Nel post precedente abbiamo sottolineato la presenza di aziende che hanno acquisito nel tempo la capacità di presentare proposte credibili ai programmi di finanziamento europei, sottolienando però che il loro principale obiettivo si esaurisce con l'ottenimento del finanziamento stesso. L’assorbimento di risorse da parte di aziende che poco hanno a che fare con la vera ricerca ed innovazione risulta essere ancora più pesante se si considera che una buona fetta dei finanziamenti finisce, giustamente, ad associazioni, università ed istituti di ricerca che, svincolati da aspetti di budget, possono facilmente allocare risorse a questo tipo di operazioni.
Questa situazione finisce però per configurarsi oggettivamente quale un sistema di concorrenza in cui le aziende “normali” finiscono per essere penalizzate, per propri limiti, ma anche per limiti di impostazione del sistema stesso.
La mia (modestissima e parziale) opinione è che, ancora oggi, la ricerca in ambito scientifico continua ad essere un po’ troppo lontana dal mondo imprenditoriale. Questo ovviamente non è sempre vero, esistono casi di eccellenza, ma troppo spesso il risultato della ricerca in ambito universitario non viene adeguatamente trasferito al tessuto industriale o non viene indirizzato su linee programmatiche che abbiano tale fine, nel lungo medio periodo. Sottolineo che sto parlando del settore di cui mi occupo professionalmente e sempre dal mio limitato osservatorio professionale, per cui sarei ben felice di essere smentito.
Le aziende quindi, a mio avviso, scontano alcuni deficit propri (scarsa attitudine all’investimento) ed altri strutturali (presenza di competitors avvantaggiati per competenze e mission istituzionale). Questa prima parte della riflessione potrebbe sembrare scoraggiante per chi si avvicina a questo tipo di tematiche, ma in realtà non credo che debba essere cosi.
Credo che i progetti di finanziamento europei siano una risorsa che le aziende italiane, così sfavorite dagli investitori istituzionali, possono cercare di sfruttare per finanziare le proprie strutture R&D, a patto che si abbiano ben chiari i problemi e come cercare di risolverli. Da un lato occorre maturare la convinzione che se esistono dei minus, identificabili nella forza dei competitor, occorre sfruttare questa forza piuttosto che opporsi. L’insegnamento del grande stratega cinese Sun Tzu, nel suo manuale della guerra, testo di riferimento di molti manager, è che occorre “utilizzare” la forza del nemico per combatterlo, non cercare di contrastarla.
Occorre quindi sfruttare le competenze di Università e società specializzate in progettazione europee con una sana politica di partnership, facilmente realizzabile in quanto questo mondo è sempre alla ricerca di partner fattivii ed in grado di proporre e/o realizzare interessanti.
Bisogna essere consapevoli che però anche l’ottenimento di finanziamenti necessita di investimenti per essere perseguito e che non può essere fatto con energie residuali. Occorre che in azienda ci sia un commitment nei confronti questo tipo di iniziative, che ci siano risorse qualificate, perché necessarie competenze sia tecnologiche che di elaborazione di proposte adeguate. Inoltre risulta determinante, per quanto espresso in precedenza, che si sia in grado di costruire una adeguata capacità di relazioni, che permetta di costituire consorzi adeguati alla realizzazione del progetto e di favorire la partecipazione a consorzi e proposte preparati da altri su tematiche attinenti ai propri ambiti di ricerca.
Va infatti considerato che, vista le basse probabilità di successo, una strategia può essere quella di partecipazione a più consorzi che abbiano obiettivi vicini a quelli della propria azienda.
Prima parte: introduzione
Seconda parte: poche risorse per le aziende
Terza parte: i criteri di composizione dei consorzi europei
Quarta parte: monitoraggio ex-post dei progetti
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment