Questo post è dedicato alla seconda parte dell'intervista a Mauro Fantechi, ma vorrei fare una piccola ulteriore premessa in relazione ad un mini dibattito scaturito proprio dal precedente post, off-line, ovvero via mail con alcune persone intervenute.
Manager o imprenditore? Qual'è il punto di vista? Mauro è un imprenditore ed è, ed è stato, manager. La qualità e l'intensità delle motivazioni può essere diversa, ma in ogni caso credo che un imprenditore è manager, per definizione, ma anche un manager deve affrontare il proprio lavoro con piglio imprenditoriale. Quindi poche differenze tra i due punti di vista.
Un manager può essere amico dei suoi collaboratori? Marchionne dice che è solo nel momento delle scelte. Il compito degli amici dovrebbe essere proprio quello di non farti sentire solo.
Lavoro con professionisti e impiegati e fino a che mi sono mosso in mie iniziative e in dimensioni piccole, non credo che per loro ci sia stato un prezzo da pagare anzi. Muovendomi poi in contesti più grandi la cosa è cambiata un po’ e mi sono chiesto “perché”, molto spesso.
Partiamo da questo esempio , abbandonate le dimensioni piccole non ho mai avuto motivo di fare una 48 ore di full immersion sul lavoro, situazione che ricordo di avere affrontato con gioia trascinando i collaboratori e rimpinzandoli di pizza e dolci....
Perchè? è calato il lavoro? Tutto funziona bene e non serve?
Penso che siano cambiate due cose, la presenza di strutture gerarchiche poco inclini al “modello team” e l'effetto avuto su di me da queste strutture, che mi hanno reso meno attivo, non avevo più la voglia di capire sino al minimo dettaglio, di supportare ogni collaboratore in qualsiasi situazione. Quindi chi lavora oggi con me , fatica più di prima, è meno supportato nei suoi problemi sul lavoro, insomma succede che meno pago io e più pagano gli altri, situazione perversa.
Uhmm!! Una struttura riesce ad influenzare così i nostri comportamenti personali? Quali sono questi meccanismi perversi che ti cambiano? Un problema intrinseco alle strutture o determinato dalle persone che la compongono?
Già… non si direbbe… non lo vorresti, ma alle volte accade. I meccanismi sono semplicissimi, ritieni che sia utile adattarsi e piano piano eccedi, magari cerchi di compiacere tutti, medi troppo e anche vorresti fare bella figura….micidiale, se pur ingenua, poltiglia.
Le strutture sono una rappresentazione delle persone che le compongono, se cerchi una struttura adatta a tutti hai perso in partenza… occorre una “sana” dittatura.
Non te la prendere, ma fino ad ora non mi sembra che hai pagato un gran prezzo, conosco molte persone che senza essere ne manager, ne imprenditori, dedicano molto tempo e risorse al lavoro... e senza le soddisfazioni economiche, ne di riconoscimento del proprio ego.
Io ho scoperto che pagavo altri balzelli quasi senza accorgermene: la famiglia si è dovuta adattare alla mia vita lavorativa, i figli...pensavo fosse meglio evitarli, i rapporti rarefatti con i miei genitori, le amicizie difficili da coltivare. E tutto questo lo scopri sempre dopo, quando qualcosa ti rende evidente che non puoi più riparare. Vale quanto detto prima, EGO e successo ti soddisfano molto, ritieni più utile fare tardi al lavoro che non uscire per vedere un film o ascoltare della musica.
Sei sicuro che non si può più riparare? Io credo che sia solo il coraggio di rimettersi in gioco, cambiando tutti gli schemi precedenti. Mettendo un po’ da parte L’EGO. Ho imparato che le persone sono, in genere, molto più comprensive di quanto crediamo.
Al solito penso ad aspetti personali e ti rispondo…
Gli anni che passano, le vicissitudini personali, salute, affetti.. le persone che piano piano non vedrai più, è la vita che ti aiuta a cambiare, non cancella il tuo EGO, ma ti consente di vederlo nella giusta misura.
Le persone sono più comprensive di quanto crediamo… può essere.
Ma sicuramente (credo!) lo diverrano nel tempo, vivere è una grande e continua lezione, comprende anche il lavoro, ma non è assolutamente solo il lavoro. Nel momento in cui riesci ad osservare e riflettere su tutto quello che ti circonda cambi e cambia il tuo atteggiamento.
Dalle tue parole emerge che il “mestiere del capo” impone dei sacrifici nella gestione della propria vita e soprattutto nei rapporti con le altre persone. Questo significa allora che la gestione di amici e la gestione di collaboratori sono due piani paralleli? E' una questione sottile ma importante. Si può "saper gestire persone" in un ambito lavorativo ed al contrario "non sapere gestire i propri rapporti affettivi"... Allargando ulteriormente il concetto, la capacità di gestire la vita lavorativa prescinde dalla capacità di saper gestire la propria vita?
Ogni miglioramento della mia vita (non necessariamente economico) è stato frutto di momenti di equilibrio dei vari aspetti che mi circondavano, credo che comprendersi, conoscersi, imparare a riconoscere quando si sta sbagliando ed essere capaci di comprendere e comunicare chiaramente cosa ci si aspetta da gli altri, sia la base per qualsiasi tipo di rapporto.
I rapporti tra persone sono comunque complessi e oggi dico affascinanti…dico oggi perché è il tempo che ti aiuta a comprendere queste verità. Se sai costuire buoni rapporti, lo saprai fare sempre… …altrimenti…
Alla luce di quello che sei riuscito ad ottenere e di quello che hai dovuto lasciare per strada pensi ancora che ne valesse veramente la pena? O cambieresti qualcosa?
