Thursday, January 31, 2008

Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte quinta) la prudenza delle Banche

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Abbiamo citato il Social Lending come reale esperienza di web 2.0 nel mondo finanziario, almeno relativamente all’accezione “sociale”; altri modelli di business possibili sono solo sperimentati, o addirittura solo studiati, ed è oggettivamente difficile, al momento, immaginare qualcosa di recepibile con successo dal cliente.

I numeri del settore (il banking on line),
sono si in crescita ma non in maniera esplosiva, ed il fatto che le operazioni richieste siano in larga parte funzione di visualizzazione dell’estratto conto, evidenzia un difficoltà oggettiva degli utenti (solo italiani?) nel familiarizzare con l’internet banking.

Negli anni dell’esplosione dell’on-line banking e della bolla della “net-economy” molte banche avevano cominciato una serie di programmi di fidelizzazione della clientela, con l’ambizione, in qualche caso di proporsi come intermediari o addirittura market place. Esperimenti che però non hanno dato probabilmente i risultati attesi.

L’approccio dell’utente con il portale della propria banca era, e rimane, ancora tiepido, tant’è che in questo momento è oggettivamente difficile ipotizzare servizi che possano dare forza al canale web bancario. La filiale, in definitiva, appare ben lungi dall’essere soppiantata dal web.

Se guardiamo al passato, possiamo osservare che hanno ben funzionato servizi tecnologici estremamente innovativi, ma strettamente connessi al core dei servizi bancari, come fu all’epoca il trading on line. Sono nate e/o cresciute in questi anni realtà come Fineco, Intesa Trade, Directa, IwBank (ne cito solo alcune ma non per giudizio di merito...), con focalizzazione più sul trading per alcune, più sul banking per altre. Poi abbiamo assistito all’affermarsi del “conto arancio” di INGDirect.

Le Banche “tradizionali” invece non mi sembra abbiano ricevuto impulso sostanziale dal web, anche a causa di un atteggiamento eminentemente difensivo, a parte credo qualche eccezione quale banca Sella o Webank, ma si tenga ben presente che queste considerazioni sono piuttosto empiriche. Oggi, come abbiamo detto, la novità rilevante è solo quella del social lending.

Quindi, avrebbe senso integrare tools non legati strettamente al focus primario per creare un volano in grado di trainare il business?

Il web prolifera di servizi offerti al cliente in maniera low o addirittura no cost, non è facile tirare fuori qualcosa dal cilindro di interessante... Il mercato per le banche on line è ancora ristretto (e presidiato), ancora più ristretto il target di utenti evoluti in grado di apprezzare questo tipo di iniziative. Quale può essere il risultato atteso, tale da giustificare investimenti tecnologici ed organizzativi?

Questo spiega la grande prudenza verso il web 2.0, in un numero del marzo 2007 di “Marketing e Finanza” San Paolo dichiarava di voler passare dall’Internet Banking tradizionale all’ “Integratore Web”. Ma ancora non ci sono esperienze significative.


Leggi gli altri paragrafi....

1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di Pratica

Argomenti correlati:

-Intervista a Gianni Soreca IDC Consulting Director
-Focus su Zopa
-Focus su Boober, Intervista a Manolo Maffeis
-La percezione della comunicazione, R.Taverna
-Dati Abi 2007

Monday, January 28, 2008

Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte quarta) non solo Zopa, Boober, Prosper e la banca dei poveri

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Come ho raccontato in precedenza il post su Zopa ha innescato una serie di reazioni interessanti, che testimoniano la positività di quel fenomeno che va genericamente sotto il nome di web 2.0.

Da un lato alcune persone, che hanno letto i miei post, hanno lasciato informazioni importanti sul tema, aiutandomi nelle mie ricerche, dall’altro il marketing di Zopa mi ha indirizzato della documentazione interessante sul loro servizio.

E’ materiale pubblico e quindi cercherò di sintetizzarlo in un breve post che però pubblicherò solo alla fine, per evitare di monopolizzare la discussione su Zopa. Mi rimane ancora una curiosità, tutta tecnica, sul rapporto social lending – Basilea 2. Spero che qualcuno dei protagonisti del mercato mi aiuti con una risposta.

Come vi dicevo l’altra cosa positiva è stata la segnalazione di altri servizi simili. Tra questi Boober, servizio analogo a Zopa ma gestito da Centax, il circuito che si occupa soprattutto degli aspetti telematici legati agli assegni. Quindi, anche in questo caso, ci troviamo di fronte ad un’iniziativa comunque legata al mondo bancario tradizionale, e d’altra parte, vista la complessità e la delicatezza del tema, sarebbe difficile pensare che possa accadere diversamente.

Non conosco direttamente Boober, se non quello che si può leggere in giro e la comunicazione sul servizio sembra meno tambureggiante del suo concorrente, ma proprio l’autore del commento in cui mi veniva segnalato Boober mi ha raccontato di essere un finanziatore, l’ho invitato a ricontattarmi direttamente per potervi offrire le sue impressioni. Spero che lo faccia, lo ringrazio in anticipo.

Sia Zopa che Boober sono emanazione italiana di istituzioni internazionali e per completare il quadro vorrei segnalare che ci sono altri servizi del genere all'estero, in America per esempio, Prosper dove a fronte di una richiesta viene attivata una vera e propria asta tra i detentori dei capitali, anche con piccoli importi che concorrono al raggiungimento della somma ricercata.

Questo mi sembra sia più "social"... ma naturalmente è solo questione di gusti .



