Wednesday, October 31, 2007

Social Network "istantanei", non solo tecnologia. Battaglia sulla pena di morte (parte 2)

continua dal precedente post

La storia della mail su Obama “mussulmano” dimostra che si corre il rischio di veder “inquinata” la reputation delle informazioni presenti in Rete, dove la reputation è proprio il valore su cui si basa la forza di questa nuova fase del web. Ecco perché, secondo me, occorre fare una accurata riflessione prima di forwardare le mail ricevute, perché esiste il rischio di essere considerati alla stessa stregua di un generatore di spam, impedendo poi di affrontare la questione nel concreto.

Si discute molto sulla nascita dei nuovi “opinion makers” indipendenti, quelli dei blog, per intenderci. La rete dei contatti che si guadagnano con la loro attività diventa un valore importante per chi fa comunicazione e pubblicità. Prendiamo, per esempio il recente caso della Levi-Prodi.

Così come era stata concepita era effettivamente punitiva solo per i service provider che ospitano i blog. Per un governo come questo, in grosso deficit di credibilità, è stato un suicidio... colpire gli utenti del web proprio con leggi su uno dei fenomeni partecipativi più in crescita, ed in più con un danno così grave arrecato a chi custodisce milioni di identità di utenti della rete... è stato un gioco sollevare una rivoluzione....

Spiace osservare lo scarso rilievo che hanno dato i giornali tradizionali..

Tornando finalmente al tema principale, e che una volta tanto non è tecnologia.... , una delle battaglie che mi stanno personalmente a cuore è quello della pena di morte.

L’Italia sta promuovendo nel mondo una battaglia a favore dell’abolizione della pena di morte, nel panorama francamente un po’ disarmante della politica italiana è, sempre a mio giudizio, un piccolo angolo di luce.

Non voglio indagare sulle motivazioni che spingono alcuni dei nostri politici a promuovere questa battaglia civile, perché, se anche scoprissi che è solo un’iniziativa per sostenere un’immagine della politica molto appannata, la sosterrei.

In questo caso, qualunque mezzo (moralmente accettabile!!!) è giustificato per raggiungere un obiettivo cosi importante.

Purtroppo questa iniziativa smaschera una ulteriore ipocrisia e cioè che il tema, in realtà, non interessa. I giornali ne parlano poco e solo sul web c’è un dibattito interessante, ma sappiamo che gli utenti del web sono solo una fetta, seppur significativa, degli italiani.

Possibile che in Italia, dove si scende in campo, con battaglie campali, per la vita nascosta in alcune cellule, non si ritenga importante impedire la morte per mano di uno stato? Ovvero per mano nostra?
Quello che stupisce di più è, inoltre, che questa battaglia non susciti indignazione sufficiente per schierarsi, soprattutto nel caso di nazioni ritenute a noi vicine.

La battaglia contro la pena di morte può essere vissuta infatti come “accessoria” nei casi di nazioni in cui le libertà civili sono generalmente calpestate, paesi in cui può anche succedere di scomparire ucciso per strada. Abbiamo tutti assistito alle immagini provenienti dalla Birmania, ma situazioni simili ci sono in mille angoli del mondo, dal Darfur all’Iraq.

Esistono però paesi in cui si afferma una concezione della vita cosi simile alla nostra, tanto da farci sembrare impossibile che possa esistere la pena di morte, come negli Stati Uniti. Una grande nazione che ci ha restituito la libertà nel 45, nella quale esiste un rispetto della cosa pubblica che purtroppo la nostra società civile molto spesso neppure conosce, ma nella quale vige ancora la morte di stato.

Comprendo che il tema sia delicato e che in ognuno di noi (me compreso) nasce talvolta un desiderio di vendetta in presenza di episodi di efferata violenza, ma credo che l’essenza di un Nazione civile (intesa come Popolo) sia proprio quella di difendere i propri principi nelle situazioni difficili.

Cina, Iran, Birmania e (purtroppo!) tanti altri paesi sono luoghi in cui purtroppo c’è troppa distanza con il nostro concetto di rispetto dei diritti umani (ciò non significa naturalmente che non si debba urlare con forza), ma quei paesi che, invece, sono vicini al nostro modo di essere e di vivere meritano l’impegno profuso a superare atrocità come la pena di morte, eredità spesso di un passato che andrebbe ormai sepolto.

In questi paesi, credo, la distanza tra l’utopia e la realtà è minore, ed i risultati positivi possibili, come dimostrano le recenti notizie.

Purtroppo sembra che anche a noi manchi la forza (la voglia) di combattere.... meglio guardare tronisti e veline....

I Social Network "istantanei", la battaglia civile contro la pena di morte, la competizione politica e le bugie di Obama (parte 1)

La spunto definitivo per questo post me lo ha dato oggi la lettura su Repubblica di un paio di articoli, uno sulla pena di morte ed uno su Barak Obama. In realtà lo stavo già scrivendo da un po’, ma la contemporanea uscita di questi due articoli, proprio su due temi affrontati, mi ha convinto ad accelerare.

La prima notizia è lo stop all’esecuzione di un condannato, stop che evidenzia una sorta di moratoria in vigore de facto dal 25 settembre (eh si.. lo so... non da 10 anni.... ma accontentiamoci). Un episodio analogo, qualche tempo fa, determinato anche da una forte campagna sul web, mi aveva fatto pensare di scrivere qualcosa sull’uso veramente “sociale” del web.

Una delle situazioni ricorrenti in cui si ritrovano gli abitanti del web è di ricevere, oltre alle ahimè endemiche catene porta fortuna/sfortuna, appelli a favore di qualche campagna o richieste d’aiuto.

La forma di comunicazione è quella di un albero che si allarga con altri rami, e da ognuno di essi partono sempre nuovi rami. Una formula inventata ben prima del web e basata sul concetto del mondo “piccolo”, (spero di dedicare un commento solo a questa teoria) ovvero che esistono pochi gradi di separazione tra ciascuno di noi ed il resto del mondo. Un network di network.

Io l’ho sperimentato (virtualmente!!) perché mio fratello aveva avuto una parte in un film di una regista esordiente ed ho scoperto che con un paio di passaggi (film o altre esperienze) avrei potuto conoscere Julia Roberts... però sto ancora aspettando di uscire insieme a lei a cena...

Tralasciando le miei fantasie, questo meccanismo è servito anche a far ricchi pochi furbi (ricordate le finanziarie che garantivano interessi altissimi, le famose piramidi di carta?), ma oggi viene utilizzato, per fortuna, per scopi molto più interessanti. Si riescono infatti a veicolare appelli come quelli che hanno avuto effetti positivi per alcuni condannati a morte. Si forma di fatto un network sociale spontaneo, che si rompe un istante dopo che l’obiettivo è stato raggiunto.

Questo network ha geometria variabile, ma fino ad un certo punto perché, in realtà, tutti noi, quando riceviamo una di queste mail (e decidiamo di darvi seguito), facciamo una scelta nella nostra agenda di indirizzi email, evitando quelle persone che non apprezzerebbero. Il target di utenti cui sono indirizzate queste mail è quindi fortemente sensibile al tema trattato.

Questo garantisce una certa efficacia dell’iniziativa.

Come ogni cosa esistono aspetti positivi e negativi e, a mio parere, quelli positivi sono molti, perché si riesce a creare solidarietà intorno a temi e persone che i media ufficiali spesso ignorano, il vero spirito del web 2.0 e dell’informazione “democratica”.

Di contro purtroppo il successo di alcune di queste iniziative ha spinto persone ad inflazionare il sistema con messaggi di basso profilo o addirittura truffaldini, ma rimane ancora un’arma importante per trattare di quei temi che realmente stanno a cuore alle persone.

Di recente mi ha fatto sorridere il caso di una mail in cui si indicava il candidato americano Barak Obama come “mussulmano”. Ho sorriso perché evidentemente questo termine sta cominciando ad assumere una connotazione offensiva negli USA... o per lo meno presso una parte della sua opinione pubblica (beh anche qui da noi non ne siamo immuni... colpa anche di qualche demagogica campagna politica o di qualche velenoso pamphlet di famosi giornalisti)

Ma non preoccupatevi... Obama ha smentito e affermato di essere un cattolico doc.