Per fortuna posso dire che rifarei tutto, ma vorrei rifarlo meglio…affermazione ovvia… Mi sento banale, ma vorrei avere la possibilità di rifare pensando di più, ascoltando di più e facendo più uso della testa, anziché farmi subissare da informazioni. Non puoi passare tutto il tempo a cercare di informarti per decidere… Devi decidere ed in tempi rapidi; infine vorrei essere stato molto più bravo a darmi le giuste priorità, troppe volte si focalizzano le cose semplici e brevi, per poi fare con "calma e tranquillità" quelle importanti.
Non funziona , non raggiungi mai la calma e tranquillità che desideri, quindi inverti l’ordine.
p.s. Mauro Fantechi è interessato a continuare ed ampliare la discussione sul prezzo che si paga, sotto il profilo personale, nel realizzare i propri obiettivi professionali. Chi desidera può contattarlo anche direttamente: mauro.fantechi@par-tec.it
Tuesday, April 29, 2008
Wednesday, April 23, 2008
Il prezzo del comando e la solitudine del manager: intervista a Mauro Fantechi, Ceo di Par-Tec
Mauro Fantechi è Ceo di Par-Tec, gruppo che si occupa di tecnologie nel mondo della Finanza e Telco.Nella sua storia personale ci alcuni successi sul mercato internazionale con Unirel Sistemi e la suite di prodotti Felis Cluster acquisita da Stonesoft, leader finlandese del mercato security e load balancing , e Lightstreamer, lo streaming Ajax con clienti in tutto il mondo e partnership prestigiose come quella con TIBco.
Il tema di questa intervista è quanto meno “particolare” e quindi rubo un po’ di spazio per una premessa da condividere con chi legge la tua intervista. Mi corre l’obbligo di dire che Mauro Fantechi è stato un mio diretto superiore, ma spero che il buon rapporto personale non mi abbia impedito realizzare un’intervista anche critica. In realtà non si tratta di una vera e propria intervista quanto il compendio di alcune discussioni, sul tema del management, fatte a colpi di e-mail e messanger.
Il titolo si ispira ad un celebre romanzo di Montalban, "La solitudine del manager" appunto, la storia di un manager che avendo scoperto le malefatte della multinazionale in cui lavora non rimane passivo, ma alla fine, isolato, viene ucciso. Niente a vedere con il caso di Mauro, ma introduce il tema che desidero sviluppare: il “prezzo” del comando. L’idea era nata leggendo un'intervista di Marchionne in che diceva che, al di la del lavoro in team, il manager è solo quando deve affrontare delle decisioni.
Antonio Juamà, il protagonista del libro, alla fine viene ucciso. Tralasciando l'esito specifico e le cause raccontate da Montalban, esiste un "prezzo" che un manager deve pagare?
Non voglio farti un'intervista facile... e quindi ti ricordo che in genere se si pensa ad un prezzo si pensa a quello pagato soprattutto da operai ed impiegati
Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" nel senso classico della parola, sicuramente da sempre sono almeno stato "manager" di me stesso.
Il prezzo.... in prima battuta mi viene in mente il mio, quello pratico: non vacanze, non tempo libero, non hobbies.. ma questo ci stà...mi è piaciuto troppo il mio lavoro, e poi non dimentichiamo che noi imprenditori/manager non siamo ne fini artigiani ne dogmatici artisti, lo si fà per soldi e per EGO (te lo assicuro) e quando ci prende qualcosa non riusciamo a fermarci.....perchè? semplice per essere i primi a dire io l'ho fatto... anche se non ci guadagni un tubo.
Particolare questa risposta, siamo abituati a pensare che la logica che muove un imprenditore sia quella ferrea del mercato, si fa solo quello che fa guadagnare.
Non so se io, con le mie azioni, sono una interpretazione letterale della parola “imprenditore”, e comunque quando ho iniziato ilo mio percorso forse non sapevo bene neanche quale fosse la definizione. Ma per quanto mi riguarda , e conosco molti miei conterranei che come me si sono mossi, riaffermo che si fa non solo per soldi ma anche per fama e riconoscimento, e aggiungo per il desiderio che tutti sappiano che lo si è fatto bene e con ragionevole rispetto degli altri. Management illuminato? No, voglia di successo e ortogonale , di cose tangibili , soldi, e cose meno tangibili ma altrettanto percepibili.
Quando parli di conterranei è perché pensi che quel che abbiamo detto sia più vero per i toscani?
.. Toscani.... potrebbe essere, ma non abbiamo l’esclusiva.
Però tornando al concetto precedente, la “solitudine” del manager ed il prezzo che paga, potrebbe far sorridere i precari o coloro che devono arrivare a fine mese con 1.300 euro. Nell’immaginario collettivo inoltre il manager che sbaglia spesso si ricolloca altrove e non paga alcun prezzo per avere lasciato a casa un po’ di lavoratori. La percezione del “costo” personale è molto diversa.
La domanda non fa una piega, ma riparto dalla mia frase .Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" . Oltre a questa affermazione vorrei aggiungere due punti , il primo è che le dimensioni di lavoro in cui mi muovo non sono grandi (al massimo circa 150 persone) e secondo, pur con tutta la modestia, vorrei dire di sentirmi anche o forse più “imprenditore” .
Da un lato la dimensione piccola mi ha sempre posto in contatto con tutti e dall’altro, essere anche padrone, con tutte le fasi economiche personali positive e negative, mi hanno sempre fatto riflettere molto , portandomi a combinare azioni manageriali con azioni personali a salvaguardia o in aiuto di persone.
Non mi sento inqadrabile nella definizione di manager secondo l’immaginario collettivo che citi, non mi sento asettico decisore.