Assolutamente “Social” la Grameen Bank, la “Banca dei Poveri”, prima banca al mondo ad effettuare prestiti ai più poveri basandosi non sulla presunta solvibilità, bensì sulla fiducia. Nata nel 1976 grazie all’iniziativa del premio Nobel (2006) Muhammad Yunus. ha erogato di 5 miliardi di dollari ad oltre 5 milioni di richiedenti .

E’ nata quindi Kiva.org, la versione web 2.0 che permette a singoli di prestare anche poche decine di dollari ad imprenditori del terzo mondo per sostenere la loro attività. L’iniziativa è No-Profit ma non viene richiesta beneficenza, vengono richiesti capitali e fino ad esso sembra che ne siano stati rimborsati il 100%.

Anche Zopa dichiara di essere un contributore in funzione della propria raccolta.


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2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di pratica

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Sunday, January 27, 2008

Interruzione Pubblicitaria 2....

Eh già... la pubblicità è la chiave della nuova esplosione del web... per cui..

No è uno scherzo... vi segnalo un sito perchè sono amici e perchè l'ha fatto una persona che conosco bene. cioè io!!
Non sono un grafico ne un web developer ma mi diverte fare esperienze diverse. Se volete potete commentare... senza essere troppo cattivi


Se proprio non avete nulla da fare ho pubblicato un restyling della home di del mio sito http://www.carlobruno.net/ ... spero vi piaccia...

Friday, January 25, 2008

Blogmeter, un prodotto italiano per il web scanning

Ieri ho avuto un interessante incontro con Sacha Monotti, che ha realizzato un bel prodotto che analizza i blog e può essere utilizzato in molti contesti, con differenti scopi. Mi appassiona perchè non nascondo che avevo cominciato a lavorarci anche io un paio d'anni fa, poi per diverse vicissitudini non è stato possibile andare oltre il prototipo. Quindi ve lo segnalo.

Il prodotto che si chiama BlogMeter e spero di parlarne al più presto proprio con il contributo di Sacha. Per il momento date un'occhiata al website: http://www.blogmeter.it/

Thursday, January 24, 2008

In Italia si tutela la privacy dei dati navigazione web, altrove i dati vengono usati.

Oggi due notizie di segno opposto disorientano chi le legge.

Sulla Stampa, nell'intervista a Peter Fleischer, responsabile globale per la privacy di Google si legge una sua risposta ad una domanda esplicita sulle garanzie sui dati personali:

"Abbiamo pubblicato un decalogo di condotta: per esempio tratteniamo i dati solo per 18 mesi e poi li anonimizziamo... ....Per esempio, siamo in grado di mirare e personalizzare gli spot che piazziamo nella Gmail, la nostra posta elettronica gratis che offre tanto spazio di memoria sul Web, tarandoli sui gusti di ciascuno"

Su Repubblica invece si parla di una decisione del Garante per la Privacy che vieta ai gestori telefonici ndi conservare i dati sulla navigazione internet dei propri utenti, come siti visitati ed indirizzi IP.

"i dati possono coincidere di fatto con il contenuto della comunicazione, consentendo di ricostruire relazioni personali e sociali, convinzioni religiose, orientamenti politici, abitudini sessuali e stato di salute" afferma il Garante.

E' il solito problema.. la rete è globale, ma le legislazioni nazionali differenti...

Il mobbing rappresenta spesso un danno economico per la stessa azienda e ovviamente umano per il dipendente. Oggi ne parla un articolo del Corriere

Questo post non è strettamente correlato al web 2.0 ma ho affrontato spesso tematiche inerenti alla qualificazione e alla motivazione del personale, come all'uscita del ormai famoso "manuale antistronzi". Oggi un articolo del Corriere mi ha dato lo spunto per parlare dell’altro capo estremo del problema: il mobbing.

L’articolo cita proprio il caso di una manager di una azienda IT molto grande, con sede a Milano, che da 5 anni viene emarginata dal lavoro. Il problema vero è rintracciabile nella dichiarazione della stessa donna “Non sono nelle condizioni di potermi licenziare e non ho assolutamente intenzione di accettare il riconoscimento di 25.000 mila euro che mi ha proposto l'azienda per un licenziamento concordato. Dal 2002 quando è iniziato il mio calvario ad oggi mi è successo di tutto”.

Non conosciamo le cause di questa scelta dell’azienda (ma poi chi è “l’azienda”? l’azienda è fatta da persone e spesso queste scelte maturano dalla volontà di una o due di loro), come in ogni caso potrebbero risiedere nell’incapacità dell’uno o dell’altro di dialogare, o in una reciproca responsabilità.

Ma il punto centrale della questione , secondo me, è che il “capo” a dover essere più bravo a risolvere la situazione. In genere, è ovvio, è meglio pagato ed è messo in un posto di responsabilità per gestire i problemi, quindi tocca a lui capire le leve operative, ma anche psicologiche, che deve muovere per ottenere il risultato. Non deve approfittare della sua posizione di forza, ma deve usarla per trovare il bandolo della matassa.

Se un team o singole persone non funzionano la responsabilità è sempre del manager e questa non è una frase fatta. Certo i risultati possono non essere uguali con tutti, ma l’abilità di un manager è quella di capire qual è il limite cui ciascuno si può spingere, e raggiungerlo, con realismo.

Al netto delle considerazioni morali, prendiamo ad esempio il caso citato dal Corriere. Si impone una premessa: la mia solidarietà va "istintivamente" alla signora citata, perché purtroppo ho visto direttamente tanti casi del genere e quindi so che il suo racconto è verosimile, ma non conosco i dettagli della situazione e tanto meno l’altra versione, quindi mi astengo dal giudizio.