A questo punto però ecco la coincidenza della seconda notizia... la parte precedente era già scritta quando questa mattina leggo che proprio Obama mente sulla sua vita!!! La fonte è autorevole, il New York Times, e quindi ho divorato l’articolo. Le bugie non riguardano le sue convinzioni religiose ma qualche tratto un po’ romanzato della sua vita, in particolare sul fatto di avere avuto un ottimo posto di lavoro al primo impiego con tanto di segretaria.

Qui subentra un altro strumento del web a smentirlo.. si legge su Repubblica: “risponde dal proprio blog, Analyzethis.net, un analista finanziario che lavorava con lui, nella scrivania accanto e ricorda una storia molto diversa.

"Non aveva nessun ufficio e nessuna segretaria", "era pagato malissimo come tutti noi" e il lavoro consisteva nel "tagliare e incollare rapporti economici fatti da altri per presentarli in una cartellina ai superiori". Un umile redattore da newsletter, che pare si tenesse anche alla larga dagli altri afroamericani in quell'ufficio, padre e figlio che lavoravano nell'ufficio posta, l'ultimo gradino”.

il secondo effetto di questi articoli letti è che hanno dilatato a dismisura il mio post... e non ho ancora finito... concluderò più tardi in un secondo post...scusatemi!!

Tuesday, October 30, 2007

Sondaggio: le aziende italiane che fanno innovazione. Miki Fossati ci parla del motore di ricerca semantico





Questa di oggi è la mia prima segnalazione nell'ambito del mini sondaggio che sto facendo sulle aziende italiane che innovano. Quella di oggi è una conversazione con Miki Fossati, CEO di "Nel Web" (http://www.improntenelweb.it). Miki è uno dei più antichi abitanti della blogosfera e si occupa di edizioni online (ultima produzione in ordine di tempo è 'Archphoto rivista digitale di architettura arti visive e culture' – http://www.archphoto.it). Insieme ad Andrea Baresi (http://www.webdomus.it/tao) ho sviluppato il primo aggregatore semantico sperimentale in Italia. Il suo blog è http://mezzomondo.nelblog.it


Una delle componenti principali del web 2.0 è la ricerca semantica. Tu sei uno dei primi ad avere realizzato un motore di ricerca semantico in Italia, quali risultati ed in quali contesti può essere più utile di un motore generalista come Google?

In effetti i motori semantici ed i motori di ricerca della generazione di Google fanno due lavori molto diversi tra loro. Tipicamente il valore semantico delle singole chiavi di ricerca che vengono utilizzate nei motori di ricerca è molto piccolo se non addirittura nullo e spesso è un lavoraccio riuscire ad estrarre il 'significato' da così pochi termini potenzialmente ambigui. Vien da dire che è impossibile, addirittura. I motori semantici operano sulla stessa materia prima, il testo, ma senza frammentarla cercando di riconoscere al suo interno alcuni pattern che possano far dire loro “ci siamo!”, “eccolo!”, “si sta parlando di questo!”. Una volta delineati gli argomenti di interesse un motore semantico è in grado di scandagliare la Rete alla ricerca di chi parla di quegli specifici argomenti e di esprimere valutazioni di “affinità” di quanto via via viene trovato. Chissà, le prossime generazioni dei motori di ricerca saranno forse in grado di fare entrambe le cose, cercare singole chiavi ed evidenziare aree comuni di significato all'interno di insiemi di testi.


Senza naturalmente svelare i tuoi segreti industriali, puoi brevemente spiegare, a scopo didattico, su quali concetti e tecnologie si basa un motore semantico?

Un motore semantico è un robot che ha imparato a leggere e a capire il significato del testo che sta leggendo. Essendo un robot è molto veloce ed è in grado di leggere decine di migliaia di testi al secondo, è in grado di incasellare nelle aree semantiche a cui è stato addestrato questi testi ed è in grado di creare relazioni di “affinità”, come dicevo, tra i vari testi. La difficoltà sta nel fatto che gli strumenti che si utilizzano per raggiungere questo scopo sono multidisciplinari: teoria dei modelli, informatica, linguistica computazionale, intelligenza artificiale.


E le tue esperienze pratiche di utilizzo del motore?

Il motore ha circa un anno e mezzo di vita ed è stato utilizzato con buoni risultati durante i mondiali di calcio dell'anno scorso (http://www.moltomondiale.it) e durante il festival di Sanremo di quest'anno (http://www.improntenelweb.it/sanremo2007), due versioni oggi “congelate”. La sua incarnazione attuale si può ammirare su http://www.moltomoda.it un aggregatore semantico sulla moda italiana pubblicato grazie alla collaborazione di Mondadori.


Gartner, in un suo recente studio, ha detto che le aspettative di maturazione delle tecnologie, relative ad i motori semantici, sono attesi in un arco temporale di 10 anni... prudenza eccessiva o realtà?

Non sono mai stato bravo con le profezie e non ho la minima idea di come possa essere la Rete ed il suo mercato fra dieci anni. Di certo i motori semantici rappresentano una frontiera che prima o poi bisognerà varcare. La mia esperienza dice che la tecnologia è più che pronta per affrontare la sfida ed il problema risiede soprattutto nella disponibilità degli investimenti. Non è escluso che qualcuno dei grandi attori di Internet si sia già mosso in questa direzione, Google in testa.


Sempre la medesima analisi di Gartner indica il web 2.0 nella cosiddetta fase di riflusso prima della definitiva maturazione. In parte concordo, visto la generale assenza, negli ultimi tempi, di novità tecnologiche, però da un punto di vista del successo di pubblico, mi sembra siamo ancora nella fase dell’entusiasmo, tu cosa ne pensi?

Che l'Italia vede la Rete da un minuscolo spiraglio, resta da capire se questo spiraglio si trova nella testa delle persone o dove altro. Il problema della partecipazione è fondamentale nel nostro paese. Quello che gli analisti leggono come “successo” è in realtà lo specchio di una situazione miserabile, generare un traffico di un milione di visitatori al giorno dovrebbe farci domandare: “quanto diffusa è questa informazione?”. Poco. In Francia quello che succede sulla Rete lo sanno tutti, in Italia non lo sa nessuno, ministri compresi.


Qual’è secondo te lo stato del mercato, l’offerta c’è.. ma la domanda è già in uno stato di maturità?

Lo stato della domanda è desolante. I VC italiani con i quali sono entrato in contatto nell'ultimo anno si sono dimostrati di un'ignoranza e di un'incompetenza sconfortante, senza eccezioni. Lo stato del mercato? in Italia il mercato lo devono ancora costruire, in Italia il mercato non esiste proprio. Novità sulla Rete che si possano definire “di mercato” nell'ultimo anno non ce ne sono state e temo che dovremo attendere la morte, fisica, di molti dei manager delle grandi aziende per poter avere quel ricambio generazionale e di mentalità che tutti stiamo aspettando.


Beh.. basta una buona pensione... tornando al tema, chi fa vera ricerca in Italia?? Qui, dove l’informazione è libera e non abbiamo problemi di budget, possiamo dire che ci sono tante realtà, come Impronte nel Web, che fanno vera innovazione?

L'innovazione proviene da NelWeb al prezzo di rinunce ed enormi sacrifici personali e questa situazione è condivisa da alcune delle realtà di livello con cui sono entrato in contatto grazie all'esperienza dell'aggregatore semantico. L'unico ossigeno in questo panorama proviene dalla “superiore attività civilizzatrice dell’Unione Europea” della quale ogni tanto è possibile approfittare ma nella quale però non è sempre possibile sperare. In Italia vedo nascere ogni giorno progetti interessanti e di ottima qualità, appetibili anche a livello internazionale, e li vedo restar lì ad attendere languidi nel deserto.

