Continua dal precedente post...
A proposito dell’atteggiamento delle aziende italiane cito l’ultimo intervento nel forum di un “lean specialist” (non cito gli autori perché non ho avuto modo di contattarli per chiedere esplicita autorizzazione): “l’interesse dell’azienda ... è conservare le risorse più efficienti e a più alto potenziale di crescita... questo significherebbe offrire un ambiente stimolante, investire in formazione ed incentivare economicamente... tutti costi per l’azienda. In un mercato come quello italiano, in cui la richiesta è bassa, credete che le aziende debbano investire per potersi garantire in azienda una risorsa valida? Forse si, ma in misura ridotta rispetto ai mercati esteri”.
Ecco, questo fotografa la situazione... estremamente significativo quel “forse” con cui comincia l’ultima frase... sembra quasi un no.
La medesima affermazione contiene in realtà anche la prima conferma che ho ricavato dalla discussione e che cioè la realtà italiana sia un po’ una anomalia, nel senso che nelle multinazionali spesso l’atteggiamento è un po’ diverso, figlio probabilmente di un approccio fortissimamente orientato ai risultati, e che quindi impone anche (in qualche modo) un regime un po’ più sano di competizione.
Occorre aggiungere che all’estero l’approccio commerciale è maggiormente basato su un tessuto dedito alla costruzione di prodotti e servizi, che grazie al fattore di scala moltiplicativo, garantisce un ricavo per dipendente più alto di quello dei classici System Integrator.
La qualità del prodotto finale è qui funzione del prodotto individuale e quindi quest’ultima diventa misurabile proprio in un’ottica interna, a differenza dei System Integrator che valutano principalmente sul livello di ricettività delle risorse da parte del cliente.
Non a caso nell’ultimo anno ho potuto osservare un fenomeno di migrazione lavorativa verso l’estero, in funzione di livelli retributivi decisamente più alti che in Italia.Non reputo in assoluto questo fenomeno negativo, io stesso ho vissuto una esperienza analoga (tutta italiana) e ritengo che mi abbia arricchito, ma se, come ha detto nel suo discorso di fine anno il presidente Napolitano, l’Italia deve trovare fiducia nelle proprie capacità, un buon punto di partenza sarebbe quello di recuperare capacità attrattiva nei confronti delle proprie risorse migliori.
La situazione nel mercato IT dal 2000 in poi
Nel settore IT, a cavallo tra il 1999 ed il 2001, si è verificata una impennata del costo del lavoro legata alla penuria di esperti nelle “nuove tecnologie”, per cui un esperto java, con un anno di esperienza arrivava a guadagnare cifre che un suo collega operante su mainframe riusciva a guadagnare solo dopo diversi anni.
Da allora però è aumentata moltissimo l’offerta e la disponibilità di contratti precari, mentre l’implosione della Net-Economy e la concentrazione del mercato bancario hanno contratto ricavi ed ancor più margini per le aziende IT italiane.
Le banche hanno infatti drasticamente ridotto le tariffe cresciute moltissimo negli anni d’oro.
Il mercato italiano è inoltre abbastanza bloccato, (forse è meglio dire dire “maturo”?) nel rapporto cliente/fornitore, tant’è che una delle risposte più significative ad una survey che avevo commissionato un paio di anni fa (a 200 manager del settore bancario) è stata che gli intervistati hanno risposto di non aver cambiato fornitore nel 90% dei casi, e solo in presenza di inadempienze gravi.
continua... fattori che influenzano la valutazione del contributo professionale...
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