Diciamo che la userò come situazione prototipo.

A partire da un dato momento si innesca probabilmente un rapporto di sfiducia tra questa manager ed il suo capo, lui vuole mandarla via, probabilmente la demansiona per “ammorbidirla” e poi le prospetta un percorso di uscita addolcito da 25.000 euro. Lei rifiuta e lui la punisce ulteriormente. Perché non le offre di più? Il budget dell’azienda non lo consente o forse il problema è personale, tra il capo e la donna, lui quindi non può, e non vuole, giustificare un costo che oggettivamente sarebbe imputabile solo ad un sentimento di antipatia dell’uomo. Credetemi è un caso frequentissimo.

Facciamo un’ipotesi e vediamo il risultato, lei guadagna 50.000 eur lordi anno, per 5 anni l’azienda spende almeno 375.000 eur l’anno, comprensivi degli altri oneri e senza considerare i costi aziendali. E’ un costo che l’azienda sostiene ma che non sarà imputabile alla volontà del manager quanto quello, esplicito, di un incentivo all’uscita.

Lei poi però dopo un po’ fa causa all’azienda e rischia di vedersi riconosciuti parecchi soldini... quanto è costata ai soci la mancata volontà di risolvere il problema?

Il suo caso, inoltre avrà poi probabilmente influito anche sugli altri colleghi ed il costo sale, perché qualcuno in gamba avrà pensato di andarsene o rimanendo non avrà lavorato come prima, questo costituisce un altro costo (...ma nessuno può vederlo...).

Arriviamo poi all’ultima ipotesi. E’ un caso vi assicuro frequente: la signora era, per esempio, un commerciale molto in gamba ed il suo capo ha avuto paura di non essere all’altezza, per evitarsi una concorrente ha cominciato a ostacolarla e a parlarne male con i soci o con l’Amministratore Delegato, ha approfittato di qualche errore per metterla in cattiva luce.

Il risultato, negativo, da aggiungere, sono i contratti non più chiusi dalla signora nei cinque anni, per importi, nel nostro settore, certamente calcolabili in N volte il suo stipendio. A quanto arriva il conto relativo alle cattive scelte del Manager???

Ora cominciamo ad usare come unità di misura i milioni di euro... (ma naturalmente anche questo costo non sarà visibile ai soci).

Credo che in questi casi bisognerebbe quindi essere freddi e se siete un capo e un vostro manager "mobbizza" qualcuno per licenziarlo... fatevi due conti e dategli una scrollata.

Non vorrei esser sembrato insensibile, avendo parlato solo di danno economico, io credo che la gestione di una azienda deve rispondere a principi etici, ma il mio obiettivo era quello di confutare la tesi che certe scelte vengono prese perchè una azienda deve essere gestita con criteri manageriali. Il mobbing non è uno di questi criteri innanzitutto.

Il vero costo, secondo me, è quello pagato solo dal dipendente, quello che mina la sua salute e la sua famiglia. A coloro che vogliono risolvere le loro grane con il mobbing dico che, davanti a voi, prima di tutto, c’è una persona, mettetevi nei suoi panni e capite prima quali sono le conseguenze delle vostre azioni. Un uomo passa la maggior parte delle suo ore al lavoro, la maggior parte della sua vita al lavoro e le conseguenze nel bene e nel male se le porta a casa.

E’ un diritto di ognuno vivere un ambito lavorativo dignitoso, anche se non si è in gambissima e sempre d’accordo con i colleghi. Il mobbing è un danno al patromonio etico, intangibile, di una azienda.

Monday, January 21, 2008

Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte terza) il marketing nell'era dei blog - vietato bluffare

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A questo punto la mia tabella di marcia prevedeva una chiacchierata su altre iniziative, diverse da Zopa, legate all’utilizzo del web come canale e modello di business alternativo.

Ma proprio il precedente post ha generato un paio di eventi che mi inducono a deviare leggermente dal cammino prestabilito, per parlare della comunicazione e del marketing in questo periodo specifico del web.

Alcuni lettori mi hanno segnalato altre iniziative nel segmento del social lending e ho ricevuto direttamente da Zopa dell’interessante materiale informativo.

Questo credo sia un’interessante conferma dell’uso che si fa oggi del web (chiamatelo web 2.0 o come preferite...), ovvero come canale di condivisione (interattivo) di informazioni. Da un lato utenti mi segnalano informazioni interessanti, aiutandomi a colmare il mio fisiologico debito di conoscenza, dall’altro un attore industriale Zopa, individuandomi come soggetto interessato (fortuna nelle ricerche o grazie ad un efficace sistema di web scanning?) al tema mi ha indirizzato informazioni sul proprio servizio.

Il mio post su Zopa era... diciamo “prudente”, perché, non conoscendo alcun utilizzatore reale del servizio, ovviamente ne ho parlato senza esprimere giudizi. Il contatto avvenuto con Zopa ovviamente non mi fa propendere sicuramente verso un giudizio positivo, perché ancora non ho riscontri sulla cui base giudicare, ma certamente mi fa capire che il management è ben predisposto all’ascolto e alla condivisione delle informazioni.

Direi che sicuramente ha abbattuto qualche diffidenza iniziale.

Questo post inoltre è un nuovo pezzo di web che si aggiunge a quelli che parlano di Zopa e probabilmente, volendo condividere le informazioni ricevute, ne aggiungerò un altro solo su di loro. Il massimo risultato con il minimo sforzo.

