Monday, September 29, 2008

Il PMO ed il controllo dei rischi. Quando può risultare più conveniente chiudere un progetto

Ho pubblicato tempo fa un primo post sul PMO e desidero oggi approfondire qual’è il ruolo principale del PMO, ovvero, a mio avviso, di monitorare i rischi e ridurre gli effetti degli eventi ad essi connessi.

L’attività di normalizzazione dei processi e di ottimizzazione dell’uso delle risorse economiche, materiali ed umane hanno infatti il fine si di ottenere i migliori risultati possibili, ma sopratutto quello di evitare l’insorgere di problemi non previsti, o di assorbire l’impatto di quelli non prevedibili.

In alcuni casi l’interpretazione aziendale che si è data del ruolo del PMO è tale da associare tale struttura e/o responsabile alle scelte strategiche ma nella maggior parte dei casi la mansione assegnata è più legata ad attività operative.

Dunque, si è detto, Il PMO deve monitorare i rischi e preservare il progetto da esiti negativi indotti da eventi straordinari o meno (generati internamente e/o occorsi all’esterno), da cattiva pianificazione del programma di lavoro (o di parte di esso) o da una sua errata conduzione.

In realtà l’espressione “preservare il progetto” non è vera in assoluto in quanto, in situazioni estreme, può essere prerogativa del PMO quella di valutare se i benefici che deriveranno dal completamento delle attività possano essere resi inefficaci dall’eccessivo prolungarsi delle attività stesse o se il costo per il completamento del progetto superari il profitto che ne deriverebbe.

Una fredda analisi del rapporto costi/benefici può quindi indurre a prendere la decisione che la chiusura del progetto, prima del suo completamento, risulti più economica e/o più strategica di una sua eventuale prosecuzione. Ci si può quindi trovare di fronte alla opportunità/necessità di accettare la perdita degli investimenti fin qui realizzati, piuttosto che aggiungerne altri, mettendo cosi a repentaglio altre iniziative.

Semplificando (forse eccessivamente) si possono identificare tre macro-categorie di rischi che possono essere individuati durante l’esecuzione di un progetto :

Rischi di basso impatto: le conseguenze del concretizzarsi di un evento negativo sono considerate poco significative e/o la probabilità che esso si verifichi molto basse. In questo caso le azioni previste dal contingency plan sono ritenute idonee ad assorbirne gli effetti o addirittura, in alcuni casi, può essere considerato più economico accettare questo rischio senza mettere in piedi alcuna attività utile ad ammortizzarne gli effetti.

Rischio di eventi che modificano sostanzialmente l’andamento del progetto: il manifestarsi di una circostanza negativa comporta possibili ritardi, o aumento di costi. In questo caso la predisposizione di un piano alternativo deve essere considerato vitale ed occorre definire per tempo una strategia che limiti gli effetti di tale evenienza. Naturalmente questo comporta studiare per la medesima situazione più scenari, per verificare l’applicabilità delle diverse strategie di recovery e sopratutto il rapporto costi/benefici.

Rischi gravi: siamo nella zona “rossa” della suddetta scala. I rischi di questo tipo si riferiscono ad eventi che possono stravolgere il progetto o addirittura decretarne il fallimento.In tal caso valgono tutte le considerazioni fatte al punto precedente, ove, se possibile, tutti i piani e le valutazioni assumono un carattere di massima attenzione. In questa categoria rientrano anche tutti i casi di rischi per eventi imponderabili, come disastri fisici o di diversa natura. Abbiamo assistito in questi mesi al fallimento di alcuni colossi della finanza mondiale... per un loro fornitore questo evento poteva risultare “imponderabile” un anno fa, ma, con il passare dei mesi, il rischio ha cominciato a manifestarsi e concretizzarsi. Tra le opzioni da considerare in questi casi, come abbiamo già detto in precedenza, quella di valutare se non risulti maggiormente economico disporre la chiusura del progetto.

Friday, September 19, 2008

Quando l'argomento che interessa di più, in un blog che parla di banche e tecnologia, è l'elogio dell'ozio!

Non so bene cosa mi ha spinto a rifletterci...

Da un po’ di mesi, guardando i dati delle mie statistiche su Google Analytics, vedevo che in testa al gradimento delle persone che “incappano” nel mio sito c’è il post dedicato allElogio dell’Ozio.