Un’altra obiezione e poi che il prezzo che decide di pagare un manager dipende dalle proprie scelta. Diversa mente chi ha poche opportunità di emergere può solo pagare il proprio prezzo (un salario basso) senza poter scegliere.
Vero, quanto dedicarmi al lavoro è stata una mia scelta, ma quanto gestire al meglio situazioni che coinvolgevano persone è stata una imposizione della mia coscienza.
Ho avuto opportunità di scegliere il prezzo da pagare , ma ho trovato anche pesanti fardelli da cui non potevo sottrarmi. Essere impenditore e che come dici tu “manager” mi ha dato opportunità e rischi in prima persona.
( la seconda parte dell'intervista....)
p.s. Mauro Fantechi è interessato a continuare ed ampliare la discussione sul prezzo che si paga, sotto il profilo personale, nel realizzare i propri obiettivi professionali. Chi desidera può contattarlo anche direttamente: mauro.fantechi@par-tec.it
Il tema di questa intervista è quanto meno “particolare” e quindi rubo un po’ di spazio per una premessa da condividere con chi legge la tua intervista. Mi corre l’obbligo di dire che Mauro Fantechi è stato un mio diretto superiore, ma spero che il buon rapporto personale non mi abbia impedito realizzare un’intervista anche critica. In realtà non si tratta di una vera e propria intervista quanto il compendio di alcune discussioni, sul tema del management, fatte a colpi di e-mail e messanger.
Il titolo si ispira ad un celebre romanzo di Montalban, "La solitudine del manager" appunto, la storia di un manager che avendo scoperto le malefatte della multinazionale in cui lavora non rimane passivo, ma alla fine, isolato, viene ucciso. Niente a vedere con il caso di Mauro, ma introduce il tema che desidero sviluppare: il “prezzo” del comando. L’idea era nata leggendo un'intervista di Marchionne in che diceva che, al di la del lavoro in team, il manager è solo quando deve affrontare delle decisioni.
Antonio Juamà, il protagonista del libro, alla fine viene ucciso. Tralasciando l'esito specifico e le cause raccontate da Montalban, esiste un "prezzo" che un manager deve pagare?
Non voglio farti un'intervista facile... e quindi ti ricordo che in genere se si pensa ad un prezzo si pensa a quello pagato soprattutto da operai ed impiegati
Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" nel senso classico della parola, sicuramente da sempre sono almeno stato "manager" di me stesso.
Il prezzo.... in prima battuta mi viene in mente il mio, quello pratico: non vacanze, non tempo libero, non hobbies.. ma questo ci stà...mi è piaciuto troppo il mio lavoro, e poi non dimentichiamo che noi imprenditori/manager non siamo ne fini artigiani ne dogmatici artisti, lo si fà per soldi e per EGO (te lo assicuro) e quando ci prende qualcosa non riusciamo a fermarci.....perchè? semplice per essere i primi a dire io l'ho fatto... anche se non ci guadagni un tubo.
Particolare questa risposta, siamo abituati a pensare che la logica che muove un imprenditore sia quella ferrea del mercato, si fa solo quello che fa guadagnare.
Non so se io, con le mie azioni, sono una interpretazione letterale della parola “imprenditore”, e comunque quando ho iniziato ilo mio percorso forse non sapevo bene neanche quale fosse la definizione. Ma per quanto mi riguarda , e conosco molti miei conterranei che come me si sono mossi, riaffermo che si fa non solo per soldi ma anche per fama e riconoscimento, e aggiungo per il desiderio che tutti sappiano che lo si è fatto bene e con ragionevole rispetto degli altri. Management illuminato? No, voglia di successo e ortogonale , di cose tangibili , soldi, e cose meno tangibili ma altrettanto percepibili.
Quando parli di conterranei è perché pensi che quel che abbiamo detto sia più vero per i toscani?
.. Toscani.... potrebbe essere, ma non abbiamo l’esclusiva.
Però tornando al concetto precedente, la “solitudine” del manager ed il prezzo che paga, potrebbe far sorridere i precari o coloro che devono arrivare a fine mese con 1.300 euro. Nell’immaginario collettivo inoltre il manager che sbaglia spesso si ricolloca altrove e non paga alcun prezzo per avere lasciato a casa un po’ di lavoratori. La percezione del “costo” personale è molto diversa.
La domanda non fa una piega, ma riparto dalla mia frase .Non so bene da quando io sia diventato o considerato un "manager" . Oltre a questa affermazione vorrei aggiungere due punti , il primo è che le dimensioni di lavoro in cui mi muovo non sono grandi (al massimo circa 150 persone) e secondo, pur con tutta la modestia, vorrei dire di sentirmi anche o forse più “imprenditore” .
Da un lato la dimensione piccola mi ha sempre posto in contatto con tutti e dall’altro, essere anche padrone, con tutte le fasi economiche personali positive e negative, mi hanno sempre fatto riflettere molto , portandomi a combinare azioni manageriali con azioni personali a salvaguardia o in aiuto di persone.
Non mi sento inqadrabile nella definizione di manager secondo l’immaginario collettivo che citi, non mi sento asettico decisore.
Un’altra obiezione e poi che il prezzo che decide di pagare un manager dipende dalle proprie scelta. Diversa mente chi ha poche opportunità di emergere può solo pagare il proprio prezzo (un salario basso) senza poter scegliere.
Vero, quanto dedicarmi al lavoro è stata una mia scelta, ma quanto gestire al meglio situazioni che coinvolgevano persone è stata una imposizione della mia coscienza.
Ho avuto opportunità di scegliere il prezzo da pagare , ma ho trovato anche pesanti fardelli da cui non potevo sottrarmi. Essere impenditore e che come dici tu “manager” mi ha dato opportunità e rischi in prima persona.