In un forum su Viadeo Italia su banche e sicurezza, la discussione è finita proprio su Zopa e, prevalendo in tutti la conoscenza superficiale su di loro, in un post avevo sollecitato un intervento di Zopa per spiegare qualcosa in più.

La mail che mi è stata inviata va certamente in questo senso, ma se posso consentirmi un piccolo suggerimento al marketing di Zopa, un messaggio pubblico (come post ai forum o come commento ai blog) sarebbe ancora più “2.0”, perché si trasformerebbe in una discussione pubblica, con parità di condizioni per tutti quelli che vogliono intervenire. (l’unico post che abbia mai cancellato è su richiesta diretta di chi l’aveva scritto)

Altri due interventi riguardano il ben noto KIVA, di cui ho già detto che parlerò, e Boober.it, altro sistema attivo in Italia, di cui non avevo informazione. Non so se l’anonimo segnalatore di Boober sia un navigatore semplice come me o una persona del marketing di Boober stesso. In ogni caso lo ringrazio.

Nel primo caso per il suo disinteressato aiuto e nel secondo per avere “discretamente” segnalato...

Se qualche esperienza ci ha regalato informazione sul marketing nei blog è proprio che atteggiamenti del tipo “ti segnalo un fantastico servizio molto migliore dei suoi concorrenti” diventa controproducente e rapidamente individuato. Molto meglio, a mio giudizio, dichiararsi esplicitamente astenendosi dai commenti, ma contribuendo con il massimo delle informazioni possibili e accettando una discussione pubblica.

Certo l’impegno è notevole, ma è fortemente indirizzato a chi è in target con la propria comunicazione, sia esso un lettore o un “influencer”, ovvero uno che, con pochi o molti contatti diventa veicolo potenziale per le nostre informazioni .


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1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di pratica

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-Intervista a Gianni Soreca IDC Consulting Director
-Focus su Zopa
-Focus su Boober, Intervista a Manolo Maffeis
-La percezione della comunicazione, R.Taverna
-Dati Abi 2007

Tuesday, January 15, 2008

Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte seconda) Esperienze sui canali distributivi la tecnologia ed il credito “social”di Zopa

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Credo che l’innovazione più facilmente integrabile da parte delle banche, legata al “web 2.0” e alla componente tecnologica, potrebbe riguardare le interfacce predisposte per utenti interni ed esterni.

Le possibilità offerte oggi dalle “Rich Internet Applications” sono un sicuro plus per ottenere applicazioni molto potenti, lato utente. Qualche Banca si era già mossa in passato, ma ora tecnologie come Comet e Ajax offrono nuove possibilità.

La rigidità delle prime applicazioni web based può essere infatti essere superata dalle tecnologie citate, che rendono il front end interattivo almeno quanto le analoghe applicazioni sul client. In più si dispone di una capacità di reagire alle sollecitazioni per richieste esplicite degli utenti decisamente superiore a quelle in cui esiste comunque un problema di distribuzione del software.

Inoltre meccanismi adattativi, studiati in base alla navigazione dell'utente specifico, alla sua storia e alle caratteristiche del target cui appartiene, creano la possibilità di ottimizzare la customer experience. Ad oggi sono disponibili funzionalità avanzate quali drag and drop, finestre e layout personalizzabili dall'utente o il pushing informativo che ribalta la tradizionale natura pull del paradigma del web.

Osservando invece le caratteristiche più “intrinsecamente sociali” del nuovo corso del web la situazione è un po’ più statica. C’è da ammettere che la natura “propositiva” e "libera" del social networking mal si adatta all'immagine delle istituzioni che gestiscono i nostri soldi. Ma non mancano delle eccezioni.

Da un punto di vista di modello di business una novità è quella del social lending, è arrivato infatti anche in Italia Zopa (http://www.zopa.it/), un servizio che cerca di fare incontrare più facilmente persone che cercano denaro con persone che vogliono metterlo a disposizione, dove naturalmente oltre a mettere a disposizione il “luogo” di incontro Zopa si incarica di provvedere ad un minimo di vigilanza.

Io più che "social" lo definirei un servizio low cost, che snellendo le consuete procedure bancarie, legate spesso ad eccessiva burocrazie ormai sedimentatasi nel tempo, cerca di offrire costi migliori. In Italia se ne occupa un Sella, Maurizio, solo cugino dell'omonimo banchiere, ma in ogni caso appartenente alla celebre "dinastia" e con un passato nella Finanza internazionale in Citigroup ed altri contesti.

Come dichiara Maurizio Sella “L’esigenza primaria è di ridurre o eliminare l’intermediazione sul mercato. Questo è avvenuto, nel tempo, in molti settori: nel commercio, nel turismo, nel sistema bancario”.

In effetti se, nel 1992, all’esordio della borsa telematica italiana, qualcuno avesse previsto in tempi brevi il fenomeno del trading on line di massa sarebbe stato guardato con sospetto. Oggi la maggior parte dei volumi in borsa è generato direttamente dagli utenti finali senza intermediazione e a costi dimezzati rispetto al solo 1998.

Questo dimostra che anche in ambito bancario è possibile la "disintermediazione" di cui parla Sella.

Ma è curioso come, in un periodo in cui la Comunità Europea spinge per una più rigida regolamentazione del sistema creditizio (Basilea 2), nascano iniziative che in qualche modo vanno in senso (apparentemente?) contario. In ogni caso per chi vuole conoscere qualcosa in più segnalo l’intervista a Maurizio Sella su Eccellere Business Community.

