Questo post non è strettamente correlato al web 2.0 ma ho affrontato spesso tematiche inerenti alla qualificazione e alla motivazione del personale, come all'uscita del ormai famoso "manuale antistronzi". Oggi un articolo del Corriere mi ha dato lo spunto per parlare dell’altro capo estremo del problema: il mobbing.
L’articolo cita proprio il caso di una manager di una azienda IT molto grande, con sede a Milano, che da 5 anni viene emarginata dal lavoro. Il problema vero è rintracciabile nella dichiarazione della stessa donna “Non sono nelle condizioni di potermi licenziare e non ho assolutamente intenzione di accettare il riconoscimento di 25.000 mila euro che mi ha proposto l'azienda per un licenziamento concordato. Dal 2002 quando è iniziato il mio calvario ad oggi mi è successo di tutto”.
Non conosciamo le cause di questa scelta dell’azienda (ma poi chi è “l’azienda”? l’azienda è fatta da persone e spesso queste scelte maturano dalla volontà di una o due di loro), come in ogni caso potrebbero risiedere nell’incapacità dell’uno o dell’altro di dialogare, o in una reciproca responsabilità.
Ma il punto centrale della questione , secondo me, è che il “capo” a dover essere più bravo a risolvere la situazione. In genere, è ovvio, è meglio pagato ed è messo in un posto di responsabilità per gestire i problemi, quindi tocca a lui capire le leve operative, ma anche psicologiche, che deve muovere per ottenere il risultato. Non deve approfittare della sua posizione di forza, ma deve usarla per trovare il bandolo della matassa.
Se un team o singole persone non funzionano la responsabilità è sempre del manager e questa non è una frase fatta. Certo i risultati possono non essere uguali con tutti, ma l’abilità di un manager è quella di capire qual è il limite cui ciascuno si può spingere, e raggiungerlo, con realismo.
Al netto delle considerazioni morali, prendiamo ad esempio il caso citato dal Corriere. Si impone una premessa: la mia solidarietà va "istintivamente" alla signora citata, perché purtroppo ho visto direttamente tanti casi del genere e quindi so che il suo racconto è verosimile, ma non conosco i dettagli della situazione e tanto meno l’altra versione, quindi mi astengo dal giudizio.
Diciamo che la userò come situazione prototipo.
A partire da un dato momento si innesca probabilmente un rapporto di sfiducia tra questa manager ed il suo capo, lui vuole mandarla via, probabilmente la demansiona per “ammorbidirla” e poi le prospetta un percorso di uscita addolcito da 25.000 euro. Lei rifiuta e lui la punisce ulteriormente. Perché non le offre di più? Il budget dell’azienda non lo consente o forse il problema è personale, tra il capo e la donna, lui quindi non può, e non vuole, giustificare un costo che oggettivamente sarebbe imputabile solo ad un sentimento di antipatia dell’uomo. Credetemi è un caso frequentissimo.
Facciamo un’ipotesi e vediamo il risultato, lei guadagna 50.000 eur lordi anno, per 5 anni l’azienda spende almeno 375.000 eur l’anno, comprensivi degli altri oneri e senza considerare i costi aziendali. E’ un costo che l’azienda sostiene ma che non sarà imputabile alla volontà del manager quanto quello, esplicito, di un incentivo all’uscita.
Lei poi però dopo un po’ fa causa all’azienda e rischia di vedersi riconosciuti parecchi soldini... quanto è costata ai soci la mancata volontà di risolvere il problema?
Il suo caso, inoltre avrà poi probabilmente influito anche sugli altri colleghi ed il costo sale, perché qualcuno in gamba avrà pensato di andarsene o rimanendo non avrà lavorato come prima, questo costituisce un altro costo (...ma nessuno può vederlo...).
Arriviamo poi all’ultima ipotesi. E’ un caso vi assicuro frequente: la signora era, per esempio, un commerciale molto in gamba ed il suo capo ha avuto paura di non essere all’altezza, per evitarsi una concorrente ha cominciato a ostacolarla e a parlarne male con i soci o con l’Amministratore Delegato, ha approfittato di qualche errore per metterla in cattiva luce.
Il risultato, negativo, da aggiungere, sono i contratti non più chiusi dalla signora nei cinque anni, per importi, nel nostro settore, certamente calcolabili in N volte il suo stipendio. A quanto arriva il conto relativo alle cattive scelte del Manager???
Ora cominciamo ad usare come unità di misura i milioni di euro... (ma naturalmente anche questo costo non sarà visibile ai soci).
Credo che in questi casi bisognerebbe quindi essere freddi e se siete un capo e un vostro manager "mobbizza" qualcuno per licenziarlo... fatevi due conti e dategli una scrollata.
Non vorrei esser sembrato insensibile, avendo parlato solo di danno economico, io credo che la gestione di una azienda deve rispondere a principi etici, ma il mio obiettivo era quello di confutare la tesi che certe scelte vengono prese perchè una azienda deve essere gestita con criteri manageriali. Il mobbing non è uno di questi criteri innanzitutto.
Il vero costo, secondo me, è quello pagato solo dal dipendente, quello che mina la sua salute e la sua famiglia. A coloro che vogliono risolvere le loro grane con il mobbing dico che, davanti a voi, prima di tutto, c’è una persona, mettetevi nei suoi panni e capite prima quali sono le conseguenze delle vostre azioni. Un uomo passa la maggior parte delle suo ore al lavoro, la maggior parte della sua vita al lavoro e le conseguenze nel bene e nel male se le porta a casa.
E’ un diritto di ognuno vivere un ambito lavorativo dignitoso, anche se non si è in gambissima e sempre d’accordo con i colleghi. Il mobbing è un danno al patromonio etico, intangibile, di una azienda.
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