La comunità di pratica sostituisce al meccaniscmo del rapporto diretto esperto/allievo visto nel precedente post, una metodolofgia di lavoro fatta di relazioni aperte e in un sistema di rete sociale aperta e partecipativa:
- I gruppi di lavoro nascono intorno a tematiche definite e sono a “geometria variabile”
- Maturano impegni tra i soggetti che di volta in volta cooperano
- Mettono a disposizione un set di esperienze e le condividono
- Determinano un percorso di apprendimento fatto di esperienza che nasce dalla negoziazione delle esperienze dei singoli.
Questo metodo è stato da prima applicato con successo in alcuni contesti industriali, da Microsoft a Procter & Gamble, ma se osserviamo benè di fatto alla base del successo del fenomeno del Social Networking. Ed è proprio questo successo nel campo delle relazioni personali che paradossalmente ne sta ri-evidenziando anche l’efficacia in campo aziendale.
Come afferma Domenico Lipari nella sua prefazione a “Coltivare le comunità di pratica” di Wenger, McDermott e Snyder: “il fondamento dell’apprendere risiede dunque nella partecipazione sociale ad una pratica” e diventa quindi determinante rendere efficaci e concreti ii concetti che mirano al “community development” e sono essenziali per determinare il successo di una esperienza lavorativa di collaborazione
A. Gli strumenti, la teoria della comunità di pratica infatti ipotizza la disponibilità di strumenti che gli utenti possono scegliere di utilizzare con una certa libertà. I social network attuali rendono disponibili servizi molto elementari (blog, bollettini, raccolte di foto). In ambito professionale si dovrebbe ottenere l’obiettivo di elevare la qualità dei servizi puntando su comunicazione, ricerca di informazioni, competitive intelligence, archivi multimediali veri e propri.
B. Individui e le cellule, ovvero meccanismi collaborativi che riescano a mettere in contatto utenti appartenenti alle reti sociali con un meccanismo trasversale teso a favorire l’integrazione delle reti stesse. Caratteristica di questo modello organizzativo è l’agilità con cui gli individui reagiscono alle sollecitazioni e danno vita a strutture snelle e dinamiche in grado di affrontare un problema specifico
C. I moderatori. La funzione di questi personaggi è quello di stimolo di attività collaborative. Tale attività richiede impegno e l’impegno è spesso proporzionale alla verifica dell’efficacia della collaborazione. Il moderatore è quindi colui che cerca di mantenere alto il “ritmo” della collaborazione, rilanciandola in momenti di stanca e riportandola su binari concreti quando invece tende eccessivamente a divagare.
D. Trasparenza e Motivazione, in quanto la condivisione degli strumenti e degli obiettivi introduce nel sistema una maggiore trasparenza del fini e del modello organizzativo, rendendo percepibile il ruolo del singolo individuo e determinandone le adeguate motivazioni
Quest’ultimo punto è probabilmente lo snodo centrale nell’adozione di sistemi collaborativi: il contributo sarà tanto più efficace e maggiore tanto più verrà percepito come atteso ed apprezzato. Qeusto forse può rappresentare uno dei maggiori ostacoli in questo momento, per l’adozione di tale metodologia all’interno di strutture grandi ed organizzate.
Leggi gli altri paragrafi....
1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di Pratica
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