Monday, October 29, 2007

Sondaggio: le aziende italiane che innovano. Inviatemi le vostre segnalazioni

Una recente inchiesta di ZeroUno si è occupata dell’innovazione in Italia. L’obiettivo era anche quello di dare la parola alle aziende che fanno innovazione in Italia. Vengono infatti citate alcune aziende, ma il giornale ammette, con onestà, che l’elenco non è completo, anche a causa della mancata collaborazione di qualche azienda invitata a partecipare.

Vorrei allora provare a raccogliere ulteriori informazioni, con l’aiuto di tutti, sulle aziende italiane, piccole e grandi (ovviamente soprattutto le più piccole ... le grandi si fanno già conoscere da sole) che fanno innovazione.

Mi auguro che chi si imbatterà in questo post abbia voglia e tempo di segnalarmi aziende che conosce (nome, breve descrizione delle attività e o commenti anche via mail blog@www.carlobruno.net ), particolarmente vivaci sotto il profilo dell’innovazione in Italia e che possibilmente esportino la loro tecnologia all’estero.

Già il concetto di “innovazione” potrebbe generare lunghissime discussioni. Personalmente credo che sia innovativa una azienda che ha un business model innovativo, oppure che fa tecnologia di frontiera (in termini applicativi o di performance) ma che è anche capace di vendere questa tecnologia e soprattutto di venderla all’estero.

Non è innovazione quella che poi non entra sul mercato.

Credo che nell’elenco presentato da ZeroUno come delle “Belle Italiane” ci sia qualche azienda non particolarmente innovativa, almeno rispetto al mio “personale” concetto di azienda innovativa.

Non me ne vogliano i bravissimi giornalisti di ZeroUno, anzi spero che considerino questo post una discussione in puro stile web 2.0... (lo so... un pò abusato come termine.. ma è solo per farsi capire... oggi tutto è 2.0.. banking 2.0 ecc.).

Se non avrò raccolto adeguate informazioni mi dedicherò a pubblicare un po’ di ricette di cucina...
Tornando all’articolo di ZeroUno è inutile dire che i risultati dell’inchiesta sono piuttosto sconfortanti... d’altra parte basta leggere ogni anno il rapporti Assintel / Assinform per ricevere conferma periodica di come il Sistema Italia nelle Tecnologie sia tremendamente in difficoltà.

I pallidi segnali di miglioramento (la crescita del comparto in aumento negli ultimi tre anni) sono immediatamente ridimensionati dal paragone con le medie europee, l’Italia cresce dell’ 1,6% e l’Europa del 3,9%, con aumento costante del gap tra la crescita del nostro paese e quella del resto d’Europa.

In definitiva cresce tutto il sistema, e quindi l’Italia con esso, ma le nostre percentuali sono sempre più lontane dalla crescita complessiva. Il confronto poi diventa impietoso con i paesi emergenti (Cina ed India in primis) ma anche con quelli a maggior crescita in Europa come la Spagna. Proprio la Spagna e l’Irlanda (ancor prima!!!) sono la dimostrazione però che le posizioni non sono immutabili e che esiste un “mondo diverso”.

Il sistema politico ha le sue responsabilità, ma è singolare che mentre tutti celebrano il libero mercato poi le colpe finiscano per essere addebitate allo stato.

Il sistema produttivo in Italia del comparto IT è fatto in larga parte da System Integrator che operano su grandi commesse, dalle banche e dal pubblico e parte dalla grande industria. Chiaramente il business model di queste aziende difficilmente è compatibile con accelerazioni in avanti sul tema dell’innovazione ed è anche vero che difficilmente si reperiscono capitali in Italia per nuove iniziative. Stupisce però un po' l'immobilismo anche nello sfruttare le poche occasioni che si presentano.

D’altra parte i System integrator reagiscono soprattutto “on demand”, sulle esigenze del Cliente e quindi non è facile proporre innovazione. Nell’articolo, Filippo Rizzante di Reply giustamente ricorda che “i Cio delle maggiori imprese dovrebbero cominciare ad essere innovativi e correre qualche rischio”.

Vero. Sia per chi consuma tecnologia e sia per chi la propone.

E non basta citare la partecipazioni a progetti internazionali finanziati dalla Comunità Europea. Conosco il problema, avendo partecipato alla stesura di diversi progetti e coordinatore di un consorzio internazionale. L’opportunità offerta (e non sempre colta) dagli incentivi europei all’innovazione merita un post dedicato che ho intenzione di pubblicare tra poco.

La fase poi maggiormente critica è la commercializzazione. I buoni prodotti realizzati richiedono una progettazione di questa fase, attività che non mi sembra essere nel Dna ne di istituzioni di ricerca ne di System integrator... per vendere un prodotto sul mercato internazionale occorre una società focalizzata su questo tipo di business.

Difficile ma non impossibile. Una delle storie che vi racconterò nei prossimi giorni è proprio quella di questo tipo di aziende.

Il mio campo di osservazione è ristretto e quindi vi potrò evidenziare solo le aziende con cui sono entrato (direttamente o meno) in contatto. Lavoro da anni nel campo della Finanza, forse l’unico segmento all’interno del bancario, in cui è imperativo il real time. Questo impone necessariamente una competition in termini di performance e robustezza avanzatissime rispetto alle consuete applicazioni gestionali della banca.

Le aziende specializzate del comparto sono quindi costrette all’innovazione continua e alcune aziende italiane sanno farsi rispettare anche all’estero, come per esempio List Group che ha diverse sedi in Francia,Inghilterra, Spagna ed Usa.

In altri comparti aziende come Expert systems lavorano su nuove tecnologie, ma anche le aziende che si confrontano con il problema delle sicurezza e sono costrette all’innovazione, non solo dai competitors, ma dagli stessi individui che rendono “necessaria” l’esistenza di queste aziende.

Le aziende citate sono già grandi da essere conosciute da sole e quindi nei prossimi giorni vi parlerò di NelWeb e del suo motore semantico e sempre nei prossimi giorni spero di avere nuove aziende di cui parlarvi.

Friday, October 26, 2007

Il passo indietro di Levi e "l'insostenibile leggerezza" della proposta

Dopo la grande esplosione c’è finalmente un passo indietro. Lo stesso Levi chiarisce che non c’è intenzione di coinvolgere i blog nella legge sull’editoria. Bene!

Ma...

Ma la situazione non è chiara.... il testo rimane fumoso e suscettibile di interpretazioni varie, quindi meglio non abbassare la guardia.

Mi rimane qualche pensiero nella testa però... perché tutta questa confusione..?

In una discussione su AsmallWorld qualcuno ha scritto che si tratta di una tempesta in un bicchier d’acqua, e da un po’ del rimbambito a tutti quelli che si sono riscaldati, in fondo si tratta, secondo lui, di normale scrittura e riscrittura che una legge subisce durante il suo iter...

Mi sembra un po’ semplicistica come osservazione...

Il testo è cosi volontariamente ambiguo che è difficile liquidarlo con una affermazione così. Come ho scritto in un precedente post, non c’è molto da preoccuparsi, la norma non sembra applicabile nella realtà, però da qui a considerarlo una specie di refuso in un testo ce ne corre.

Delle due l’una... o è effettivamente una leggerezza generata da chi non conosce questo mondo... e allora ahimè sono preoccupato... (come faranno questi signori a capire il bisogno di innovazione del Paese e sopratutto come faranno a sostenerlo??)

Oppure era veramente un desiderio di controllare almeno un po’ il fenomeno... e allora l’autogol è clamoroso.... ha idea il signor Levi quanti voti ha tolto alla sua parte politica? Quasi quanti l’infinita querelle Mastella-Di Pietro...

Anche se le conseguenze non sarebbero certo state “la morte della rete”, come enfatizzato da alcuni, è stato come mettere la benzina sul fuoco, dare a tutti quelli che vogliono attaccare questo governo o la politica in generale (oggi si chiama antipolitica..??) tonnellate di argomenti su cui discutere.

In entrambi i casi una leggerezza che francamente preoccupa...