Eppure ho sempre considerato che quel primo posto, nelle pagine più viste, fosse un evento incidentale, determinato da chissà quale fenomeno, il cui accadere esulava dalla mia capacità di comprensione.

L’altro giorno, come moltissimi altri giorni, il post era li, in testa alla classifica dell’ultimo mese, e grazie proprio ad un momento di tranquillità ci ho riflettuto su... “ma se è così, praticamente sempre, evidentemente non è una situazione occasionale?” (riflessione elementare Watson!). Mi sono preso la briga di verificare e così ho scoperto quello che non ero riuscito ad immaginare, ovvero che nell’ultimo anno, a parte chi “atterra” sulla mia homepage, la pagina più visitata è quella dedicata all’OZIO.

Ma come?” mi sono chiesto “con tutta la fatica che faccio per scrivere di banche, mercati mobiliari e tecnologia la mia pagina più vista è –l’elogio dell’ozio-?? “.

Ormai, preso dalla curiosità, sono andato a utilizzare i Webmaster Tools, con più attenzione, e anche li il risultato è lo stesso: la ricerca della parola “ozio” sulle pagine in italiano mi vede nono, sotto Beppe Grillo. Proprio nel post di su beppegrillo.it si tratta il medesimo tema, ovvero la forza rivoluzionaria del pensare che l’ozio non determina un’inutile perdita di tempo, ma consente di liberare le nostre migliori energie, spesso compresse dalla necessità di erogare potenza nelle nostre attività quotidiane, routinarie e poco qualificanti.

Insomma tanto sforzo per risultati modesti, quando invece è la riflessione che ci permette di stimolare le nostre più nascoste potenzialità cerebrali.

Quello che in fondo è successo a me questa mattina... un piacevole rallentamento delle attività, dopo un periodo molto intenso, mi ha fatto vedere con chiarezza qualcosa che avevo sotto gli occhi da sempre. Consiglio di leggere nel post la citazione della prefazione del libro di Tom Hodgkinson, una affermazione simpatica sulla eversività dell’ozio. Il lavoro infatti può diventare effettivamente metodo di controllo, non a caso all’ingresso dei campi nazisti si leggeva: Arbeit Macht Frei, ovvero Il lavoro rende liberi.

Se fossi un politico mi troverei già in polemica con il ministro Brunetta e la sua “guerra ai fannulloni”, ma certamente l’uso dell’ozio di cui parlo non è il “fancazzismo” istituzionalizzato di alcuni, quanto la capacità di fermarsi a riflettere per chi dedica molte energie al proprio lavoro.

In ogni caso... la riflessione che mi sono trovato a fare non è sulle ragioni dell’ozio o meno, ma su quanto questo tema interessa. Evidentemente il vortice lavorativo in cui ci sentiamo inseriti fa insorgere in molti il dubbio che qualcosa non va... allora prenderò in prestito un verso di Carboni: “ci stiamo sbagliando ragazzi...”.???

Sempre qualche giorno fa ho letto di una ricerca di Kelly Services, su insonnia e lavoro, ed i due fattori ahimè sono correlati, il 10% degli italiani soffre di insonnia, a causa del lavoro, e quindi evidentemente l’eccessiva determinazione nel lavoro provoca l’insorgere anche di una contrapposta richiesta di relax. Da questo dipende tanto interesse al tema dell’ozio?

Riflettendo sui temi usuali per questo blog qual’è l’atteggiamento più produttivo per il management di uno staff di professional? Spremerli come limoni (pratica rintracciabile in molte società di consulenza, spesso di derivazione anglosassone) oppure istituzionalizzare la “riflessione” come fa Google che, a meno a quanto dichiara, lascia i propri dipendenti liberi di avere del tempo libero da mansioni, per una certa parte del proprio orario di lavoro?

Per quanto mi riguarda la risposta è implicita nella domanda, anche se va specificato che non è un valore assoluto, ci sono momenti della nostra vita (lavorativa) in cui occorre rimboccarsi le maniche e pensare alla quantità di ciò che si produce. Poi ogni tanto occorre fermarsi a riflettere.

La reale difficoltà è capire dove è il punto di equilibrio...

