Il mondo delle banche è stato caratterizzato negli ultimi anni da due fattori che hanno fortemente impattato sui processi organizzativi: le successive fusioni e l’adeguamento alle normative emesse, la famigerata “compliance”.
Questi due macro-eventi sono stati vissuti, in generale, come processi che assorbivano tali quantità di risorse da non lasciare molto spazio, sopratutto nel campo dell’IT, ad innovazione ed evoluzione. In teoria , quello che per la governance delle banche rappresentava un’opportunità di business (crescita attraverso fusioni ed incorporazioni) e per i legislatori un’opportunità di rendere questo business più sicuro (leggi a tutela dei clienti e delle stesse banche) ha rappresentato per molti solo un costo.
Il paradosso consiste nel fatto che proprio mentre entrano a regime le famose (o famigerate) Basilea 2, Market Abuse e Mifid il sistema bancario e finanziario internazionale sta saltando. Ma non doveva proprio tutta questa regolamentazione introdotta ridurre i rischi? A voler essere addirittura pignoli sono stati proprio i due segmenti più recentemente normati ad avere messo in crisi il sistema, crediti e finanza.
Dobbiamo doverosamente osservare che la crisi è partita dagli States e dal famoso crollo dei prestiti “subprime” che ha poi esportato i suoi effetti nel mondo della finanza mentre parte della regolamentazione riguarda solo il contesto europeo.
Ma allora cosa è stato poi di questi progetti di compliance?
I buoni propositi delle diverse leggi si sono infrante su una loro applicazione quanto meno “leggera”, un po’ lontana dall’intento del legislatore. Solo per dare una panoramica dei requisiti espressi dalla legge citiamo infatti alcuni dei rischi sui quali veniva richiamata l’attenzione delle Banche per la sola Basilea 2: il rischio di credito, ovvero l’erogazione di crediti con le adeguate garanzie, i rischi connessi al mercato, i rischi legati alla gestione operativa (9/11 docet) ma ancora rischio di liquidità, di tasso di interesse ecc.
Anche la redditività è tra i parametri sotto osservazione ma a questo, bisogna onestamente riconoscere, è un punto cui le banche hanno posto sempre molta attenzione.
La valutazione di tutta una serie di parametri concorre alla determinazione di un capitale interno da accantonare, la cui funzione principale e far fronte alle eventuali perdite derivanti dal materializzarsi di uno di questi rischi. La market abuse invece si è occupata dell’intermediazione finanziaria e si poneva lo scopo di istituire una rete diffusa di controlli per evitare speculazione e turbative di mercato.
Ora in particolare la prima appare come una legge che tenta di imporre quella sembrerebbe essere una pratica virtuosa cui le banche, in genere tutte le aziende, dovrebbero riferirsi, a prescindere dall’esistenza dell’esistenza di una tale legge. Ovviamente in relazione alle proprie dimensioni ed al rapporto costo benefici dell’operazione.
Invece assistiamo, proprio in questi mesi (e continuiamo a viverlo di ora in ora), ad una profonda crisi provocata prima da una allegra gestione dell’erogazione dei crediti, poi della gestione degli stessi attraverso le cartolarizzazioni, ed infine alla crisi finanziaria derivante dalla contrazione delle liquidità.
Chissà cosa poteva essere realmente evitato, perché, ribadiamo, il germe di questa crisi era stato appunto seminato negli States, ma se questo ha condotto al crollo delle principali banche d’affari americane allora risulta piuttosto strano che nessuno, in banche del calibro di Unicredit (uno dei gruppi europei pi grandi al mondo) ed Intesa San Paolo, non avesse adeguatamente preparato il proprio sistema ad una evenienza di tal genere.
continua...
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