Monday, November 19, 2007

Web 2.0 o meno... "l'intelligenza" è un fattore strategico per le aziende, il punto di vista di Alberto Baggini, Head Hunter.

Può sembrare banale dire che il "fattore umano" è considerato una leva competitiva, ma a mio parere in Italia non è sempre così; vi propongo alcune considerazioni sull'Intelligenza di un Head Hunter, Alberto Baggini.

Alberto è CEO di IQM selezione, azienda italiana impegnata nella selezione e nello sviluppo dei migliori talenti, ed è anche professore al Politecnico di Milano dove insegna “Fondamenti di Economia Aziendale ed Impiantistica Industriale”. Alberto Baggini segue da tempo, con passione, le tematiche legate all' "Intelligenza" ed alla sua valorizzazione all'interno delle aziende.


Ho avuto modo di ascoltare un dibattito sull’intelligenza su Radiouno, cui hai partecipato con Roberto Vacca e Natalia Buzzi. Tema interessantissimo in relazione alle discussioni sul mio blog, ovvero l’Innovazione in Italia, web e mondo collaborativo. L’italia è sempre più in affanno sul tema Innovazione. Un problema anche di mancanza di “cervelli”?
Tu conosci anche il mondo accademico, in quanto professore del Politecnico di Milano, c’è una responsabilità anche dell’Università Italiana in questa difficoltà di produrre innovazione del sistema Italia?

Non credo che ci sia un problema di mancanza di cervelli: in Italia ci sono ottimi istituti di formazione, sia universitaria sia post-universitaria, che consentono di preparare futuri professionisti alle sfide lavorative più impegnative ed articolate. Penso piuttosto a carenze strutturali nella valorizzazione delle risorse, che risiedono prevalentemente nella mancanza di un sistema meritocratico ben articolato, in grado di autoriprodursi ed evolversi in modo equilibrato e funzionale. Le maggiori difficoltà di accesso alle opportunità professionali sono significativamente limitate da un sistema clientelare diffuso, che spesso ed in molti contesti lascia poco spazio alla naturale crescita di capacità e doti personali di indubbio valore.


L’intelligenza è funzionale anche alla possibilità di reagire a stimoli esterni (che ovviamente devono esistere!). Sicuramente chi lavora in Silicon Valley parte da una posizione privilegiata rispetto ai nostri giovani professionisti, cosa consiglieresti loro per sviluppare meglio il loro percorso professionale?

Suggerisco di tenere un atteggiamento sempre coerente, disponibile e trasparente, che non si pieghi a compromessi e a sotterfugi, consentendo di portare alla luce le distorsioni del nostro sistema. Occorre grande tenacia, onestà intellettuale, dedizione allo studio e alla professione, che alla lunga riescono a far emergere le proprie caratteristiche professionali, al di la’ della congiuntura che può frenare tale crescita con vincoli di natura non professionale; perseguire i propri obiettivi con chiarezza e determinazione può consentire la piena valorizzazione delle proprie capacità, attraverso impedimenti che per loro stessa natura non possono che essere congiunturali e temporalmente e spazialmente limitati.


E cosa consiglieresti alle aziende per sviluppare le capacità umane presenti?

Le aziende sono chiamate a facilitare l’emersione ed il pieno sviluppo delle potenzialità dei propri dipendenti e dei propri collaboratori, proprio per il ruolo sociale che esse debbono avere. Investire sulle risorse umane significa creare ed alimentare costantemente un clima aziendale positivo, che apporta inizialmente benefici di natura extra-economica, che poi hanno importanti ricadute reddituali. Liberare energie e risorse significa alla lunga arricchire il proprio capitale umano, patrimonio d’impresa primario, tanto da generare “giochi a somma positiva”, ovverosia sinergie che vanno al di la’ della mera somma algebrica dei fattori. Occorre credere nella capacità degli individui di generare valore aggiunto per l’impresa, anche quando tali risorse non siano empiricamente misurabili.


Faccio un passo indietro... quali e quanti tipi di intelligenza esistono? E sopratutto come fai, nella tua attività professionale di head hunter, a mettere correttamente in relazione una capacità individuale con i requisiti relativi ad una specifica ricerca?

Le tipologie di intelligenza sono tante quante le abilità umane ed i contesti in cui queste trovano piena applicazione. L’esperienza, la misura, il buon senso, la cultura d’azienda consentono ad un selezionatore di individuare gli skills critici per una certa posizione e di far emergere le relazioni tra questi ed i contesti in cui trovano espressione. L’ottica prevalente deve essere sempre quella del management: occorre sapersi calare nella realtà in cui la persona andrà ad operare come se fosse la propria realtà aziendale. E’ necessario mettersi sempre nei panni del cliente, per valutare con professionalità e piena onestà se il tal candidato sarebbe l’elemento di punta anche per noi in veste manager dell’azienda di destinazione. Se io fossi il cliente, troverei in questo candidato l’elemento migliore per la posizione che devo ricoprire?


Una delle abilità che hai citato in quell’intervista è quella di reagire adeguatamente nelle situazioni difficili... mi sembra di entrare in una sfera veramente poco misurabile, ma concordo con te che è una delle caratteristiche che apprezzerei di più in un collaboratore. Come si fa a valutare ciò in sede di colloquio? E soprattutto ci si può educare a reagire correttamente?