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1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
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Sunday, January 13, 2008

Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte prima) contesto tecnologico

Nell’ultimo anno si è scatenato il dibattito sul web 2.0 in Italia. Per la precisione mi riferisco al mio primario ambito di osservazione, ovvero le banche. per questa ragione ho intrapreso un cammino sistematico per provare a raccontare le principali esperienze. Ecco l'indice al momento:



1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di pratica



Mi viene in mente un vecchio detto che usava la mia nonna, che forzando la rima diceva “sono come la sora Camilla, tutti la vogliono e nessuno se la piglia...” . Infatti sembra che a dispetto del gran parlare non ci siano grandi novità.

Naturalmente questo non è necessariamente un difetto ma allora... perché tanto dibattito?

Diciamo che, come nel caso di molte BuzzWords, la discussione è più alimentata dai cosiddetti opinion maker che dagli operativi, basta infatti ricordare i problemi di integrazione tra banche (Intesa e San Paolo o Unicredit e Capitalia per esempio) per capire che le velleità di innovazione sono obiettivi secondari. Se a questo si aggiungono i processi di Compliance degli ultimi anni (e qui basta citare Basilea 2, Market Abuse o IAS) è chiaro perché temi come il banking 2.0 ed simili sono relegati spesso alle discussioni nei workshop o eventi.

Da un punto di vista tecnologico forse la cosa più concreta è l’introduzione di SOA, spinta soprattutto da grandi produttori, ma anche qui, non come filosofia progettuale aziendale, quanto come tecnologia da utilizzare in alcuni contesti di integrazione. Per il resto il vero caro vecchio mainframe la fa da padrone, e con lui l’inossidabile cobol che, con la sua semplicità, garantisce costi bassi di realizzazione e costi bassi nell’approvvigionamento delle risorse umane.

Non bisogna dimenticare poi che negli archivi digitali delle banche risiedono innumerevoli moduli software funzionanti bene o male da anni. Questo software, di cui talvolta si è persa anche una perfetta conoscenza, rappresenta un patrimonio enorme. Riacquisire know-how e sviluppare nuovamente altro software costituisce un costo.

Inoltre il riflusso conseguente al primo innamoramento (pagato a caro prezzo da molti) per le nuove tecnologie ha fatto il resto. In alcune strutture la parte IT che segue il mainframe e l’IT che segue le tecnologie di networking sono sufficientemente separate e spesso in scarsa comunicazione. Conseguenza di differenze culturali e generazionali.

Forse dopo domani tecnologico, quando sarà sempre più difficile reperire programmatori Cobol (lo spiegate voi ad uno che si è laureato al Politecnico di Milano che deve andare a fare l’A.M. di una procedura vecchia di 15 anni..) ci sarà un lento ulteriore spostamento.

Già oggi sento dire che sulla piazza di Londra c’è fame (e quindi soldi) di programmatori cobol. In ogni caso le banche sono, in linea di massima, ancora mainframe-centriche.

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3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di pratica

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-Focus su Zopa
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Friday, January 11, 2008

La (talvolta) frustrante lentezza dei social network emerge da una inchiesta di Watchmouse.

Leggo un articolo di oggi sul tema delle performance dei social network, non in numero di utenti ma di tempi risposta. L'articolo di Repubblica cita una inchiesta di Watchmouse che ha testato i principali SN internazionali e conferma quello che era da tempo una mia sensazione epidermica.

I grandi network sono estremamente concentrati sui contenuti "sociali" del loro business da trascurare troppo spesso quelli tecnologici. Al di là delle performance, ben illustrate nell'articolo, personalmente riscontro una percentuale di fallimento delle richieste altissime, non riscontate in altri servizi web.

Senza parlare dei servizi offerti, ormai un po' ripetitivi e poco appeal, o della navigabilità e chiarezza di alcuni di essi.

In una intervista Gianni Soreca di IDC ad una domanda sul tema mi ha risposto che è comprensibile".. che sia quello sociale il predominante, visto che senza la socializzazione tra individui non esisterebbe neanche il Web 2.0, ed i grandi contratti / acquisizioni di cui sopra sono fatti essenzialmente per acquisire milioni di potenziali clienti (o eyeballs..), non certo e non solo impianti tecnologici".

Condivido, ma credo che oggi sarebbe ora di vedere qualcosa di meglio anche per quanto riguarda la "qualità" del servizio.

Thursday, January 10, 2008

Il PMO, project management office, l'ufficio che controlla i project manager

Le Banche sono i più grossi investitori in tecnologia in Italia e, a causa delle ricorrenti aggregazioni, oggi le loro strutture IT sono molto complesse. Emerge la necessità della figura del PMO, figura esistente ben prima del più volte citato banking 2.0. di cui parlo spesso in questo blog.

Il fallimento dei progetti

Un giorno qualcuno ha scoperto che la maggior parte dei progetti software non rispettava le stime iniziali, e che buona delle volte l'errore derivava anche da una non corretta valutazione di alcuni fattori di rischio.

In realtà grandi poi si rilevava che le differenze di processo adottate dai diversi gruppi aumentavano le difficoltà di scambio informativo o di risorse tra i gruppi stessi.

In effetti da un lato esiste una difficoltà intrinseca nel prevedere a priori tutti gli eventi che si verificheranno, dall'altro il sommare nella funzione di capo progetto sia funzioni organizzative che tecniche penalizza le prime a discapito delle seconde. Non di rado il "tecnologo" è più avvezzo alla risoluzione pratica dei problemi che alla documentazione degli stessi o alla pianificazione delle attività.