( la seconda parte dell'intervista....)
p.s. Mauro Fantechi è interessato a continuare ed ampliare la discussione sul prezzo che si paga, sotto il profilo personale, nel realizzare i propri obiettivi professionali. Chi desidera può contattarlo anche direttamente: mauro.fantechi@par-tec.it
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Monday, April 21, 2008
La libertà di accesso all'informazione ed alle relazioni per i dipendenti giova all'azienda:dati della Online Publishers Association
Osservando i modelli di collaborazione, adottabili all'interno di un contesto aziendale, abbiamo potuto verificare una sorta di flusso di ritorno che, partito proprio dal mondo aziendale, vi ha poi fatto ritorno grazie all'affermazione dei social network pubblici.
In fatti sono state proprio alcune grandi aziende ad utilizzare un modello di relazioni aperto, che ha rappresentato di fatto i primi social network non digitali. Negli ultimi anni questa teoria ha determinato il successo di questo fenomeno, legato questa volta all'uso spinto del web, quale media di comunicazione, ed è proprio questo successo a rendere evidente ai più che questo modello può essere replicato utilmente all'interno di strutture produttive.
L'applicazione di questi processi e metodologie passa però per l'accettazione di una nuova forma mentis aziendale, in cui si verifica una cessione di iniziativa e autonomia a favore della comunità dei dipendenti. Come si può osservare una trasformazione a 360 gradi di quello che è usualmente l'approccio alla disponibilità delle informazioni, soprattutto in grandi contesti.
La tendenza che ha prevalso fino ad ora è infatti quella di un forte controllo, tant'è che fino a pochissimi anni fa la disponibilità di accesso al web, per i dipendenti, era soggetta ad enormi limitazioni e in moltissimi casi era addirittura inibita. Questa mentalità era frutto della valutazione che Internet costituiva sopratutto una “distrazione” per il dipendente e che gli effetti di tale perdita di tempo non erano controllabili per dipendenti che per il loro lavoro utilizzavano un PC. Difficile distinguere se in dipendente sta lavorando o meno.
Il messaggio affermato con forza dal successo dei social network è che la capacità contributiva del singolo aumenta in funzione degli strumenti di apprendimento che gli sono messi a disposizione e della libertà che il singola ha di scegliere quello più appropriato. Ma il concetto più importante è che di questa capacità ne beneficia proprio la comunità più che il singolo.
Intervengono infatti motivazioni tali da rendere più interessante l'acquisizione della competenza e la ridistribuzione di essa in un contesto amichevole, rendendo in percentuale molto più profittevole il lavoro di ogni dipendente. Occorre osservare che il posto di lavoro diventa il luogo ideale per l'apprendimento, grazie all'adeguata disponibilità di strumenti tecnologici, e quindi tale possibilità va favorita e non contrastata.
Uno studio della Online Publishers Association (www.opa-europe.org) indica come il consumo informativo sia l’aspetto più importante della disponibilità di connettività web. Da una inchiesta condotta su coloro che utilizzano il web per motivi lavorativi sono emersi delle caratteristiche molto precise
1- internet accresce la produttività
2- le ragioni dell’accesso sono soprattutto di acquisizione di informazione
3- la conseguenza è la riduzione dell’uso di media tradizionali
In fatti sono state proprio alcune grandi aziende ad utilizzare un modello di relazioni aperto, che ha rappresentato di fatto i primi social network non digitali. Negli ultimi anni questa teoria ha determinato il successo di questo fenomeno, legato questa volta all'uso spinto del web, quale media di comunicazione, ed è proprio questo successo a rendere evidente ai più che questo modello può essere replicato utilmente all'interno di strutture produttive.
L'applicazione di questi processi e metodologie passa però per l'accettazione di una nuova forma mentis aziendale, in cui si verifica una cessione di iniziativa e autonomia a favore della comunità dei dipendenti. Come si può osservare una trasformazione a 360 gradi di quello che è usualmente l'approccio alla disponibilità delle informazioni, soprattutto in grandi contesti.
La tendenza che ha prevalso fino ad ora è infatti quella di un forte controllo, tant'è che fino a pochissimi anni fa la disponibilità di accesso al web, per i dipendenti, era soggetta ad enormi limitazioni e in moltissimi casi era addirittura inibita. Questa mentalità era frutto della valutazione che Internet costituiva sopratutto una “distrazione” per il dipendente e che gli effetti di tale perdita di tempo non erano controllabili per dipendenti che per il loro lavoro utilizzavano un PC. Difficile distinguere se in dipendente sta lavorando o meno.
Il messaggio affermato con forza dal successo dei social network è che la capacità contributiva del singolo aumenta in funzione degli strumenti di apprendimento che gli sono messi a disposizione e della libertà che il singola ha di scegliere quello più appropriato. Ma il concetto più importante è che di questa capacità ne beneficia proprio la comunità più che il singolo.
Intervengono infatti motivazioni tali da rendere più interessante l'acquisizione della competenza e la ridistribuzione di essa in un contesto amichevole, rendendo in percentuale molto più profittevole il lavoro di ogni dipendente. Occorre osservare che il posto di lavoro diventa il luogo ideale per l'apprendimento, grazie all'adeguata disponibilità di strumenti tecnologici, e quindi tale possibilità va favorita e non contrastata.
Uno studio della Online Publishers Association (www.opa-europe.org) indica come il consumo informativo sia l’aspetto più importante della disponibilità di connettività web. Da una inchiesta condotta su coloro che utilizzano il web per motivi lavorativi sono emersi delle caratteristiche molto precise
1- internet accresce la produttività
2- le ragioni dell’accesso sono soprattutto di acquisizione di informazione
3- la conseguenza è la riduzione dell’uso di media tradizionali
Friday, April 18, 2008
Il manager solitario
Ho gia affrontato in passato il problema della "presunta solitudine" del manager e proprio in queste settimana ho avviato una scambio di email con Mauro Fantechi, Ceo di Par-Tec, proprio su questi temi.