Wednesday, September 17, 2008

Si inaugura la Fonte degli Angeli a San Giuliano di Puglia, speriamo che qualcuno colga il messaggio di pace in essa racchiuso











Domani 18 settembre viene inaugurata a San Giuliano di Puglia la nuova scuola Jovine. Come ricorderete, in conseguenza del terremoto che colpì il Molise, quella scuola, tragico esempio di pessima responsabilità nella costruzione di edifici pubblici, cadde, portando via con se la vita di molti bambini ed alcune insegnanti.

Perchè ne scrivo in questo blog? Perchè da allora seguo l'iniziativa dei miei amici Sabino Ventura e di Yumiko Tachimi, che girano per il mondo per sensibilizzare le persone di buona volontà affinchè si impegnino a garantire la pace e la serenità per tutti i ragazzi del mondo.

Questa iniziativa si è concretizzata nella realizzazione di una magnifica fontana, in vetro e con angeli in ceramica, montata su una struttura antisismica: la Fonte degli Angeli. Il 18 anche la fontana degli angeli, i piccoli scolari di San Giuliano, sarà inaugurata.

Purtroppo sarà anche un'occasione per la politica di avere un nuovo palcoscenico, ma speriamo almeno che sia anche un'opportunità per qualche angelo custode di poter convincere ministri ed amministratori a fare qualcosa di serio per i ragazzi e sopratttutto per la loro pace e serenità. Che le parole non rimangano, come in passato, solo parole.

E' quindi un piccolo passo che si compie nella speranza di un mondo migliore, ma è solo un nuovo punto di partenza. Sabino e Yumiko stanno infatti raccogliendo migliaia di dipinti di bambini, che danno forma alla loro idea dell'angelo custode, e molti di questi disegni sono raccolti nell'archivio on line del sito www.fontedegliangeli.org, che con alcuni amici abbiamo messo su. Molti altri potrebbero essere pubblicati e sono in attesa di essere digitalizzati.

Ovviamente l'ostacolo è la necessità di risorse economiche ed umane per portare avanti l'opera. L'energia di Sabino ha coinvolto tanti amici che, a livello personale, o coinvolgendo la propria azienda, cercano di dare una mano. Di recente l'Accademia di Comunicazione di Milano ha dedicato un laboratorio alla Fonte degli Angeli, per aiutare Sabino a trovare i mezzi di comunicazione più adatti a sfruttare in particolare le potenzialità della Rete.

Allora in bocca al lupo a Sabino... ma soprattutto... grazie!!

p.s. se qualcuno desidera aiutarci a rendere il nostro archivio degli angeli più ricco può chiedere al proprio figlio di fare un disegno di un angelo ed inviarmelo all'indirizzo email di questo blog. Lo pubblicheremo sul sito.

Monday, September 15, 2008

Le croniche difficoltà della Ricerca in Italia e l'opportunità dei Programmi Europei (quarta parte)

Questa è l'ultima parte di un lungo post in quattro parti dedicato alle difficoltà ed alle opportunità offerte dai progetti europei; nelle prime tre sezioni avevo parlato di:

Prima parte: introduzione
Seconda parte: poche risorse per le aziende
Terza parte: i criteri di composizione dei consorzi europei

Nell'ultimo parte avevo anche cominciato a riflettere di cosa si potrebbe introdurre nei programmi europei per migliorare le chance di partecipazione di aziende impegnate nella ricerca ed in particolare premiare quelle che veramente fanno ricerca ed innovazione.

Un aspetto che andrebbe sviluppato è la realizzazione di un servizio di monitoraggio successivo alla conclusione dei progetti. Attualmente questa attività viene realizzata in particolare in corso d’opera da parte dei Project Officer della Commissione ed ha lo scopo di evitare un assalto alla diligenza, modello”prendi i soldi e scappa”.

Purtroppo però ho visto molti progetti che, pur conclusi in maniera formalmente adeguata, non hanno avuto ulteriori successive ricadute. Se la Commissione sapesse, anche a distanza di un paio d’anni, quali solo i risultati concreti di chi ha partecipato ai programmi di finanziamento, potrebbe cominciare a valutare differentemente la credibilità di partner che partecipano a progetti, soprattutto valutando differentemente ex-post quei progetti che abortiscono dopo la fine dei finanziamenti. Non è certo una attività semplice, ma concetti come marchi e brevetti depositati, prodotti realmente finiti sul mercato, potrebbero essere utili indicatori di positività.