Inoltre la norma, così come era nella prima versione, penalizzava più di tutti i service provider che ospitano blog in Italia... queste aziende hanno sui loro server database sterminati di utenti ed indirizzi email di persone sensibili al tema... è bastato poco per accendere la miccia...

I signori Tafazzi che hanno lasciato che ciò accadesse avrebbero dovuto fare un pò più attenzione, ma d’altra parte i nostri politici non sono forse i più adatti a capire la grande novità della Rete, su Times on line (ci sguazzano a parlare dell’Italia... ) si legge:

“Italy is a strange country. Put simply, it is a nation of octogenarian lawmakers elected by 70-year-old pensioners. Everyone else is inconsequential. Romano Prodi, the Prime Minister, is a spry 68, knocking off 71-year-old Silvio Berlusconi in last year’s election. President Giorgio Napolitano, 82, has six more years left on his term; his predecessor was 86 when he called it quits.... Recently, Italian lawmakers once again took aim at modern life, introducing an incredibly broad law that would effectively require all bloggers, and even users of social networks, to register with the state.” [leggi l'articolo...]

Thursday, October 25, 2007

L'Osservatorio sulla Posta Elettronica , dati ed analisi di Filippo Dini

Filippo Dini è Business Manager di Babel (www.babel.it), promotore dell'Osservatorio sulla Posta Elettronica (www.osservatoriopostaelettronica.it) in coda al post una semiseria autodescrizione della sua vita professionale.

Ciao Filippo, Babel è promotrice dell’Osservatorio sulla Posta Elettronica, perchè? Esiste una necessità di monitorare l’uso di questa tecnologia?

Carissimo Carlo,
Babel è promotrice di un Osservatorio sulla Posta Elettronica perché è diventato lo strumento principale di comunicazione e fino a ieri non c’era una ricerca italiana che potesse fotografare lo stato dell’arte. Si trovano solo ricerche americane o europee. Volendo dare una fotografia ed un valore a questo mercato circoscrivendolo all’Italia, abbiamo realizzato questo studio. Le difficoltà non sono state poche, ma i risultati ci hanno dimostrato che l’interesse per questo tipo di pubblicazione è alto.


Puoi sintetizzarci qualche risultato interessante che avete riscontrato con il vostro osservatorio? E naturalmente quali i problemi...
Innanzi tutto vi invito a scaricarvi l’osservatorio al link www.osservatoriopostaelettronica.it. In poche parole (ma come si fa ad essere concisi con un argomento così vasto?) è emerso che, con il 12% del campione, c’è stato un incremento del 7% rispetto al 2006 di aziende che utilizzano sistemi di posta open source mentre IBM e Microsoft si dividono il restante 88% della torta. Le problematiche emerse sono quelle note a tutti. Lo spam raggiunge il l’incredibile soglia del 90% delle mail che circolano e la sicurezza applicata alla posta è sempre più importante perché i sistemi di posta sono diventati “Mission Critical” per l’88,2% delle aziende.


Uno dei temi dell’osservatorio era la posta certificata... a che punto siamo? Chi la usa ?

Esistono delle normative che regolamentano l’uso della posta certificata e che ne impongono l’uso, per esempio per lo scambio di informazione con il ministero del tesoro etc.. Esistono 17 gestori di PEC (al momento della stesura dell’osservatorio) e la prevalenza delle aziende si appoggia a questi gestori per avere 1 o 2 caselle PEC. Alcune realtà hanno invece provveduto a mettersi in casa il sistema. Questi ultimi sono comunque veramente pochi per i requisiti stringenti imposti dalla normativa in ambito di capitale sociale minimo richiesto (100 milioni di euro) ed al piano di sicurezza.


La mail è stato uno dei primi strumenti collaborativi aziendali, tant’è che oggi sembra quasi strano parlare della posta come strumento del web 2.0 (consentimi la semplificazione nell’usare il termine web 2.0). come si inserisce in un panorama di razionalizzazione degli strumenti, dalle piattaforme collaborative, alle chat, IM, blog, wiki o il VoiIP? Qualcuno le chiama Unified Communications

Bella domanda. Quella di riserva?
No, scherzi a parte il panorama della comunicazione e della collaboration informatica sta mutando rispetto a quello a cui siamo abituati.
Mentre ieri il telefono ed il fax erano i principali strumenti di lavoro, in tempi recenti la e-mail ha completamente soppiantato questi arcaici e onerosi strumenti di comunicazione. Oggi, con l’avvento dell’Instant Messaging (la chat) siamo arrivati ad un livello di comunicazione impensabile
pochi anni fa. E’ possibile parlare con chiunque nel mondo anche per chiedere solo poche cose con il solo costo della connettività alla Rete (con la R maiuscola), Internet. La frontiera della comunicazione si è ulteriormente infranta con l’avvento del VoIP che ha consentito alle persone di comunicare a voce. Infatti, se c’è un punto a sfavore delle e-mail o della Chat e che non si possono interpretare i segnali verbali non espliciti come il tono e l’intonazione della voce, che danno un senso alla discussione. E’ facile quindi fraintendersi ed equivocare quanto scritto. Per questo motivo sono nate le “emoticons” o faccine.. con il VoIP invece è stato possibile comunicare a voce e quindi più velocemente e a scanso equivoci.


L’Enterprise Instant Messanging viene indicato come una tecnologia matura che si sta affermando nelle aziende. A scapito delle posta elettronica?

Più che a scapito direi a corredo. Facciamo un esempio. Se ti devo chiedere una cosa del tipo “ci sei domani alle 14:00 che passo a trovarti”, il tempo in cui avrò la risposta è molto elevato, da pochi minuti a giorni. Devo infatti scrivere la e-mail, aspettare che ti arrivi (ed i tempi non sono
predicibili perché potrebbero esserci intoppi sul mio mail server o sul tuo di cui non sapremo niente), poi tu la devi leggere, ed io non so se sei al PC in quel momento e devo aspettare una tua risposta. Con l’Instant Messaging invece io vedo subito se sei al PC o meno (si chiama presence e mi indica chi è on-line al momento) e quindi posso scrivere il mio messaggio ed aspettarmi una risposta pressoché immediata. Ma se invece ti devo mandare un resoconto su una attività comune, magari con qualche documento allegato, l’instant messaging non va bene. Pensa anche solo agli acquisti on-line oggi sempre più diffusi… con l’IM non potrei avere le ricevuta, mentre con la email posso tranquillamente ricevere le mie informazioni utili anche per una eventuale contestazione.


Un’altro “attacco” che subisce la posta è quello dello spamming, non rischia di far sembrare appunto la posta meno affidabile di sistemi come gli IM?

Anche per l’IM ci sono una serie di problematiche relative alla privacy… se lasci il tuo account libero di essere contattato da chiunque, per esempio, potresti ricevere messaggi dalle persone più disparate in cerca di compagnia.. per non dire di peggio :-)
Vedrai che non passerà molto tempo prima che inizino a mandarti messaggi equiparabili allo spam. La e-mail SPAM in realtà ha una sua natura ben definita e per questo intercettabile con un livello di sicurezza molto elevato ad oggi. Non per niente esistono moltissime aziende che hanno fatto dell’AntiSpamming il loro core business. Parlando di spam, comunque, mi piacerebbe portare alla tua attenzione che, se ieri il problema era bloccare lo spam, oggi invece lo sforzo si sposta sull’evitare che tutte le mail entrino nella rete dell’azienda colpita, per evitare che una mole eccessiva (si parla del 90% delle e-mail ricevute) impegni le risorse di rete o i server creando disservizi. Sono nati così appliance (sistemi integrati Hardware/Software) che lasciano questo tipo di e-mail fuori dalla rete. Un esempio? Gli appliances di F5 (www.f5.com)


La nostra posta contiene spesso anche molta della conoscenza aziendale, e non è solo un problema di storaging dell’informazione quanto anche di organizzazione e ricerca. A che punto siamo? Quali strumenti?