Si aggiunga poi "l'effetto innamoramento" del capo progetto e del team, essi si impossessano della propria "creatura" e ne giustificano la manipolazione e la difesa ad oltranza. I progetti sovente falliscono perchè il costo per completarli è eccessivamente altro rispetto al beneficio apportato o perchè la filosofia (applicativa) che li ha ispirati è stata sorpassata dagli eventi.
Anche ovviamente la scarsa qualità di quello che è stato sviluppato decreta la conclusione di un progetto. Ma spesso accade quando questo è in esercizio, perchè la scarsa qualità, alla lunga, complica eccessivamente la manutenzione del risultato.

Un ruolo trasversale che disarticola e riorganizza il project management

Il PMO è quindi una figura trasversale a più progetti, che si occupa sopratutto di pianificazione, di standardizzazione e di monitoraggio. In alcuni casi ha compiti più operativi, ma ritengo sia una "contaminazione" dannosa all'esercizio delle sue funzioni "istituzionali".

In Italia il ruolo del PMO è esploso con la celebre rincorsa al Millennium Bug e poi successivamente, nel settore finanziario, alla compliance determinata dall'introduzione dell'Euro. La vastità dell'impegno ha determinato la ricerca di strumenti più adatti al controllo del processo. Come spesso accade quella pratica si è affievolita con il tempo, ma ultimamente nel segmento bancario si nota una crescita della domanda.

Le funzioni del PMO

Credo che di tutte le funzioni la più importante (quella che ne determina precipuamente l'esigenza) è il controllo e la mitigazione dei rischi, ma il ruolo più ingenerale richiede competenze miste di project management e gestione della qualità. Nella sua accezione più ampia il PMO:

-identifica e controlla gli standard progettuali adottatti da una azienda.
-supporta e controlla la formazione dei project manager
-controlla la pianificazione ed il tracking
-uniforma gli le metriche di programmazione e controllo
-gestisce il master plan
-coordina (o supporta il coordinamento) le risorse e i rischi sui vari progetti.

Detto in parole povere fa un po' le pulci a tutti gli altri, affinchè non deroghino eccessivamente dai propri compiti organizzativi a causa delle sollecitazioni quotidiane, ma naturalmente, come in ogni attività umana, ciò dovrebbe essere fatto con una dose di buon senso sufficiente a far capire quando e come applicare tutte le standardizzazioni del processo.

In realtà soggette a certificazioni le pratiche di controllo inerenti alla qualità vengono in genere svolte da uffici indipendenti, che, proprio a causa di questo ruolo di garanzia, sono spesso terzi rispetto agli altri ruoli progettuali.

nei prossimi post vorrei parlare di:
gestione dei rischi
function points e metriche
controllo di progetto

Tuesday, January 8, 2008

Una discussione in un forum su "coltivare l'eccellenza del team"(parte 4): l’eccellenza non è vista come una chiave critica di successo.

Continua dal post precedente.... (oppure vai al primo post su questo argomento)

Tornando alla discussione sul Forum di cui ho parlato in precedenza, devo ammettere che la mia provocazione intrinseca ha palesato risultati che vanno, negativamente, oltre le mie aspettative. La maggior parte delle persone che sono intervenute hanno parlato di una certa sfiducia nei confronti della capacità delle aziende italiane di “coltivare l’eccellenza”.

Non ho raccolto opinioni esplicite sulla “volontà” delle aziende di coltivare tale eccellenza e questo sembra anche significare che le risorse umane non sono un’esigenza sentita a livello aziendale; questo compito è probabilmente fortemente demandato alle capacità/attitudini dei singoli manager.

Con riscontri molto negativi sulla capacità di produrre “qualità”... E’ in questo senso che ho raccolto la maggior parte delle considerazioni. Viene osservato che “il più delle volte i “leader” coincidono con i capi gerarchici che non lasciano spazio alle dinamiche di crescita del gruppo”.

La competizione tra manager può diventare un fattore ostatitivo

Vengono citate tra le cause anche la scarsa cultura delle aziende italiane delle pratiche di team building e knowledge sharing, oppure la necessità di reciproco riconoscimento di alcuni soggetti forti in una organizzazione aziendale.

In pratica maturano delle tacite (o meno) alleanze per cui due o più “leader” si difendono reciprocamente, consapevoli che il proprio appoggio all’altro garantirà a se stesso un medesimo riconoscimento dall’altro, in un abbraccio mortale (per l’azienda e per gli altri dipendenti) che prescinde dalle reali qualità dei soggetti: “in questi contesti si mortifica la crescita professionale, si ostacola la crescita professionale e non si valutano adeguatamente le risorse... questo giochetto è un boomerang deleterio per l’azienda, che solo in alcuni casi torna al mittente”.

L’aspetto più deleterio in questi casi è la tattica di emarginazione che talvolta viene messa in campo nei confronti di quei soggetti che vengono ritenuti i competitor interni maggiormente pericolosi. Ovvero, probabilmente, quello con maggiori capacità e/o iniziativa.

La preoccupazione dei giovani.

Il tono mediamente negativo dei commenti ha fatto si che una ragazza, entrata da poco nel mondo del lavoro, esternasse una certa preoccupazione alla lettura dei vari post, aggiungendo la sua personale esperienza di persona “a cui in genere non sono state date reali chance per confrontarsi. Proporre, crescere .... “ .