Questo comporterebbe certamente un diverso approccio nei confronti di questi progetti da parte di alcuni soggetti, in quanto impegnati a giustificare il reale risultato del loro lavoro, anche quando termina il periodo “drogato” dalla presenza del finanziamento. E’ li che si vede se l’interesse dell’azienda è veramente rivolto a fare innovazione per andare sul mercato, o fine al mero conseguimento di fonti di finanziamento.

L’accento dell’intero articolo può sembrare in conclusione particolarmente negativo(certamente in larga parte lo è), nel senso che è molto difficile ottenere finanziamenti da programmi europei, questo perché, come si è detto, molte risorse vengono assorbite da aziende che non hanno realmente come focus primario la ricerca, cosi come molti progetti vengono messi in piedi senza grandi ambizioni successive. Questo riduce i soldi realmente a disposizione della ricerca vera e propria, ma soprattutto rende un po’ aleatorio il processo, però il perseguimento di tali fonti di finanziamento continua ad essere una possibilità per le aziende italiane.

Questo a patto di avvicinarsi al problema con risorse a mentalità adeguata, considerando l’eventuale raggiungimento dell’obiettivo, inizialmente, come accessorio rispetto alla propria capacità di fare ricerca e produrre innovazione. Solo quando si sarà avviata, con continuità l'attività, sarà possibile valutare, con maggiore precisione, le attese di successo derivanti dalla progettazione europea, ma vista sempre nel suo complesso. Ho partecipato a diverse proposte, di cui tre vinte, con una percentuale ben maggiore al 5-10% delle fredde statistiche. Questo significa che le proposte valide, con un buon gruppo di partner e sopratutto preparate in maniera conforme alle aspettative dei valutatori, hanno certamente chance superiori alla media.

In una delle tre proposte sono anche stato coordinatore del progetto e posso assicurare che se il progetto viene correttamente “interpretato”, rappresenta una crescita notevole delle competenze di chi vi partecipa, che riesce a confrontarsi in un ambito internazionale, e permette la costruzione di asset importati per l'azienda.

L'altro aspetto che occorre ovviamente tenere ben presente è che le possibilità di riuscita sono inoltre proporzionali alla risorse impiegate in un tale task, che quindi deve essere visto non come una attività marginale, ma una attività impegnativa, cui dedicare risorse in maniera certa ed adeguta, e della quale valutare i risultati nel lungo e medio perdiodo.


Wednesday, September 10, 2008

Le croniche difficoltà della Ricerca in Italia e l'opportunità dei Programmi Europei (terza parte)

Le riflessioni precedenti sulla competizione tra aziende che fanno innovazione, i professionisti della progettazione europea e le istituzioni di ricerca suggeriscono qualche ulteriore considerazione sui sistemi di valutazione adottati. I programmi europei sono nati con il duplice intento di favorire da un lato la ricerca e l’innovazione dall’altro l’integrazione tra aziende di paesi differenti.

L’obiettivo, in se condivisibile al 100%, viene perseguito richiedendo che ai consorzi partecipino aziende e/o istituzioni provenienti da paesi differenti. Il risultato è che mediamente vengono premiate proposte (a seconda delle tipologie di progetto) con un numero “adeguato” di partner di differenti paesi. Per gli Strep (progetti di media importanza), per esempio, la media dei partecipanti è tra i 6-8 partner, per una durata media superiore ai 2 anni.

Questo requisito, ripeto in se condivisibile, si traduce spesso però nella partecipazione di alcuni partner poco “committed”, interessati sopratutto alla referenza e a rendere continuativa la presenza all’interno di programmi europei. La stessa durata media dei progetti poi non tiene adeguatamente in conto dell’evoluzione del mercato IT negli ultimi anni, che hanno introdotto un’accelerazione nell’obsolescenza di molte tecnologie, ma anche di molte impostazioni progettuali. Proviamo a fare un esempio.