Google (e tutti sappiamo di cosa parlo) ha realizzato degli appliances per portare il proprio algoritmo di ricerca alla portata di tutti. Sono estremamente costosi e per questo non ancora diffusi, ma è il primo passo. Esistono anche software per fare questo (un esempio? Beagle http://beagleproject.org/Main_Page), ma poi entra in gioco il problema della privacy… e la mole di mail sale esponenzialmente di giorno in giorno e di conseguenza la mole dei dati da indicizzare sale enormemente, rendendo piccoli i dischi e lente le macchine. In alternativa ci sono sistemi proprietari come IBM Lotus Notes che integrano nel client uno strumento di ricerca per l’utente che indicizza mail ed allegati, evitando così le problematiche di privacy di una indicizzazione a livello company. Ci stiamo muovendo insomma… e dato che l’informatica ha dei tempi rapidissimi di evoluzione chissà se per la prossima intervista non sia già tutto disponibile sul mercato.


A bruciapelo.... cosa dice la vostra inchiesta: Open source o Prodotto Commerciale?

Non mi bruciare la barba che ci tengo… La nostra inchiesta dice assolutamente “prodotti commerciali”, ma lo dice per ignoranza e la crescita dell’Open Source è già buona. Ci sarà un momento in cui l’OS sorpasserà il Prodotto commerciale. Quello che serve è sintetizzabile in 2 parole: conoscenza e consulenza.
Conoscenza per consentire a tutti di sapere che esistono alternative affidabili ed economiche
Consulenza per aiutare chi vuole cambiare a fare “il grande passo”. E dare quel minimo di rassicurazione che oggi i prodotti commerciali hanno nel nome.


about Filippo Dini:

Sono prossimo ai 40 anni, ha passato 12 anni in una banca a Firenze ad occuparmi di software prima e di sistemi dopo fino a che non ho scoperto che il mondo è molto più vasto, variopinto ed interessante di quello chiuso e conservativo di una banca. Da allora ho girato, all’inizio a Firenze
per 4 anni e poi facendo tappa a Milano dove ho trascorso 18 bellissimi mesi ed infine a Roma, dove sono da 3 anni. Rimango un Fiorentino nell’anima e torno nella mia piccola (rispetto alle due citate), provinciale e caotica Firenze ogni fine settimana per ricongiungermi con i miei due meravigliosi figli e mia moglie.
Troppo breve? Ok, allora dirò anche che sono un motociclista perso e che soffro gli inverni in cui la moto deve restarsene chiusa in garage

Tuesday, October 23, 2007

Banche, Aziende e web 2.0 visti da Gianni Soreca, Consulting Director di IDC

Gianni Soreca è Consulting Director in IDC, osservatorio privilegiato sul mondo delle tecnologie.
Prima di arrivare in IDC nel 2000 è stato in EDS Italia e successivamente in Gartner


Dopo l’euforia del 1999-2000 il web torna alle origini, o meglio si consolida il suo uso essenzialmente quale medium di comunicazione. Lo scopo per cui era nato. Non corriamo il rischio che il web 2.0 si riveli un nuovo fenomeno mediatico, una nuova bolla?

- Il Web 2.0 è una condizione corrente della rete, la componente di "hype" è stata creata su aspettative "commerciali" così come era successo per la "vecchia" Internet nel 1996 e per i tre, quattro anni successivi. Il Web è sempre stato (e non è mai cambiato…al di là dei racconti..) un mezzo di comunicazione (molto potente e complesso), la differenza attuale è che le informazioni, oltre ad essere "digerite" passivamente dagli utenti, sono prodotte dagli stessi utilizzatori. E' il concetto stesso di informazione che è mutato, lo sono quindi video, foto, testi, mashup ed ogni altro modo di combinare qualcosa che abbia "sensorialmente" una sua validità. Sulla qualità del contenuto autoprodotto, poi, è la rete stessa, in quanto ormai sociale e biunivocamente attiva, a sottoporre ogni pezzetto di informazione ad un vaglio caustico e non istituzionale. Se ci si aspetta, però, che qualunque cosa con la targhetta "2.0" produca automaticamente denaro, standing commerciale, un'immagine più moderna e altre amenità, allora più che di bolla si dovrebbe parlare di brusco risveglio per alcuni.



Siamo comunque portati a valutare i fenomeni analizzando i casi più eclatanti, i social network da Myspace a Facebook, quelli che vengono acquistati/venduti a cifre da capogiro, o il caso domestico del blog di Grillo. Eppure credo la rivoluzione più importante e silenziosa si può compiere nelle aziende, soprattutto medie e grandi, utilizzando tool collaborativi per efficentare il lavoro di gruppi distribuiti.
Grandi numeri, utenti e/o informazioni, richiedono una capacità organizzativa sofisticata per evitare il rischio di disperdere informazione preziosa. Come si collocano la business intelligence e il knowledge management all’interno di progetti 2.0?

- Sono più che altro i concetti stessi di organizzazione e gestione della conoscenza che possono fungere da architrave per la creazione di dinamiche d'interazione "a la Web 2.0". Che, sottolineo ancora una volta, non è assolutamente una tecnologia o un'architettura tecnologica, ma un approccio concettuale, una "filosofia" d'interazione tra parti. Far entrare in un'azienda il concetto di "rete sociale" significa essere disposti, in termini di management, a lasciare per strada il "controllo" dell'organizzazione e, invece, assumerne l'osservazione, stiamo parlando di assumere diversi standing tattico-strategici, non semplicemente di attaccare una targhetta ai comunicati di marketing. Lanciare un blog, un wiki, creare gruppi di lavoro distribuiti (già questo un bel target..) che lavorano in "rete" e non a "filiera" permette la definizione di informazioni e cluster di informazioni (primitive, analisi, giudizi, modificazioni..) che possono solo uscire da interazioni "libere" da vincoli e che, se supportati da un'analitica che ne definisce gli ambiti d'applicazione, allora è ancora possibile inserire il "2.0" come un'evoluzione all'interno dell'azienda e non come un disturbo "dettato dalle mode" e fine a sé stesso.



Veniamo alle Banche, il principale investitore IT in Italia. Ho l’impressione che a parte di un pò di tecnologia pura, un pò di AJAX e un pò si SOA, il fenomeno del web 2.0 non sia stato recepito. Hai anche tu questa impressione? Da cosa dipende? Colpa dei megaprocessi di fusione in corso?

- Credo che la mancanza di adozione del 2.0 (ma ancora, non si tratta di tecnologie da comprare!!!) sia essenzialmente legato al "cui prodest".. non è certo vero che tutti i possibili settori economici e sociali d'improvviso debbano adottare tattiche di social networking per sopravvivere o che sia mandatario avere un blog aziendale per essere presi in considerazione.. le banche ancora devono offrire un servizio che ha dei confini di valore ben determinati, rimane il fatto che essere vicini al modo di agire ed interagire della clientela può aprire possibilità di revisione del modo di operare interessanti per il futuro, anche perché mentre si discute se fare o non fare, i nostri clienti possibilmente si informano e discutono su di noi in maniera "sociale". Tuttavia non va dimenticato che ad oggi molto di quanto è definibile "2.0" è spesso ad appannaggio di segmenti di "clientela" ben particolari (ad oggi ed in Italia).. e questo suggerisce come, in fondo, prima si dovrebbero conoscere con precisione le "tribù" di clienti che si controlla e poi, successivamente, se queste sono profittevoli ed ingaggiabili con risorse e comunicazioni diverse dall'ortodosso.



Anche i grandi protagonisti del social networking comunque non sembrano poi in effetti puntare un granchè sulle tecnologie, è più importante l’aspetto sociale o quello tecnologico?

- Mi pare ovvio che sia quello sociale il predominante, visto che senza la socializzazione tra individui non esisterebbe neanche il Web 2.0, ed i grandi contratti / acquisizioni di cui sopra sono fatti essenzialmente per acquisire milioni di potenziali clienti (o eyeballs..), non certo e non solo impianti tecnologici.