Come darle torto...

Eppure vorrei essere io a fare un’osservazione positiva. In realtà non credo che la situazione sia completamente “nera” come appare. Esistono delle buone predisposizioni, e come fanno notare un po’ tutti, “nel tempo i contributi positivi e l’atteggiamento costruttivo pagano...”.

Quello che forse manca è l’ “essere strutturale” di questo impegno, demandato un po’ troppo alla capacità e voglia dei singoli manager.

Forse questo atteggiamento è determinato anche da un altro fattore positivo che contribuisce a non stimolare l’iniziativa delle aziende; nella mia esperienza lavorativa mi è capitato di incontrare moltissimi colleghi qualificati, che trovano nella consapevolezza di fare bene il proprio lavoro una motivazione interna molto forte, che ne determina la volontà di aggiornarsi in continuazione, ma anche l’attenzione (misurata in tempo dedicato e qualità dell’interazione umana) alle proprie attività. Spesso indipendentemente dai riconoscimenti economici o personali.

Ho già ripreso questa citazione di Antoine de Saint-Exupery in un precedente post, ma credo che illustri bene quello che (secondo me) dovrebbe essere lo spirito di un qualunque lavoro in cui occorra riunire le forze per ottenere un risultato:

Se vuoi costruire una nave non chiamare a raccolta gli uomini per raccogliere la legna e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio ed infinito

Monday, January 7, 2008

Una discussione in un forum su "coltivare l'eccellenza del team"(parte 3): fattori che influenzano la valutazione del contributo professionale

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Tra i fattori che occorre considerare tra i costi effettivi indotti dalla perdita di risorse di qualità ci sono il costo dell’inserimento di una nuova risorsa, in termini di produttività della stessa e dell’impegno richiesto ai colleghi per supportarla o compensare il deficit, la possibilità di introdurre personale inefficiente, la ridotta capacità di garantire la qualità del software e la generazione di nuove idee, la perdita irreversibile di know how aziendale.

Ho vissuto personalmente una situazione in cui a causa di una strategia incerta nei confronti di alcuni prodotti sviluppati da una azienda si è determinata la fuoriuscita delle persone più brillanti del team di progetto. Il deficit di conoscenza generatosi, sommato alla mancanza di una forte volontà di rilancio ha determinato la chiusura della linea di business legata a qui prodotti. Senza che fosse il mercato a decretare ciò, anzi, i competitor subentrati successivamente sul quel mercato hanno vissuto anni di crescita costante.

Quale è stato il danno patrimoniale all’azienda derivante da quell’insieme di fattori? In termini di mancati ricavi, perdita di contatti commerciali etc....

Inoltre c’è da osservare che gli altri due fattori citati (la ridotta capacità di garantire la qualità del software e la generazione di nuove idee) sono in grado di favorire l’economia di scala (replicabilità delle esperienze) e quindi di attenuare gli effetti negativi legati alle riduzione delle tariffe individuali.

Il fattore che meno di tutti viene preso in considerazione è che la scarsa motivazione influenza non solo la capacità di “ritenere” le menti più brillanti, ma diminuisce anche sensibilmente la produttività interna, in un pericoloso ciclo negativo in cui l’individuo poco motivato, o peggio osteggiato, riduce la propria capacità lavorativa e con tale atteggiamento induce a comportamenti emulativi anche gli altri individui del gruppo. Senza parlare della scarsa credibilità che il management matura nei confronti del team stesso

continua....

Friday, January 4, 2008

Una discussione in un forum su "coltivare l'eccellenza del team"(parte 2): l’approccio delle aziende italiane e la realtà internazionale

Continua dal precedente post...

A proposito dell’atteggiamento delle aziende italiane cito l’ultimo intervento nel forum di un “lean specialist” (non cito gli autori perché non ho avuto modo di contattarli per chiedere esplicita autorizzazione): “l’interesse dell’azienda ... è conservare le risorse più efficienti e a più alto potenziale di crescita... questo significherebbe offrire un ambiente stimolante, investire in formazione ed incentivare economicamente... tutti costi per l’azienda. In un mercato come quello italiano, in cui la richiesta è bassa, credete che le aziende debbano investire per potersi garantire in azienda una risorsa valida? Forse si, ma in misura ridotta rispetto ai mercati esteri”.

Ecco, questo fotografa la situazione... estremamente significativo quel “forse” con cui comincia l’ultima frase... sembra quasi un no.

La medesima affermazione contiene in realtà anche la prima conferma che ho ricavato dalla discussione e che cioè la realtà italiana sia un po’ una anomalia, nel senso che nelle multinazionali spesso l’atteggiamento è un po’ diverso, figlio probabilmente di un approccio fortissimamente orientato ai risultati, e che quindi impone anche (in qualche modo) un regime un po’ più sano di competizione.

Occorre aggiungere che all’estero l’approccio commerciale è maggiormente basato su un tessuto dedito alla costruzione di prodotti e servizi, che grazie al fattore di scala moltiplicativo, garantisce un ricavo per dipendente più alto di quello dei classici System Integrator.

La qualità del prodotto finale è qui funzione del prodotto individuale e quindi quest’ultima diventa misurabile proprio in un’ottica interna, a differenza dei System Integrator che valutano principalmente sul livello di ricettività delle risorse da parte del cliente.