Un progetto di 36 mesi su un servizio web, un po’ ambizioso, che termina in questi mesi, dovrebbe essere stato presentato ad una "call" nell’inizio del 2005, considerando che alcuni mesi vengono assorbiti dalla valutazione, dalla procedura di negoziazione e dallo start up. Inoltre la preparazione di una tale proposta richiede qualche mese, sia per la stesura che per la costruzione del consorzio. Questo ci porta al fatto che l’idea dovrebbe essere nata nel corso del 2004, prima dell’esplosione del fenomeno del social networking, quindi chi l’avesse partorita o avrebbe dovuto essere estremamente lungimirante e creativo o si troverebbe oggi con un progetto nato vecchio.

Naturalmente non per i tutti settori valgono le medesime valutazioni ma è ovvio che una banca, che ci chiedesse oggi un servizio innovativo nel campo del trading on line, non si aspetterebbe di andare in produzione tra un anno. Per quanto complesso il progetto se ne aspetterebbe la realizzazione in 6-8 mesi. L’unica soluzione per consentirle di arrivare sul mercato con un prodotto adeguato ai tempi.

A mio modesto avviso quindi occorrerebbe , nel campo dello sviluppo software, prediligere progetti di durata tra i 12 ed i 18 mesi, con un numero di partner mediamente intorno ai 4, perché se prendiamo in considerazione un progetto di sviluppo con 8 partner, o tale partecipazione è realmente giustificata da una necessità progettuale, o produce solamente un overload di management. L’impatto a livello europeo non si misura in quante lingue si parlano nel gruppo di progetto, ma come “dopo” i risultati della ricerca vengono trasferiti quanto più a livello europeo.

Un risultato, comunque, che nei casi peggiori va a discapito della qualità, perché alcune parti vengono alla fine realizzate da partner poco competenti, o solo poco interessati, mentre nei casi migliori si traduce in una inutile dispersione di risorse economiche. Forse più che inseguire un falso mito di integrazione tout court, potrebbe essere più utile favorire relazioni forti punto a punto. Ma ripeto, questa è solo la mia personale opinione.


Prima parte: introduzione
Seconda parte: poche risorse per le aziende
Terza parte: i criteri di composizione dei consorzi europei
Quarta parte: monitoraggio ex-post dei progetti

Monday, September 8, 2008

Le croniche difficoltà della Ricerca in Italia e l'opportunità dei Programmi Europei (seconda parte)

Nel post precedente abbiamo sottolineato la presenza di aziende che hanno acquisito nel tempo la capacità di presentare proposte credibili ai programmi di finanziamento europei, sottolienando però che il loro principale obiettivo si esaurisce con l'ottenimento del finanziamento stesso. L’assorbimento di risorse da parte di aziende che poco hanno a che fare con la vera ricerca ed innovazione risulta essere ancora più pesante se si considera che una buona fetta dei finanziamenti finisce, giustamente, ad associazioni, università ed istituti di ricerca che, svincolati da aspetti di budget, possono facilmente allocare risorse a questo tipo di operazioni.

Questa situazione finisce però per configurarsi oggettivamente quale un sistema di concorrenza in cui le aziende “normali” finiscono per essere penalizzate, per propri limiti, ma anche per limiti di impostazione del sistema stesso.

La mia (modestissima e parziale) opinione è che, ancora oggi, la ricerca in ambito scientifico continua ad essere un po’ troppo lontana dal mondo imprenditoriale. Questo ovviamente non è sempre vero, esistono casi di eccellenza, ma troppo spesso il risultato della ricerca in ambito universitario non viene adeguatamente trasferito al tessuto industriale o non viene indirizzato su linee programmatiche che abbiano tale fine, nel lungo medio periodo. Sottolineo che sto parlando del settore di cui mi occupo professionalmente e sempre dal mio limitato osservatorio professionale, per cui sarei ben felice di essere smentito.

Le aziende quindi, a mio avviso, scontano alcuni deficit propri (scarsa attitudine all’investimento) ed altri strutturali (presenza di competitors avvantaggiati per competenze e mission istituzionale). Questa prima parte della riflessione potrebbe sembrare scoraggiante per chi si avvicina a questo tipo di tematiche, ma in realtà non credo che debba essere cosi.

