Continua dal post precedente.... (oppure vai al primo post su questo argomento)
Tornando alla discussione sul Forum di cui ho parlato in precedenza, devo ammettere che la mia provocazione intrinseca ha palesato risultati che vanno, negativamente, oltre le mie aspettative. La maggior parte delle persone che sono intervenute hanno parlato di una certa sfiducia nei confronti della capacità delle aziende italiane di “coltivare l’eccellenza”.
Non ho raccolto opinioni esplicite sulla “volontà” delle aziende di coltivare tale eccellenza e questo sembra anche significare che le risorse umane non sono un’esigenza sentita a livello aziendale; questo compito è probabilmente fortemente demandato alle capacità/attitudini dei singoli manager.
Con riscontri molto negativi sulla capacità di produrre “qualità”... E’ in questo senso che ho raccolto la maggior parte delle considerazioni. Viene osservato che “il più delle volte i “leader” coincidono con i capi gerarchici che non lasciano spazio alle dinamiche di crescita del gruppo”.
La competizione tra manager può diventare un fattore ostatitivo
Vengono citate tra le cause anche la scarsa cultura delle aziende italiane delle pratiche di team building e knowledge sharing, oppure la necessità di reciproco riconoscimento di alcuni soggetti forti in una organizzazione aziendale.
In pratica maturano delle tacite (o meno) alleanze per cui due o più “leader” si difendono reciprocamente, consapevoli che il proprio appoggio all’altro garantirà a se stesso un medesimo riconoscimento dall’altro, in un abbraccio mortale (per l’azienda e per gli altri dipendenti) che prescinde dalle reali qualità dei soggetti: “in questi contesti si mortifica la crescita professionale, si ostacola la crescita professionale e non si valutano adeguatamente le risorse... questo giochetto è un boomerang deleterio per l’azienda, che solo in alcuni casi torna al mittente”.
L’aspetto più deleterio in questi casi è la tattica di emarginazione che talvolta viene messa in campo nei confronti di quei soggetti che vengono ritenuti i competitor interni maggiormente pericolosi. Ovvero, probabilmente, quello con maggiori capacità e/o iniziativa.
La preoccupazione dei giovani.
Il tono mediamente negativo dei commenti ha fatto si che una ragazza, entrata da poco nel mondo del lavoro, esternasse una certa preoccupazione alla lettura dei vari post, aggiungendo la sua personale esperienza di persona “a cui in genere non sono state date reali chance per confrontarsi. Proporre, crescere .... “ .
Come darle torto...
Eppure vorrei essere io a fare un’osservazione positiva. In realtà non credo che la situazione sia completamente “nera” come appare. Esistono delle buone predisposizioni, e come fanno notare un po’ tutti, “nel tempo i contributi positivi e l’atteggiamento costruttivo pagano...”.
Quello che forse manca è l’ “essere strutturale” di questo impegno, demandato un po’ troppo alla capacità e voglia dei singoli manager.
Forse questo atteggiamento è determinato anche da un altro fattore positivo che contribuisce a non stimolare l’iniziativa delle aziende; nella mia esperienza lavorativa mi è capitato di incontrare moltissimi colleghi qualificati, che trovano nella consapevolezza di fare bene il proprio lavoro una motivazione interna molto forte, che ne determina la volontà di aggiornarsi in continuazione, ma anche l’attenzione (misurata in tempo dedicato e qualità dell’interazione umana) alle proprie attività. Spesso indipendentemente dai riconoscimenti economici o personali.
Ho già ripreso questa citazione di Antoine de Saint-Exupery in un precedente post, ma credo che illustri bene quello che (secondo me) dovrebbe essere lo spirito di un qualunque lavoro in cui occorra riunire le forze per ottenere un risultato:
“Se vuoi costruire una nave non chiamare a raccolta gli uomini per raccogliere la legna e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio ed infinito”
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