Non a caso nell’ultimo anno ho potuto osservare un fenomeno di migrazione lavorativa verso l’estero, in funzione di livelli retributivi decisamente più alti che in Italia.Non reputo in assoluto questo fenomeno negativo, io stesso ho vissuto una esperienza analoga (tutta italiana) e ritengo che mi abbia arricchito, ma se, come ha detto nel suo discorso di fine anno il presidente Napolitano, l’Italia deve trovare fiducia nelle proprie capacità, un buon punto di partenza sarebbe quello di recuperare capacità attrattiva nei confronti delle proprie risorse migliori.

La situazione nel mercato IT dal 2000 in poi

Nel settore IT, a cavallo tra il 1999 ed il 2001, si è verificata una impennata del costo del lavoro legata alla penuria di esperti nelle “nuove tecnologie”, per cui un esperto java, con un anno di esperienza arrivava a guadagnare cifre che un suo collega operante su mainframe riusciva a guadagnare solo dopo diversi anni.

Da allora però è aumentata moltissimo l’offerta e la disponibilità di contratti precari, mentre l’implosione della Net-Economy e la concentrazione del mercato bancario hanno contratto ricavi ed ancor più margini per le aziende IT italiane.

Le banche hanno infatti drasticamente ridotto le tariffe cresciute moltissimo negli anni d’oro.
Il mercato italiano è inoltre abbastanza bloccato, (forse è meglio dire dire “maturo”?) nel rapporto cliente/fornitore, tant’è che una delle risposte più significative ad una survey che avevo commissionato un paio di anni fa (a 200 manager del settore bancario) è stata che gli intervistati hanno risposto di non aver cambiato fornitore nel 90% dei casi, e solo in presenza di inadempienze gravi.

continua... fattori che influenzano la valutazione del contributo professionale...

Una discussione in un forum su "coltivare l'eccellenza del team": sensazione di investimenti limitati in Italia

Un dei temi a cui dedico molta attenzione è l'osservazione della capacità da parte delle aziende di produrre qualità, quale leva competitiva del segmento IT nazionale, legata sorattutto alle nuove opportunità offerte dalla tecnologia del networking.

Strettamente connesso a questo tema è quello della valorizzazione delle risorse professionali quale principale asset produttivo di chi sviluppa tecnologia. Inutile parlare di web 2.0, banking 2.0 etc... se si non ragiona in termini di sviluppo delle capacità individuali.

Da un po’ di tempo va avanti una discussione sul’Hub “eccellenza del team” in Viadeo. Ho lanciato un post per conoscere le valutazioni personali di professionisti a riguardo della politica di valorizzazione della professionalità individuali nelle aziende italiane, in particolare riguardo al comparto IT.

Il post iniziale non esprimeva giudizi di sorta, proprio per non influenzare la discussione, anche se in cuor mio mi rendevo conto di lanciare una piccola provocazione. Prima di raccontarvi un po’ la discussione in oggetto tento di essere sintetico e di esprimere il mio pensiero, premettendo che la mia esperienza è focalizzata sulla mercato del software ed in particolare quello al servizio del mondo bancario.

Questo settore, pur rimanendo, per crescita, lontano dagli altri paesi europei (senza parlare degli emergenti dall’India alla Cina), rimane comunque un settore in discreta salute ed in particolare occorre osservare che le banche rappresentano il primo investitore italiano in IT.
Eppure, nonostante i requisiti di professionalità e investimenti necessari e presenti nel settore, la mia impressione è che le aziende italiane investano poco sui propri dipendenti, consce che i bassi costi di acquisizione di nuove risorse dall’esterno non giustifichino politiche “motivazionali” nei confronti del proprio personale.

Non contesto in termini assoluti questa strategia e non entro nel merito di considerazioni etiche sul valore del lavoro per ogni singolo individuo e dell’importanza che il lavoro stesso ha sulla sfera personale dell’individuo (anche se credo che anche in una logica del profitto un buon manager dovrebbe fare qualche riflessione sul tema), però credo che anche in una mera ottica di benefici e costi sia limitativo fare un bilancio di questo genere.

E’ indubbio inoltre che assistiamo ad un nuovo fenomeno migratorio verso l’estero, che non voglio chiamare “fuga di cervelli”, ma sicuramente perdita di personale ad alta specializzazione con un conseguente impoverimento competitivo del sistema Italia.

Cercherò in seguito di sviluppare questi temi in post successivi.

Continua... Approccio in Italia ed all'Estero...

Articoli correlati:

Il costo del mobbing
Eccellenza del Team, la visione antagonista di manager ed impiegati

Thursday, January 3, 2008

Buon Anno

Mi sono preso una breve pausa ed ora si ricomincia, naturalmente la prima cosa che mi viene in mente di fare è augurare a tutti un sereno 2008.

Scrivo su questo blog di tecnologia, di web 2.0, di banche ma anche di come vengono gestite le aziende del settore IT ed il loro approccio nei confronti del "capitale umano" perchè penso che a causa di tutto il tempo che dedichiamo al nostro lavoro è proprio la dignità del lavoro un diritto di ogni individuo.

Oggi però pensare al lavoro di altri mi fa ritenere che problemi che abbiamo nella nostra vita professionale siano poco cosa a confronto con quelli di chi, proprio a causa della propria attività lavorativa, mette la propria vita costantemente a rischio.

Perchè vive un ambito di lavoro rischioso per sua natura, o fa una professione in un mondo in cui la "professione libera delle idee" è per se stessa ragione per cui morire.

Un saluto agli operai della Thyssen e a Benazir Bhutto, ma soprattutto a tutti quelli di cui non si conoscerà mai il nome ed hanno perso la vita facendo onestamente il proprio lavoro.

Carlo