Dove vedi un migliore utilizzo per le banche di queste tecnologie/metodologie? Rivolte alla clientela o alla struttura interna?

- Credo dipenda dalla volontà dell'istituto di mutare (più o meno) radicalmente rotta rispetto al presente. Non scordiamo una cosa: aprire al 2.0 significa dare più "potenza" alle idee e alle voci dei dipendenti e/o dei clienti.. e a fronte di una richiesta, critica o proposta socialmente rilevante (leggi: sollevata da una massa rilevante di clienti / individui) si deve rispondere con un'azione coerentemente concertata, e diciamo che il rischio è che il Re si trovi poi nudo di fronte ad una platea più grande e con la vista migliore di quanto ci si potesse aspettare.

Monday, October 22, 2007

Firma contro la legge Levi Prodi sui Blog

Mentre anche i più prestigiosi giornali di tutto il modo dedicano spazi e commenti positivi al fenomeno del blogging (vedi la copertina dell’anno di Time 2006 per esempio), in Italia i nostri amati politici, sempre cosi vicini e sensibili ai nuovi fermenti culturali, hanno deciso di “depotenziare” il fenomeno.

Forse Grillo fa paura e così si spara nel mucchio....

Non amo tantissimo Grillo, per i toni che usa e per qualche battaglia che non condivido, ma devo riconoscere che si è fatto portavoce di tanto malessere reale e conduce molte belle battaglie. Ma se anche dicesse cose che non mi piacciono affatto è sempre un bene che ci sia piuttosto che non avere qualcuno che tiene alta la guardia... l’alternativa è l’isola dei famosi..

Io (come tanti...), stupido fanatico, credo ancora alla pluralità di informazione come ad un valore per tutti.

Nel merito, il Governo ha deciso di rendere difficoltoso l’uso dei blog nella maniera più classica per l’Italia, ovvero usando lo sperimentato approccio delle pastoie burocratiche per scoraggiare gli uomini di buona volontà. Un registro a cui bisogna iscrivere ogni blog con tanto di tassa... e poi adempimenti di ogni genere... (qualcuno è già stato molto preciso nel descrivere, leggi qui maggiori dettagli). Il tutto nella maniera più classica della politica italiana:

1. un provvedimento del CDM preso in pieno a agosto (tutti al mare... tutti al mare...)
2. un provvedimento su cui non si è detto praticamente nulla in giro (Sssssssh....)

Il problema è semiserio credo.... ....credo che quello che più impressioni sia l’incapacità manifestata anche in questa occasione....

Se veramente fosse stato necessario fare qualcosa del genere, possibile che non ci fosse un modo migliore???

Non sono un esperto di legge e o di comunicazione ma veramente qualcuno poteva immaginare che:
1. la cosa continuasse a passare sotto silenzio? Con il modo tumultuoso che ha la rete di diffondere le notizie?
2. che seppure approvata questa legge non sarebbe fin troppo semplice aggirarla? Un qualunque sito neozelandese avrebbe consentito di pubblicare senza le restrizioni italiane.. che fanno poi l’oscurano??? Roba cinese.... Oppure se tutti la ignorano cosa fanno? mettono su un reggimento di finanzieri che ci costa più di quanto raccolgono?

Mi chiedo poi: "ma che figura ci fanno tutti quei ministri che hanno un proprio blog?" L’hanno creato per parlare ad un certo segmento di elettori e poi se li mettono contro??

Il vero problema non è quindi che qualcuno abbia pensato una cosa del genere per restringere le nostre libertà (a questo ci siamo abituati... beh non vuol dire che l’accettiamo...) ma qualcuno (che ci governa) abbia pensato di farlo in maniera cosi banale. Sconfortante....

Qualcuno per fortuna l’ha gia capito, come Gentiloni, (leggi le dichiarazioni ad Asca) ma bisogna fare molta attenzione che non siano dichiarazioni di facciata...

In ogni caso anche i più incompetenti posso arrivare a dei risultati e quindi non molliamo di un centimetro.... mi raccomando non distraiamoci neppure a ferragosto....

Friday, October 19, 2007

Gartner da i numeri.... per il 2007.. :-)

Scusatemi il gioco di parole del titolo... un pò di ironia non guasta... ovviamente i numeri di Gartner sono sempre interessanti.

Dunque Gartner ha pubblicato le sue analisi sulle aspettative per il 2008, per quello che concerne le tecnologie. Le tecnologie Top sono quelle che si ci aspetta, ma certamente quando si tratta di enumerare le tecnologie maggiormente diffuse è difficile (e controproducente) essere originali.

Si parla quindi di Business Process Management (3), di virtualizzazione (5), di servizi web/web 2.0 (7), la mai tramontata esigenza delle gestione di dati complessi o metadati (4).

A parte, ma sempre collegati al web 2.0, il mash-up (7), il real world web (9) ovvero la capacità di rimanere agganciato alle informazioni nel momento in cui stesso vengono prodotte, il social software (10) ovvero wiki, blog e podcast.

La cosa più interessante è che al primo posto c’è quello che definiscono la Green.it, ovvero un’approccio alla responsabilità sociale tesa al controllo, soprattutto, dei consumi energetici. Non ho elementi ne per confutare, ne per confermare questa tendenza, ma la tribuna da cui ci perviene l’informazione è talmente autorevole che non ho ragione per dubitarne.

La mia sensazione personale è che sia un trend (reale o comunicazione?) realmente in crescita, cui sono estremamente interessato, essendo stato nella mia azienda, tra i promotori di progetti di social responsibility.
Ho il dubbio però che questo approccio riguardi soprattutto le grandi aziende, probabilmente in relazione alla presenza di divisioni marketing strutturati e budget dedicati.

Insomma più un’operazione di comunicazione che una reale sensibilità. In ogni caso questa visione sembra mancare (tranne qualche eccezione) nelle aziende medio-piccole, in cui l’attività marketing è più artigianale e c’è meno propensione all’investimento.

Comunque a questo proposito spero a breve di pubblicare uno scambio di opinioni con Riccardo Taverna, esperto di comunicazione di lungo corso, che da sempre fa della responsabilità sociale uno dei suoi cavalli di battaglia, e nel suo caso posso testimoniare che il suo (tra l’altro) è un interesse sincero e reale.
In ogni caso, un pò cinicamente, anche se le motivazioni principali sono migliorare la propria comunicazione ritengo sia un fenomeno positivo. Non importano le aspettative personali quanto i risultati collettivi.

Cito infine che al secondo posto troviamo le Unified Communications, spinte dalla convergenza dei canali di comunicazione... in questo caso penso, con un sorriso, che forse, su questo punto, è un pò paradossale chenel 2007 siamo ancora un pò indietro.

Più interessante e sofisticata è la proiezione sul lungo periodo contenuta nell’Hype Cycle 2007, rappresentata sulla consueta curva che descrive le fasi (sempre secondo Gartner) di una tecnologia: nascita, esplosione, disincanto, ottimizzazione ed affermazione.

Sono indicate nella fase di definitiva maturazione la SOA, gli instant messanger aziendali ed il web 2.0.
l’IM enterprise viene in particolare indicato come “maturo” e, nella mia epidermica e personale esperienza, mi sento di confermare questa affermazione. Si è passati dalla generale avversione verso questi sistemi da parte di IT manager e responsabili della sicurezza ad una accettazione di fatto. Inizialmente infatti gli IM erano assimilati al concetto del “chattare” e quindi considerati perdita di tempo.
L’uso diffuso, ma anche la crescita in termini di responsabilità di professionisti più giovani cresciuti con il paradigma del web, ha fatto si questa erronea valutazione fosse superata dalla prassi.
Probabilmente quello che ancora deve maturare è la consapevolezza nel considerare effettivamente l’IM come uno strumento dell’azienda, e quindi controllato e gestito dall’azienda, fatto crescere in relazione alle esigenze della azienda stessa.