Il quadro che ne emerge rappresenta l'altra faccia della medaglia rispetto a quello che generalmente viene percepito dai più, ovvero che anche il mestiere del manager comporta costi personali, che dobbiamo mettere in conto. L'immagine vincente di un manager di successo nasconde anche rinunce personali, che pesano sugli equilibri individuali.
Ovviamente è sempre ingeneroso parlare di un "costo" per i manager, in rapporto a chi, qui in Italia, ha visto ridurre progressivamente il proprio potere d'acquisto. Operai ed Impiegati hanno realmente pagato negli ultimi anni un costo misurabile in rinunce e sacrifici.
Però è l'occasione per soffermarsi a riflettere anche sui risvolti personali, che alcune attività implicano, e provare a capire le motivazioni di tutto ciò, e se questo prezzo, è un prezzo che in molti comunque pagherebbero.
Occorre aggiungere che la differenza fondamentale che esiste tra le due tipologie di "costo del lavoro" è nella possibilità di scelta che il manager/imprenditore ha a disposizione nel decidere se accettare l'onere derivante dal proprio impegno. Scelta ovviamente preclusa a chi, per mancanza di possibilità ed opportunità, non può scegliere di fare un mestiere diverso da quello che ha.
Mentre queste riflessioni viaggiavano asincrone sui nostri server di posta (spero di farne un compendio sintetico da pubblicare la prossima settimana), mi è arrivata una mail pubblicitaria dal titolo proprio: "la solitudine del manager".
Il servizio promosso è quello di temporary manager da affiancare all'imprenditore, e al netto dell'enfasi "markettara", che rappresentava l'imprenditore come un uomo solo, il concetto che si può astrarre è la differente percezione della realtà aziendale tra manager e dipendenti.
Spesso le persone si trovano a considerare gli effetti di scelte che non riescono a comprendere, questo determina una sfiducia nell'operato dei manager che dirigono l'azienda in cui si lavora, testimoniando, quanto meno, la scarsa capacità di leadership di questi manager.
La visione del mondo rappresentato, nella mail che vi ho citato, è fondamentalmente opposta e si legge che il lavoro del manager fa si che "molti imprenditori si lamentano di non essere compresi e poco aiutati dai propri collaboratori. O meglio, dicono di essere circondati da uno staff che non è propositivo, uno staff che non consiglia anzi, attende di essere consigliatoo".
A questo punto l'estensore della mail si pone una domanda:
"Perché questo scollamento tra imprenditore e collaboratori oggi è molto più sentito che negli anni passati? Perché avviene? "
La risposta viene individuata in quello che sembra essere diventato il male dell'ultimo decennio: "La 'solitudine' oggi è più sentita che negli anni passati perché l’impresa adesso vive cambiamenti di mercato improvvisi, dovuti alla globalizzazione dei mercati. L’impresa ha quindi necessità di agire, scegliere e decidere in tempi sempre più brevi, ma soprattutto di avere all’interno più competenze eterogenee. Oggi i mercati sono molto più complessi e caotici di 5/10 anni fa."
Il testo continua addossando almeno un po' di responsabilità all'imprenditore perchè "molto probabilmente accentrare senza delegare in passato, ha portato oggi l’imprenditore a sentirsi solo".
Dov'è quindi la verità? I collaboratori non sono all'altezza e non sono motivati, o non sono motivati perchè il manager non è stato al'altezza?
Certamente la risposta non è unica per tutte le aziende e per tutte le persone, ma ognuno avrà sicuramente la propria risposta.
Il quadro che ne emerge rappresenta l'altra faccia della medaglia rispetto a quello che generalmente viene percepito dai più, ovvero che anche il mestiere del manager comporta costi personali, che dobbiamo mettere in conto. L'immagine vincente di un manager di successo nasconde anche rinunce personali, che pesano sugli equilibri individuali.
Ovviamente è sempre ingeneroso parlare di un "costo" per i manager, in rapporto a chi, qui in Italia, ha visto ridurre progressivamente il proprio potere d'acquisto. Operai ed Impiegati hanno realmente pagato negli ultimi anni un costo misurabile in rinunce e sacrifici.
Però è l'occasione per soffermarsi a riflettere anche sui risvolti personali, che alcune attività implicano, e provare a capire le motivazioni di tutto ciò, e se questo prezzo, è un prezzo che in molti comunque pagherebbero.
Occorre aggiungere che la differenza fondamentale che esiste tra le due tipologie di "costo del lavoro" è nella possibilità di scelta che il manager/imprenditore ha a disposizione nel decidere se accettare l'onere derivante dal proprio impegno. Scelta ovviamente preclusa a chi, per mancanza di possibilità ed opportunità, non può scegliere di fare un mestiere diverso da quello che ha.
Mentre queste riflessioni viaggiavano asincrone sui nostri server di posta (spero di farne un compendio sintetico da pubblicare la prossima settimana), mi è arrivata una mail pubblicitaria dal titolo proprio: "la solitudine del manager".
Il servizio promosso è quello di temporary manager da affiancare all'imprenditore, e al netto dell'enfasi "markettara", che rappresentava l'imprenditore come un uomo solo, il concetto che si può astrarre è la differente percezione della realtà aziendale tra manager e dipendenti.
Spesso le persone si trovano a considerare gli effetti di scelte che non riescono a comprendere, questo determina una sfiducia nell'operato dei manager che dirigono l'azienda in cui si lavora, testimoniando, quanto meno, la scarsa capacità di leadership di questi manager.
