dipendenti e/o dei clienti.. e a fronte di una richiesta, critica o proposta socialmente rilevante (leggi: sollevata da una massa rilevante di clienti / individui) si deve rispondere con un'azione coerentemente concertata, e diciamo che il rischio è che il Re si trovi poi nudo di fronte ad una platea più grande e con la vista migliore di quanto ci si potesse aspettare.
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