D’altra parte, ricordo ancora bene un manager che, concettualmente, ma non anagraficamente, vecchio, aveva (e probabilmente ha..) un rapporto antagonista con la mail, assimilando ancora lo scambio di mail sempre ad una comunicazione “ufficiale”.... quasi stesse ancora usando le Regie Poste Borboniche.
Questi atteggiamenti mi fanno sempre pensare che la vera forza delle aziende provenga dal basso e dalla capacità, dall’alto, di non reprimere le pulsazioni più interessanti... (uhmm... ahimé non succede spesso..)

Tornando a Gartner, la maturazione di altre tecnologie, come social network ed enterprise RSS, viene vista ancora un passo indietro, con una prospettiva temporale di circa 2-5 anni, mentre viene indicato in 10 l’arco di osservazione per la collective intelligence ed addirittura superiore per il semantic web.

Thursday, October 18, 2007

Web 2.0 ... solo uno slogan?? discussione con Miki Fossati

Uno dei miei obiettivi era (ed è) quello di innescare una discussione tra persone con competenze diverse, che vedono la nuova dimensione che sta assumendo il web da prospettive diverse.
Un primo risultato è la mail che mi ha inviato Miki Fossati... “padre” di uno dei primi motori semantici (funzionanti) realizzato in Italia, e sicuramente osservatore da più lunga data e più attento di me a questi fermenti.

La mail è così interessante che avrei voluto pubblicarla integralmente, ma Miki l’ha pubblicata e quindi penso sia giusto lasciarvi alla lettura dell’ “originale” sul suo blog Mezzomondo

Ne approfitto però per aprire la discussione citando qualche suo brano... il suo primo appunto riguarda me (ahimè....)

“Ti farei un appunto sull'enfasi che viene data a quel '2.0' perché ovviamente il web 2.0 non esiste, di questo dovresti essere consapevole. Però a rifletterci se la presenza di '2.0' può allontanare quelli come me, la sua assenza potrebbe lasciare disinteressati quelli che come me non sono, che sono molti di più”

Miki ha ragione, ma sa che vengo da una esperienza commerciale e quindi la mia tendenza (naturale talvolta, studiata altre) è quella di utilizzare delle keywords, per attirare l’attenzione di mi dedica poco tempo o, magari, è a conoscenza di alcune tematiche solo marginalmente.

La sua riflessione su chi invece conosce bene ciò di cui parliamo, e che potrebbe vedere con diffidenza questa discussione, mi fa riflettere, perché in nessuna maniera vorrei perdere proprio il contributo di chi è più esperto. Sarebbe un fallimento. Spero che qualche commento mi aiuti a “raddrizzare” il tono.

Diciamo che occorre trovare il giusto compromesso per coinvolgere chi vive realmente il problema dell’informazione libera in rete da tempo e chi si è avvicinato più recentemente alla discussione.

Il secondo appunto è quello ai media tradizionali, che vi invito a leggere per intero nel suo post.

Condivido la sua opinione e devo dire che, come riconosce Miki, l’affermazione "I giornalisti controllano molte volte prima di scrivere" vale soprattutto per Alessandro che è giornalista coscenzioso... purtroppo non sembra valere per larga parte dell’informazione non indipendente (come quella che fa Robecchi) ma “eterodiretta”.

Chiaramente bisogna riconoscere un minimo di “faziosità” a chi scrive, perchè gli articoli sono comunque il risultato di come si analizzano le informazioni in relazione alla propria storia personale e alle proprie convinzioni. Io stesso cerco di essere quanto più obiettivo possibile nella mia faziosità.

Probabilmente il problema è che in realtà la maggior parte dei giornalisti controlla veramente a fondo ciò che scrive e le fonti.... è quello che scrivono e come lo scrivono che spesso risponde più ad obiettivi non dichiarati che all’esigenza di informare.

Una banale omissione per esempio può essere più significativa di una colossale bufala.

Thursday, October 11, 2007

Il Blog di Alessandro Robecchi, il web 2.0 visto da un giornalista

Alessandro Robecchi è giornalista, scrittore ed autore televisivo, ha una reputazione da difendere eppure è stato cosi gentile da essere il primo ad accettare di conversare con me in questo spazio. Lo ringrazio per questa sua fiducia...

Per i pochi che non lo conoscono wikipedia ospita un suo breve profilo (wikipedia.org/wiki/Alessandro_Robecchi) oppure la sua produzione (e profilo) è raccolta nel suo blog www.alessandrorobecchi.it

Alessandro, sei un giornalista, scrittore e autore televisivo... io invece mi occupo di tecnologia per una azienda che sviluppa software e la mia attività è prevalentemente commerciale... però in questo caso sono io a sollecitarti una ”intervista” (si fa per dire... nessuna pretesa da parte mia...). Non lo trovi per lo meno un pò contorto? E’ questo il web 2.0???

Beh, non troppo contorto. Io faccio il giornalista, ma non credo che i giornalisti debbano avere il monopolio del far domande…

Alcune rilevazioni dicono però che la percentuale di chi contribuisce “uploadando” contenuti nei siti di social networking è bassissima rispetto al totale dei visitatori, 0,16% per YouTube il 0,20% per Flickr... sembrerebbe un bluff, nella realtà il web non si differenzia dal modello televisivo dove la fruizione è essenzialmente passiva. Si allarga solo il palinsesto...

Credo che la differenza sostanziale sia la possibilità, non l’effettiva quantità degli upload. Cioè: il sistema permette di intervenire, volendo, di aggiungere e di aumentare la massa delle informazioni. Già questo – pure se uno non "uploada" niente – cambia la prospettiva. Un sistema aperto è meglio di un sistema chiuso anche se ci entrano in pochi. Credo.


Una delle motivazioni addotte per spiegare il grande successo del web, come medium di comunicazione, è che ognuno può pubblicare ciò che vuole e che questa libertà garantisce maggiormente la veridicità dell’informazione, perchè non viene da una fonte “istituzionale”, con interessi alle spalle, e perchè il trust degli utenti smascherebbe comunque eventuali falsi. Questo mi sembra certamente vero in una fase di pre-espansione, ma poi ho paura che questa arena sarà occupata da webpredicatori, o inquinata ad arte per minarne la credibilità. Corriamo questo rischio? Qualcuno ucciderà il social networking?

Quello che tu vedi come un difetto, o come un rischio mi sembra invece una conferma: l’utente non può restare passivo. Se trovo una notizia sul sito di Pincopallino, la sua credibilità è un po’ diversa che se la trovo sul sito della France Presse. Questo fa in modo che quando trovo la notizia, vado a cercare altre fonti, affino la mia ricerca e valuto conferme o smentite, o diverse versioni. In realtà credo che la struttura dinamica sia ancora un po’ oscura alla grande massa degli utenti. Spesso si considera un’informazione come conclusa in se stessa, ma non è mai così: ogni informazione contiene elementi per cercare meglio e precisare quell’informazione. In questo modo il processo di informazione si fa collettivo (gli utenti controllano), ma anche stratificato (ogni utente può controllare più fonti). Spesso si parla del fatto che la grande quantità di informazione finisca per annullare l’informazione, ma questo è vero solo per un uso distratto e superficiale. I giornalisti controllano molte volte prima di scrivere… perché questo non dovrebbe farlo (imparare a farlo) anche l’utente normale in fase di ricerca? E’ possibile che qualcuno ucciderà il social networking, ma certamente lo farà qualcuno per cui la parola scomoda non è networking, ma social…


Non vorrei sembrarti un pessimista, ma, quando osservo cose che mi piacciono, cerco prima di capire se c’è qualcosa che non va. Dietro i giganti del social networking ci sono Murdoch, Google, Yahoo oppure dietro alcune iniziative di giornalismo sociale comunque dei giornalisti famosi. Forse già oggi l’informazione del web non è poi cosi libera...