Credo che i progetti di finanziamento europei siano una risorsa che le aziende italiane, così sfavorite dagli investitori istituzionali, possono cercare di sfruttare per finanziare le proprie strutture R&D, a patto che si abbiano ben chiari i problemi e come cercare di risolverli. Da un lato occorre maturare la convinzione che se esistono dei minus, identificabili nella forza dei competitor, occorre sfruttare questa forza piuttosto che opporsi. L’insegnamento del grande stratega cinese Sun Tzu, nel suo manuale della guerra, testo di riferimento di molti manager, è che occorre “utilizzare” la forza del nemico per combatterlo, non cercare di contrastarla.

Occorre quindi sfruttare le competenze di Università e società specializzate in progettazione europee con una sana politica di partnership, facilmente realizzabile in quanto questo mondo è sempre alla ricerca di partner fattivii ed in grado di proporre e/o realizzare interessanti.

Bisogna essere consapevoli che però anche l’ottenimento di finanziamenti necessita di investimenti per essere perseguito e che non può essere fatto con energie residuali. Occorre che in azienda ci sia un commitment nei confronti questo tipo di iniziative, che ci siano risorse qualificate, perché necessarie competenze sia tecnologiche che di elaborazione di proposte adeguate. Inoltre risulta determinante, per quanto espresso in precedenza, che si sia in grado di costruire una adeguata capacità di relazioni, che permetta di costituire consorzi adeguati alla realizzazione del progetto e di favorire la partecipazione a consorzi e proposte preparati da altri su tematiche attinenti ai propri ambiti di ricerca.

Va infatti considerato che, vista le basse probabilità di successo, una strategia può essere quella di partecipazione a più consorzi che abbiano obiettivi vicini a quelli della propria azienda.

Prima parte: introduzione
Seconda parte: poche risorse per le aziende
Terza parte: i criteri di composizione dei consorzi europei
Quarta parte: monitoraggio ex-post dei progetti

Thursday, September 4, 2008

Zopa lavora per rassicurare i propri clienti con servizi suggeriti dalla community degli utenti

Ho seguito fin dall'inizio il lancio di Zopa qui in Italia ed è quindi con piacere che ricevo periodicamente notizie ed informazioni dallo staff. Vi giro, senza cambiare una virgola, l'ultima novità di casa Zopa, che evidentemente sta cercando di lavorare sull'aspetto "fiducia" di coloro che si affacciano al servizio.

"Si chiama RientroRapido il nuovo servizio che, prima al mondo tra le community di social lending, Zopa.it offre ai suoi membri: tutti i Prestatori che hanno bisogno di rientrare velocemente in possesso del denaro prestato possono farlo, cedendolo in tutto o in parte, ad altri Prestatori (che presentino un'offerta compatibile per classe di merito creditizio, durata e tasso).
La novità accoglie una richiesta nata e sostenuta proprio dagli "zopiani". E conferma quindi una volta di più il ruolo fondamentale della community stessa nell'evoluzione e nel miglioramento di Zopa grazie al contributo dei suoi membri, attivi in particolare sul blog."

Wednesday, September 3, 2008

Google da battaglia ad Explorer.

Da oggi infatti si può scaricare il suo browser Chrome (http://www.google.it/chrome), che a prima vista si riconosce subito essere un prodotto dell’azienda americana: pochi fronzoli e privilegiata l’usabilità.

Utilizza parti di software già esistenti (da Safari a Firefox) dal punto di vista operativo presenta alcune novità interessanti, ma non è certo una rivoluzione. Tra le innovazioni: i tab indipendenti in maniera tale che il crash di un’applicazione non determini il crash del browser (interessante ma confesso che non l’ho testato, non ho avuto crash in queste prime ore) e la navigazione “oscurata”.

La vera innovazione è sotto il profilo commerciale, con Google che sposta decisamente la battaglia nel capo di Microsoft, dopo avere già lanciato tempo fa alcuni servizi on line in competizione con Office. Anzi sembra questo proprio il futuro terreno di scontro scelto dal più famoso motore di ricerca, almeno nelle dichiarazioni, uno degli obiettivi è infatti quello di rendere fruibili alcune applicazioni anche “off line”.

In realtà sapendo che il core business di Google è centrato sulle revenues pubblicitarie c’è da scommettere che il suo browser diventerà ben presto funzionale a tale obiettivo, come? è difficile dirlo, ma... basterà aspettare...