I colloqui sotto stress consentono di valutare le reazioni dei candidati di fronte a reazioni non prevedibili o difficilmente inquadrabili, in modo che il nostro interlocutore non possa mettere in atto un comportamento consolidato ma debba mettere in gioco il proprio istinto, la propria capacità di improvvisazione e di gestione delle criticità, che sono poi requisiti fondamentali di fronte a richieste endogene od esogene di adattamento.
Ci si può certamente educare a reagire correttamente, cercando di coltivare una visione prismatica della realtà ed una conseguente capacità di analisi della situazione; nella quotidianità del mio lavoro appare molto evidente come uno skill, un’abilità, un’inclinazione caratteriale, costituiscono un valore se riferiti ad uno specifico contesto ed ad una posizione definita, ed allo stesso tempo un disvalore quando collocati in un contesto non appropriato. Non ci sono professionisti bravi e professionisti non validi; ci sono professionisti bravi in un certo contesto e professionisti inadatti alla situazione. Reagire positivamente di fronte alle situazioni “difficili” significa riuscire a vedere se stessi ed il contesto congiunturale nel modo più ampio possibile, contemperando soluzioni di segno opposto, e sapendo cogliere che i segnali sfavorevoli e quelli positivi sono tali fino a che non vengono decontestualizzati. L’intelligenza in senso lato è proprio la capacità di elaborare una visione prismatica per non essere dominati da un’interpretazione univoca e per incanalare fattori positivi e negativi verso la loro più adeguata collocazione.


Roberto Vacca appariva scettico rispetto alla mission di Mensa Italia, di cui è presidente la sig.ra Buzzi, ovvero un club dei superintelligenti selezionati attraverso test. Ti confesso che, seppure nel totale rispetto per queste iniziative, sono su posizioni contrarie, per una questione personale (preferisco l’associazione spontanea e “democratica” del web sociale) ma anche sotto il profilo sostanziale. Proprio nella sezione “job” della nostra azienda ho citato una frase (anche banale se vuoi) di Jean Cocteau.... “una certa stupidità è indispensabile” . l’intelligenza è fatta da analisi ma anche di emozioni...

Sono assolutamente d’accordo con te: le abilità che cito sono un mix equilibrato di ragione e sentimenti, che matura con l’esperienza, con l’apprendimento, con la ricchezza delle relazioni interpersonali. Senza l’interazione umana e sociale l’intelligenza – comunque definita – non avrebbe ragion d’essere: non è nozionismo, non è cultura, non è tutto ciò che esiste e persiste nel nostro io isolato bensì quell’insieme di attitudini, competenze, capacità che maturano, si sviluppano, si valorizzano attraverso l’interazione. Ion Tiriac – grande tennista degli anni ’70 – è ora un uomo d’affari con un patrimonio di 880 milioni di euro, e ha dichiarato: “Mi ritengo molto intelligente: in tutte le circostanze in cui sono stupido, cerco qualcuno più intelligente di me”.


Tralasciando la politica, l’altro attore coinvolto nei processi di valorizzazione dell'intelligenza sono le aziende, proprio per il Politecnico segui da vicino l’organizzazione delle Aziende Italiane, perché sono poco preparate alla sfida dell’innovazione?

In Italia il 98% delle imprese sono PMI, con meno di 500 dipendenti. Di queste, il 95% ha meno di 10 addetti.
In tale contesto è molto difficile che l’innovazione abbia i capitali, le risorse umane, i mercati di riferimento. Occorrono team di lavoro ampi e ben organizzati, una cultura aziendale di ampie vedute e con relazioni internazionali. Antropomorfizzando l’impresa tipo italiana, possiamo dire che manca quella visione prismatica di cui scrivevo, nonché soprattutto una convergenza di risorse, di strategie imprenditoriali, di obiettivi di lungo periodo, verso una piena valorizzazione non solo della propria realtà ma dell’intero sistema Paese. Posso provocatoriamente e semplicisticamente dire che l’Italia è un Paese di individualisti, che frammentano le proprie risorse, le proprie idee, le proprie abilità in una moltitudine di progetti, spesso e volentieri a proprio uso e misura.

Farei un’altro centinaio di domande ma prometto questa è l’ultima... Parlando proprio di risorse umane la mia impressione è che talvolta il management è troppo conservatore rispetto alle pulsazioni che arrivano dal “basso”. Su Repubblica un’inchiesta dice che il 51% dei dipendenti non ha fiducia nei propri manager. Sicuramente il conflitto è fisiologico, però ho l’impressione che ci sia un fondo di verità, Robert Jackall, professore di sociologia al Williams College nel Massachusetts sostiene che i manager sono troppo presi dall’assicurarsi un ruolo in presenza di cambiamenti di struttura, da non rischiare mai decisioni “coraggiose”, uno stimolo negativo per “l’intelligenza” del manager?

La risposta è una continuazione ed una estensione della precedente: quanti manager sono disponibili a lavorare per la propria realtà e per una effettiva ricaduta socio-economica del proprio operato?
E’ peraltro difficile tirarsi fuori da un siffatto sistema, dove un proprio orientamento al medio-lungo periodo da’ l’avvio ad un nostro competitor per raccogliere nel breve. Chi investe nella corporate social responsibility, spostando risorse dalla redditività di breve ad un ritorno più organico e lungimirante? Chi ha una cultura anglosassone, chi ha una struttura aziendale di grosse dimensioni, chi è obbligato dall’esposizione sui mercati, chi ha già una redditività extra-budget…

No comments:

Post a Comment