Il problema è che molto spesso si tende a considerare l’informazione come un non-lavoro, o se preferisci come un lavoro che non necessita di professionalità. Sapere una cosa non basta quasi mai. Bisogna dimostrarla, controllarla, cercare altre fonti. E’ un lavoro che costa, ed è per questo che i grandi editori sono così forti, perché possono muovere risorse anche enormi per affinare il servizio. Per quanto riguarda i giornalisti famosi… direi che torniamo al problema della credibilità: c’è chi si è fatto un suo nome, ha un suo pubblico e tutto l’interesse a difendere la propria credibilità. Posso prendere l’informazione da uno qualsiasi, da un professionista o da un mitomane, e tendo a supporre che chi ha già un nome sul mercato dell’informazione non metterà in rete cose false. Anche qui, però, il discorso è generale, le eccezioni possono essere numerose. Ma se so che il tizio scrive su un importante quotidiano, che ha pubblicato dei libri sensati, che ha una schiera di lettori che lo apprezzano, beh, tendo a fidarmi di più. Soprattutto perché quando le notizie sono scritte bene indicano anche la fonte o almeno danno qualche elemento per cercare riscontri. Se io leggo una frase… “come scrivono i giornali inglesi…” può venirmi qualche dubbio. Se si dice “come ha scritto il Guardian il giorno tale”, mi si offre la possibilità di controllare. Sarebbe ora di dire che fare informazione non è così facile, rilassante e riposante come si vuol far credere


tu sei uno scrittore di satira... talvolta cattiva, come deve essere la satira, da qualche tempo hai aperto un tuo blog, www.alessandrorobecchi.it, cosa ti aspettavi e cosa ne pensi oggi? Grillo addirittura da un blog oggi lancia un partito travestito da “bollino blu”....

Sinceramente il mio è un blog sui generis: non è una tribuna aperta, io pubblico quello che già esce sui giornali, in questo caso è una specie di archivio commentabile e consultabile, anche se ogni tanto qualche pezzo satirico soltanto per il sito lo pubblico. Dunque non è che mi aspettassi chissà che. Le motivazioni erano essenzialmente due: raccogliere un lavoro un po’ dispersivo (un quotidiano, vari periodici, varie trasmissioni tv) in un corpo unico, rispondendo così alla “domanda” di “pubblici” diversi, e magari unendoli in un unico “pubblico”. L’altra motivazione è stata di tipo difensivo. Mi sono trovato ad avere 70.000 citazioni con il mio nome su Google e mi sono un po’ spaventato: molti ti citano male, ti travisano, pubblicano stralci senza dire il contesto… insomma, non mi andava di essere citato così casualmente, anche se la maggior parte lo fa in buonafede, oppure trovare biografie un po’ fantasiose, o vedermi tra gli autori di cose che non ho mai fatto… il mio sito è nato anche come un’assicurazione su queste cose, diciamo che in mezzo a tutte quelle citazioni un po’ “anarchiche” ho voluto mettere anche una specie di riferimento ufficiale. Chi vuole sapere chi sono e cosa scrivo può cercare ovunque, io posso solo garantire che quel che trova sul mio sito è l’originale… Quanto a Grillo, è un discorso complesso, l’antipolitica è una forma della politica che mi lascia freddino. Che si possa fare tutto ciò partendo da un blog non mi stupisce e non mi scandalizza… ricordo che “gli esperti” Tony Blair, per dimostrare che Saddam aveva armi di distruzione di massa, copiarono qui e là un po’ di documenti dalla rete… Se con la rete si può dichiarare e combattere una guerra illegale, perché non si può dare i bollini ai partiti?

L’offerta dei social network sta diventando un pò ripetitiva, cosa ti piacerebbe veder nascere da utente del web?

E’ una domanda difficile, perché secondo me le previsioni in materia sono pura follia: la cosa è troppo veloce per prevederla o anche solo immaginarsela. C’è un altro problema… qualunque cosa io possa desiderare dal web sono quasi sicuro che salterebbe su qualcuno a dire… ma c’è già!


Verba volant è la tua striscia quotidiana televisiva sul significato e l’uso delle parole, come cambia il linguaggio del web “sociale”? Gli sms contraggono e stravolgono l’uso del linguaggio, ed il web migliorerà o peggiorerà l’utilizzo dell’italiano? In fondo potrebbe essere un nuovo stimolo a scrivere...

Delle settemila lingue “vive” che esistono nel mondo, ne scompaiono varie centinaia all’anno… si sta riducendo ovunque la biodiversità del linguaggio e tra un secolo tutto il pianeta parlerà due o tre lingue al massimo, questo pare certo. Per il resto, io credo che sia fatale: il telefono ha cambiato il modo di parlare, la radio ha cambiato il modo di dire le cose, la tivù pure, gli sms anche. Word mi dà una possibilità di intervenire sulla struttura di quello che scrivo più di una macchina da scrivere, che a sua volta era migliore di una tavoletta di cera… la lingua si evolve, cambia, si strizza e si modifica, io non me ne scandalizzo perché so che è inevitabile. Se uno lo vede dal punto di vista filologico, o da accademia della Crusca, certo, il nostro italiano peggiorerà, ed è già molto peggiorato con la tv. Pure, ci sono degli anticorpi: la gente scrive di più, butta giù due righe, articola concetti e sceglie delle parole… chi lo fa impara a distinguere se una cosa è scritta bene o male, cioè lo spero. In ogni caso è bene che chi scrive sappia scrivere, perché se una cosa è scritta, o detta, male, perde molto del suo valore e della sua credibilità…


Ho in sottofondo la canzone di ligabue per questa chiacchierata... “ho tre domande per te, chi prende l’inter...” ma per questa prima domanda aspetterò un’ occasione più seria... grazie.

Thursday, October 4, 2007

Conversazione con Robecchi: la prossima settimana

Come nelle migliori aziende e nei migliori progetti il mio piano di pubblicare oggi la prima intervista (uhmmm... un pò troppo pretenzioso.... diciamo conversazione....) ha subito già il primo rinvio... il piano è saltato ma naturalmente non per colpa dell'intervistato, che è stato rapidissimo quanto gentile nel rispondermi, quanto a causa dell'intervistatore... cioè io...


Avrò un buco di qualche giorno e quindi se ne parla prossima settimana. Ne approfitto per creare l'effetto suspence nei molti lettori (2...) del mio blog. Ho chiesto ad Alessandro Robecchi di commentare l'esordio del suo Blog (www.alessandrorobecchi.it) e cosa l'ha spinto a pubblicarlo.

Ringrazio ovviamente Alessandro per l'amichevole collaborazione e soprattutto per non avere commentato male le mie domande. In effetti mi chiedo cosa cavolo mi ha spinto, come primo impegno, ad intervistare proprio un giornalista, scrittore ed autore televisivo. Ho sfatato però un luogo comune e dimostrato che anche le persone famose hanno un cuore, infatti Alessandro non mi ha detto nulla di offensivo e gentilmente ha risposto alle mie domande. Gli prometto che mi impegnerò a migliorare!!

Grazie !!

Tuesday, October 2, 2007

un'altro blog sul web 2.0!!!

basta non ne possiamo più!!!!

sembra che per parlare di web oggi bisogna aggiungere sempre 2.0....

lo so, questi potrebbero essere alcuni dei vostri commenti, ma siamo comunque in una fase di transizione, in cui molte cose sono in divenire, e per questo credo che sia interessante un posto (questo!!) in cui raccogliere esperienze e testimonianze di come si sta vivendo questa nuova fase del web

sotto vari punti di vista, da utenti, diciamo... "normali", a utenti che pensano al web a fini di business...

naturalmente, poichè la mia esperienza lavorativa si è consumata essenzialmente nel mondo delle banche, è chiaro che molti dei miei ospiti verranno da questo mondo ma spero di potervi offrire anche altri punti di vista.

le persone che mi hanno dato la loro adesione, fino ad ora, lo fanno a titolo di amicizia e li ringrazio per questo, ma spero che qualcuno di voi voglia intervenire, non solo con brevi commenti, ma anche con pezzi più lunghi ed impegnativi.

in attesa di organizzarmi meglio, vi prego di inviarmeli ed io, salvo i miei impegni e dopo una breve verifica cercherò di pubblicarli. in ogni caso vi ringrazio.

blog@carlobruno.net