Tuesday, September 2, 2008

Le croniche difficoltà della Ricerca in Italia e l'opportunità dei Programmi Europei (prima parte)

Il principale problema del “fare innovazione” in Italia è quello di individuare le adeguate risorse economiche per finanziare l’impresa.

A dire il vero, in Italia è anche difficile trovare quel pizzico di coraggio imprenditoriale necessario a fare da volano della ricerca in Italia. Da un lato manca talvolta la consapevolezza di sentirsi all’altezza di una tale sfida da parte degli imprenditori, dall’altra manca oggettivamente un sistema finanziario coraggioso in grado di supportare adeguatamente la realizzazione di nuovi prodotti, sistema finanziario presente in altri regioni del mondo e che ha fatto la fortuna di distretti industriali come la Silicon Valley e di molti giovanissimi imprenditori.

Terzo Pilastro storico dell’innovazione, mancante in Italia, è lo Stato.

Da anni la perenne ricerca di un equilibrio finanziario del bilancio dello Stato induce la progressiva riduzione dei fondi per la Ricerca. In questo panorama, francamente un po’ demotivante, una opportunità per le aziende italiane potrebbe essere costituita dalla partecipazione a programmi di finanziamento europei, ma anche qui sono più spine che dolori.

Esistono diversi programmi (www.cordis.lu) che hanno il compito di stimolare la ricerca in differenti settori del mercato tecnologico, ma il primo problema si riscontra proprio nell’impostazione “politica” di questi programmi.

La loro stesura rappresenta ovviamente un compromesso delle varie anime “nazionali”, che cercano di favorire i settori industriali ritenuti strategici per il proprio paese e di conseguenza l’Italia, che non ha avuto una forte strategia di crescita nel settore IT, preferisce ottenere risultati in settori ritenuti tradizionalmente trainanti o in crisi come quello agricolo.

Il risultato, ahimè, è che c’è poco dell’Italia nella definizione delle linee guida ed oggettivamente, forse, potrebbe esserci comunque poco... su quale segmento IT punta l’Italia come Paese? Telecomunicazioni come gli anglosassoni o l’aerospaziale come i francesi? Forse l’unico settore in cui si può dire qualcosa di qualificante sono i beni culturali, ma non è detto che alla ricchezza del patrimonio corrisponda poi un’analoga capacità innovativa.

Supponendo comunque di avere trovato un ambito nel quale presentare una proposta, le difficoltà che si presentano non sono da poco per un’azienda che intende approcciare i programmi europei.La preparazione della proposta è complessa, sia intrinsecamente, perché vengono richiesti progetti accurati, sia perché occorre che tali progetti sia comprensibili dai funzionari della commissione e siano valutabili da loro in base alle metodologie e le metriche di giudizio adottate dalla direzioni dei programmi europei, in termini di struttura ed organizzazione dei contenuti, tipologia di linguaggio.

La “competition” è molto alta ed è cresciuta nel tempo, tanto di portare la percentuale di riuscita di alcune Call a circa il 5%. Un margine di probabilità che fa riflettere molto le aziende che desiderano investire risorse nella preparazione di una proposta, insieme alla scarsa attitudine ad un approccio commerciale basato sulle tecnologie d’eccellenza anziché, come spesso accade, sulle capacità relazionali.

Si aggiunga che proprio questa competizione elevata ha fatto crescere una serie di piccole e medie aziende specializzate nella costruzione delle proposte, con un elevato grado di competenza, ma troppo spesso però indirizzato più alla costruzione formale di una buona proposta che di un progetto di buon livello qualitativo.

Il risultato che ne deriva è che l’obiettivo diventa l’ottenimento del finanziamento stesso piuttosto che la realizzazione di un progetto di ricerca. I professionisti dei progetti europei finiscono per assorbire una parte delle risorse che dovrebbero finire in innovazione grazie ad una specializzazione che le aziende intenzionate realmente a fare ricerca non riescono ad avere in quanto diverso il loro focus primario.



Prima parte: introduzione
Seconda parte: poche risorse per le aziende
Terza parte: i criteri di composizione dei consorzi europei
Quarta parte: monitoraggio ex-post dei progetti