La visione del mondo rappresentato, nella mail che vi ho citato, è fondamentalmente opposta e si legge che il lavoro del manager fa si che "molti imprenditori si lamentano di non essere compresi e poco aiutati dai propri collaboratori. O meglio, dicono di essere circondati da uno staff che non è propositivo, uno staff che non consiglia anzi, attende di essere consigliatoo".
A questo punto l'estensore della mail si pone una domanda:
"Perché questo scollamento tra imprenditore e collaboratori oggi è molto più sentito che negli anni passati? Perché avviene? "
La risposta viene individuata in quello che sembra essere diventato il male dell'ultimo decennio: "La 'solitudine' oggi è più sentita che negli anni passati perché l’impresa adesso vive cambiamenti di mercato improvvisi, dovuti alla globalizzazione dei mercati. L’impresa ha quindi necessità di agire, scegliere e decidere in tempi sempre più brevi, ma soprattutto di avere all’interno più competenze eterogenee. Oggi i mercati sono molto più complessi e caotici di 5/10 anni fa."
Il testo continua addossando almeno un po' di responsabilità all'imprenditore perchè "molto probabilmente accentrare senza delegare in passato, ha portato oggi l’imprenditore a sentirsi solo".
Dov'è quindi la verità? I collaboratori non sono all'altezza e non sono motivati, o non sono motivati perchè il manager non è stato al'altezza?
Certamente la risposta non è unica per tutte le aziende e per tutte le persone, ma ognuno avrà sicuramente la propria risposta.
Thursday, April 17, 2008
Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte XII) Progettare la Comunità di Pratica
Vai all'indice dei paragrafi....
Fino ad ora uno dei concetti che ha trovato maggiore riscontro nelle grandi organizzazioni in generale, e nelle banche in particolare, è quello delle centralizzazione del controllo dell’informazione, anche interna.
Un’applicazione rigida di questo concetto confligge ovviamente con un metodo di lavoro alternativo che punta al coinvolgimento degli individui. Questo coinvolgimento non può essere stimolato se contemporaneamente l’individuo percepisce un’idea di “controllo” eccessivo.
Si tratta quindi, per il management, di fare un salto di qualità nei rapporti interni e di rimettere in gioco scelte consolidate, ma mio avviso, le potenzialità di crescita determinate da questo approccio sono enormi. Sono enormi sopratutto in relazione alla capacità dell’individuo (se stimolato) di portare all’interno della struttura aziendale conoscenza esterna, grazie alla propria abilità di networking individuale che, secondo la medesima teoria su cui si sono sviluppati i social network, indica in sei gradi di separazione che dividono ciascuno di noi da ogni altra persona e quindi dal suo sapere
Modello di progettazione della comunità
Come si vede il metodo collaborativo segue un principio che tende a destrutturare i processi e le stesse organizzazioni, quindi impegnativo da accettare. I passi del percorso organizzativo che occorre sviluppare possono essere sintetizzati come segue:
Leggi gli altri paragrafi....
1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di pratica
Argomenti correlati:
-Intervista a Gianni Soreca IDC Consulting Director
-Focus su Zopa
-Focus su Boober, Intervista a Manolo Maffeis
-La percezione della comunicazione, R.Taverna
-Dati Abi 2007
Fino ad ora uno dei concetti che ha trovato maggiore riscontro nelle grandi organizzazioni in generale, e nelle banche in particolare, è quello delle centralizzazione del controllo dell’informazione, anche interna.
Un’applicazione rigida di questo concetto confligge ovviamente con un metodo di lavoro alternativo che punta al coinvolgimento degli individui. Questo coinvolgimento non può essere stimolato se contemporaneamente l’individuo percepisce un’idea di “controllo” eccessivo.
Si tratta quindi, per il management, di fare un salto di qualità nei rapporti interni e di rimettere in gioco scelte consolidate, ma mio avviso, le potenzialità di crescita determinate da questo approccio sono enormi. Sono enormi sopratutto in relazione alla capacità dell’individuo (se stimolato) di portare all’interno della struttura aziendale conoscenza esterna, grazie alla propria abilità di networking individuale che, secondo la medesima teoria su cui si sono sviluppati i social network, indica in sei gradi di separazione che dividono ciascuno di noi da ogni altra persona e quindi dal suo sapere
Modello di progettazione della comunità
Come si vede il metodo collaborativo segue un principio che tende a destrutturare i processi e le stesse organizzazioni, quindi impegnativo da accettare. I passi del percorso organizzativo che occorre sviluppare possono essere sintetizzati come segue:
- progettare l’evoluzione della comunità, assecondando i naturali trend delle comunità senza necessariamente imporre un solo modello precostituito.
- Creare un dialogo tra interno ed esterno, ovvero favorire l’osmosi tra la conoscenza interna agli individui della comunità e la conoscenza disponibile.
- Promuovere diversi livelli di partecipazione per consentire a ciascuno di “usare” la comunità sulla base delle proprie esigenze
- Sviluppare aree pubbliche e private, per favorire le “cellule” di individui e gli individui stessi che troveranno spazi di conversazione individuali e collettivi.
- Focalizzarsi sul valore attraverso l’opera dei moderatori e degli individui più attivi per valorizzare il contributo dei singoli
- Stimolare il ritmo, ovvero evitare la perdita di interesse nei confronti della comunità combinando adeguatamente routine ed innovazione
Leggi gli altri paragrafi....
1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di pratica
Argomenti correlati:
-Intervista a Gianni Soreca IDC Consulting Director
-Focus su Zopa
-Focus su Boober, Intervista a Manolo Maffeis
-La percezione della comunicazione, R.Taverna
-Dati Abi 2007
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Thursday, April 10, 2008
Ultime dal Social Lending: in Inghilterra le banche premiano i competitor con il titolo "Most threatening non-bank competitor"
Qualche giorno fa mi hanno chiesto in un commento al post sul costo del prestito tra privati se ci si poteva "fidare" del social lending. La mia risposta è stata un po' prudente perché francamente credo di essere (o per lo meno dovrei essere...) più esperto di tecnologie che di prestiti.
