Torniamo ancora sul problema della Compliance affrontato nel post precedente. Una straordinaria coincidenza ha dunque voluto che il sistema bancario internazionale fosse travolto da una terribile tempesta, proprio nel momento in cui entravano in vigore norme di controllo più stringenti, la crisi è globale le banche italiane sono ahimè in compagnia anche di gruppi europei di più grandi dimensioni o di banche americane come le famose “Fannie e Freddie”.
Non sembra esserci relazione tra i due eventi, abbiamo parlato per questo di coincidenza, ma se poco si poteva forse ormai fare lascia perplessi invece la scarsa tensione sui problemi di compliance per tutto il sistema italiano, istituti di vigilanza compresi. Tornando poi alla tipicità italiana, la famosa estate dei “furbetti” e dei loro prestiti facili (ai soliti noti però) avrebbe dovuto consigliare un’applicazione più stretta della normativa.
I soldi investiti sono stati in realtà tantissimi, bisogna darne atto alle banche, ma sempre in visti sotto l’ottica del “costo”. Sono cresciuti le divisioni Audit e Compliance ed i loro budget, senza però che tali uffici fossero poi organici, in genere, alla costruzione del valore. Un ufficio che controlla quindi, per questo anche un pochino “antipatico”, il cui obiettivo è sostanzialmente l’adempimento degli obblighi formali.
Ma sotto questo punto di vista anche i controllori, Bankitalia in primis, non hanno stressato il sistema più di tanto, quella che doveva essere una rivoluzione comportamentale per banche ed aziende, si è risolta in alcuni adeguamenti tecnologici ed organizzativi.
Ci aspettiamo, o meglio ci auguriamo, che, passata con il minor numero di danni possibili questa tempesta, si torni ad esaminare quanto fatto e si decida di rivedere il processo per renderlo più omogeneo alle intenzioni iniziali, con lo scopo di costruire da un lato un sistema di garanzie per eventi traumatici come quello che stiamo vivendo, dall’altro di provvedere ad una più previdente gestione operativa.
Se dal punto di vista dei crediti la distanza da percorrere sembra minore, vista una certa parsimonia del sistema bancaria italiano a differenza di quello americano, il mondo della finanza è, quasi endemicamente, portato alla creazione di modi “creativi” di costruire valore, di per se quindi meno controllabili e rigorosi.
E’ sempre un errore chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati, ma, utilizzando un secondo proverbio, se errare è umano, perseverare è diabolico. Una nuova era del rigore si rende necessaria per tutelare i cittadini, da un lato quelli che affidano alle banche i loro risparmi, dall’altro quelli che hanno investito direttamente nella proprietà delle stesse banche.
La crisi odierna è chiaramente una crisi che riguarda non la struttura operativa delle banche, tant’è che in Italia uno dei gruppi più colpiti, Unicredit, chiuderà probabilmente con 5,2 miliardi di euro di utile, quanto una situazione determinata dalla non corretta valutazione dei rischi e/o dalla convinzione che un sistema fosse in se perfetto, in grado di generare (chissà come!!) agenti endogeni in grado di tenerlo sempre in equilibrio e che quindi alcuni nodi non sarebbero mai venuti al pettine.
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