In ogni caso è evidente che il tema riscuote interesse e poichè ovviamente mi appassiona anche il risvolto sociale ho deciso di aggiornarvi con un paio di notizie che il caro Cristiano di Zopa mi ha fatto pervenire, come le ha definite nella due righe di presentazione: zerofuffa-tuttoarrosto.
Le riporto cosi come mi sono pervenute:
Come va Zopa.it?
Oggi, a meno di tre mesi dall'apertura pubblica della comunità online, gli iscritti sono 13.500 e i prestiti tra i membri della community hanno già superato il milione di euro.
Ad oggi i Prestatori hanno ottenuto un rendimento medio del 7,2% e il tasso medio (Taeg) dei prestiti erogati è stato dell'8,3%, contro un tasso medio del 16,77% che si registra per importi inferiori ai 5.000 euro erogati da finanziarie (fonte: Banca d'Italia, periodo di rilevamento: 1° ottobre – 31 dicembre 2007).
Zopa.it non è solo finanza personale
- tra dicembre e gennaio 2007 ha sostenuto concretamente il microcredito di Kiva.org - a favore dei piccoli imprenditori dei paesi in via di sviluppo - versando un dollaro per ogni nuovo iscritto alla community e raccogliendo in totale 1.469 dollari.
- il 15 febbraio Zopa.it ha aderito a M'illumino di meno, la giornata del risparmio energetico, coinvolgendo la community attraverso il blog e oscurando simbolicamente il sito web per cinque minuti avvio dell'iniziativa.
Nuovo award per Zopa UK
La scorsa settimana, al 26° International Banking Forum, Zopa.com che in UK esiste dal 2005 ha ricevuto un International Retail Banking Award, per la categoria 'Most threatening non-bank competitor' (il più minaccioso concorrente non bancario), superando concorrenti come PayPal, Wal-Mart, Vodafone e Prosper
In ogni caso è evidente che il tema riscuote interesse e poichè ovviamente mi appassiona anche il risvolto sociale ho deciso di aggiornarvi con un paio di notizie che il caro Cristiano di Zopa mi ha fatto pervenire, come le ha definite nella due righe di presentazione: zerofuffa-tuttoarrosto.
Le riporto cosi come mi sono pervenute:
Come va Zopa.it?
Oggi, a meno di tre mesi dall'apertura pubblica della comunità online, gli iscritti sono 13.500 e i prestiti tra i membri della community hanno già superato il milione di euro.
Ad oggi i Prestatori hanno ottenuto un rendimento medio del 7,2% e il tasso medio (Taeg) dei prestiti erogati è stato dell'8,3%, contro un tasso medio del 16,77% che si registra per importi inferiori ai 5.000 euro erogati da finanziarie (fonte: Banca d'Italia, periodo di rilevamento: 1° ottobre – 31 dicembre 2007).
Zopa.it non è solo finanza personale
- tra dicembre e gennaio 2007 ha sostenuto concretamente il microcredito di Kiva.org - a favore dei piccoli imprenditori dei paesi in via di sviluppo - versando un dollaro per ogni nuovo iscritto alla community e raccogliendo in totale 1.469 dollari.
- il 15 febbraio Zopa.it ha aderito a M'illumino di meno, la giornata del risparmio energetico, coinvolgendo la community attraverso il blog e oscurando simbolicamente il sito web per cinque minuti avvio dell'iniziativa.
Nuovo award per Zopa UK
La scorsa settimana, al 26° International Banking Forum, Zopa.com che in UK esiste dal 2005 ha ricevuto un International Retail Banking Award, per la categoria 'Most threatening non-bank competitor' (il più minaccioso concorrente non bancario), superando concorrenti come PayPal, Wal-Mart, Vodafone e Prosper
Wednesday, April 2, 2008
Il banking 2.0, il nuovo web per le Banche:(parte XI) la Comunità di Pratica
Vai all'indice dei paragrafi....
La comunità di pratica sostituisce al meccaniscmo del rapporto diretto esperto/allievo visto nel precedente post, una metodolofgia di lavoro fatta di relazioni aperte e in un sistema di rete sociale aperta e partecipativa:
Questo metodo è stato da prima applicato con successo in alcuni contesti industriali, da Microsoft a Procter & Gamble, ma se osserviamo benè di fatto alla base del successo del fenomeno del Social Networking. Ed è proprio questo successo nel campo delle relazioni personali che paradossalmente ne sta ri-evidenziando anche l’efficacia in campo aziendale.
Come afferma Domenico Lipari nella sua prefazione a “Coltivare le comunità di pratica” di Wenger, McDermott e Snyder: “il fondamento dell’apprendere risiede dunque nella partecipazione sociale ad una pratica” e diventa quindi determinante rendere efficaci e concreti ii concetti che mirano al “community development” e sono essenziali per determinare il successo di una esperienza lavorativa di collaborazione
A. Gli strumenti, la teoria della comunità di pratica infatti ipotizza la disponibilità di strumenti che gli utenti possono scegliere di utilizzare con una certa libertà. I social network attuali rendono disponibili servizi molto elementari (blog, bollettini, raccolte di foto). In ambito professionale si dovrebbe ottenere l’obiettivo di elevare la qualità dei servizi puntando su comunicazione, ricerca di informazioni, competitive intelligence, archivi multimediali veri e propri.
B. Individui e le cellule, ovvero meccanismi collaborativi che riescano a mettere in contatto utenti appartenenti alle reti sociali con un meccanismo trasversale teso a favorire l’integrazione delle reti stesse. Caratteristica di questo modello organizzativo è l’agilità con cui gli individui reagiscono alle sollecitazioni e danno vita a strutture snelle e dinamiche in grado di affrontare un problema specifico
C. I moderatori. La funzione di questi personaggi è quello di stimolo di attività collaborative. Tale attività richiede impegno e l’impegno è spesso proporzionale alla verifica dell’efficacia della collaborazione. Il moderatore è quindi colui che cerca di mantenere alto il “ritmo” della collaborazione, rilanciandola in momenti di stanca e riportandola su binari concreti quando invece tende eccessivamente a divagare.
D. Trasparenza e Motivazione, in quanto la condivisione degli strumenti e degli obiettivi introduce nel sistema una maggiore trasparenza del fini e del modello organizzativo, rendendo percepibile il ruolo del singolo individuo e determinandone le adeguate motivazioni
Quest’ultimo punto è probabilmente lo snodo centrale nell’adozione di sistemi collaborativi: il contributo sarà tanto più efficace e maggiore tanto più verrà percepito come atteso ed apprezzato. Qeusto forse può rappresentare uno dei maggiori ostacoli in questo momento, per l’adozione di tale metodologia all’interno di strutture grandi ed organizzate.
Leggi gli altri paragrafi....
1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di Pratica
Argomenti correlati:
-Intervista a Gianni Soreca IDC Consulting Director
-Focus su Zopa
-Focus su Boober, Intervista a Manolo Maffeis
-La percezione della comunicazione, R.Taverna
-Dati Abi 2007
La comunità di pratica sostituisce al meccaniscmo del rapporto diretto esperto/allievo visto nel precedente post, una metodolofgia di lavoro fatta di relazioni aperte e in un sistema di rete sociale aperta e partecipativa:
- I gruppi di lavoro nascono intorno a tematiche definite e sono a “geometria variabile”
- Maturano impegni tra i soggetti che di volta in volta cooperano
- Mettono a disposizione un set di esperienze e le condividono
- Determinano un percorso di apprendimento fatto di esperienza che nasce dalla negoziazione delle esperienze dei singoli.
Questo metodo è stato da prima applicato con successo in alcuni contesti industriali, da Microsoft a Procter & Gamble, ma se osserviamo benè di fatto alla base del successo del fenomeno del Social Networking. Ed è proprio questo successo nel campo delle relazioni personali che paradossalmente ne sta ri-evidenziando anche l’efficacia in campo aziendale.
Come afferma Domenico Lipari nella sua prefazione a “Coltivare le comunità di pratica” di Wenger, McDermott e Snyder: “il fondamento dell’apprendere risiede dunque nella partecipazione sociale ad una pratica” e diventa quindi determinante rendere efficaci e concreti ii concetti che mirano al “community development” e sono essenziali per determinare il successo di una esperienza lavorativa di collaborazione
A. Gli strumenti, la teoria della comunità di pratica infatti ipotizza la disponibilità di strumenti che gli utenti possono scegliere di utilizzare con una certa libertà. I social network attuali rendono disponibili servizi molto elementari (blog, bollettini, raccolte di foto). In ambito professionale si dovrebbe ottenere l’obiettivo di elevare la qualità dei servizi puntando su comunicazione, ricerca di informazioni, competitive intelligence, archivi multimediali veri e propri.
B. Individui e le cellule, ovvero meccanismi collaborativi che riescano a mettere in contatto utenti appartenenti alle reti sociali con un meccanismo trasversale teso a favorire l’integrazione delle reti stesse. Caratteristica di questo modello organizzativo è l’agilità con cui gli individui reagiscono alle sollecitazioni e danno vita a strutture snelle e dinamiche in grado di affrontare un problema specifico
C. I moderatori. La funzione di questi personaggi è quello di stimolo di attività collaborative. Tale attività richiede impegno e l’impegno è spesso proporzionale alla verifica dell’efficacia della collaborazione. Il moderatore è quindi colui che cerca di mantenere alto il “ritmo” della collaborazione, rilanciandola in momenti di stanca e riportandola su binari concreti quando invece tende eccessivamente a divagare.
D. Trasparenza e Motivazione, in quanto la condivisione degli strumenti e degli obiettivi introduce nel sistema una maggiore trasparenza del fini e del modello organizzativo, rendendo percepibile il ruolo del singolo individuo e determinandone le adeguate motivazioni
Quest’ultimo punto è probabilmente lo snodo centrale nell’adozione di sistemi collaborativi: il contributo sarà tanto più efficace e maggiore tanto più verrà percepito come atteso ed apprezzato. Qeusto forse può rappresentare uno dei maggiori ostacoli in questo momento, per l’adozione di tale metodologia all’interno di strutture grandi ed organizzate.
Leggi gli altri paragrafi....
1 - Contesto tecnologico generale
2 - La tecnologia ed il credito “social”di Zopa
3 - Il marketing nei blog
4 - Non solo Zopa, Boober e la banca dei poveri
5 - La prudenza delle Banche
6 - Esperienze utente, IWbank, BNL e Second Life
7 - Uso operativo: contesto, intelligence e mercato
8 - Monitoraggio, l'individuazione degli "Influencer"
9 - Monitoraggio e Social Network Analysis
10- Il web 2.0 e l’organizzazione interna
11- La comunità di pratica
12- Sviluppare Comunità di Pratica
Argomenti correlati:
-Intervista a Gianni Soreca IDC Consulting Director
-Focus su Zopa
-Focus su Boober, Intervista a Manolo Maffeis
-La percezione della comunicazione, R.Taverna
-Dati Abi 2007
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