A contare gli anni non sembra essere possibile... come 22 anni fa non esisteva il web?
Per essere esatti esisteva già ma molto era ancora nella mente di una persona Tim Berners Lee, lui stesso però ci tiene a sottolineare come in realtà quello che lui fece pubblicamente quel 6 agosto del 1991 l'aveva già realizzato all'interno della sua rete di studiosi.
Ma cosa fece questo cinquantenne britannico di tanto sensazionale?
Pubblicò il primo sito in rete!
Tim Berners Lee è un Sir della Corona Inglese, ha avuto il privilegio di inaugurare gli ultimi Giochi Olimpici di Londra eppure il suo nome ai più dice troppo poco.
Se chiediamo in giro chi è Bill Gates ci diranno un genio dell'informatica e forse ancor di più se chiediamo dell'ormai mitico Steve Jobs. Eppure la fama di questi due manager, fondamentali (nel bene o nel male) nell'evoluzione della tecnologia dovrebbe risultare oscurata da ciò che questo signore (lui si un vero "visionario") ha immaginato nel tempo.
World Wide Web, HTML e W3C sono stati partoriti con il contributo fondamentale di Berners Lee, ovvero tutto quello che oggi è alla base dell'attuale rivoluzione digitale.
Lodlive il browser di Linked Open Data ricorda quella data con una slide e con l'enorme ragnatela di relazioni che da il peso di quanto accaduto.
Al di la della straordinarietà di quanto realizzato da TBL la vera essenza del suo lavoro è nell'approccio antitetico con cui Berners Lee si è posto difronte alle proprie innovazioni. Le ha condivise.
Non è certamente un uomo povero Tim ma ha anche rinunciato, in larga parte, a capitalizzare al massimo, e solo per se, il frutto del proprio lavoro. I colossi dell'informatica hanno vissuto sempre nella costruzione di un impero basato sul concetto di difesa della proprietà (la loro ovviamente) e sul protezionismo, spesso abusando della propria posizione dominante. Tim ha lavorato per condividere.
Oggi TBL si sta impegnando a fondo nella diffusione proprio dei linked open data, ancora una volta fa da avanguardia nella conquista della piena e vera condivisione della conoscenza.
Tuesday, August 6, 2013
Tuesday, May 7, 2013
Sabato 11 maggio sarà presentato il film documentario “Ritorno a Battipaglia, la città nuova”, che ho realizzato negli scorsi mesi insieme all’amico Guglielmo Francese (www.ritornoabattipaglia.it).
Battipaglia, il cui nome evoca ai più l’idea della famosa mozzarella di bufala, è una città strana, in realtà ha una storia molto particolare. E’ al centro della piana del Sele, una terra fino all’ 800 quasi interamente paludosa e infestata dalla malaria. I Borboni ne avviarono la bonifica ed il territorio, mano a mano che veniva recuperato alle coltivazioni, diventava appetibile per le popolazioni delle regioni circostanti che vi si indirizzarono quasi come i pionieri americani verso il “West”.
Prima di essere travolti dall’onda garibaldina i Borboni avviarono proprio a Battipaglia uno dei primi (forse il primo?) progetto di edilizia popolare per i terremotati del 1857. Battipaglia divenne comune solo nel 1929, in ossequio alla politica di ruralizzazione del regime fascista. Le singolarità nella breve vita della città non finiscono qui però, nel 1943 è protagonista dello sbarco alleato, secondo solo a quello dell’anno successivo in Normandia. Lo sbarco di Salerno ha il suo punto centrale proprio nel litorale battipagliese e la città è il principale campo di battaglia degli eserciti contrapposti. Infine Battipaglia torna alla ribalta nazionale quando nel 1969 la polizia spara e uccide due innocenti, la città si rivolta e scaccia per un giorno intero le forze dell’ordine dalla città.
Il titolo del documentario è la citazione di un omonimo documentario degli anni 70, ora negli archivi AAMOD, realizzato a seguito dei gravi fatti del 9 aprile 1969 in cui morirono Carmine Citro e Teresa Ricciardi.
Il documentario che verrà presentato è solo una parte di un progetto culturale più ampio che prevede il consolidamento del patrimonio documentale e fotografico riguardante Battipaglia in un archivio digitale della memoria di questa città. Abbiamo puntato sulla contaminazione, vista come arricchimento, delle fonti istituzionali con le testimonianze della famiglie che hanno contribuito a costruire la storia della città
L’esperimento che abbiamo tentato è stato di utilizzare il documentario quale stimolo per la raccolta di fotografie, video e documenti provenienti da patrimoni familiari, grazie al coinvolgimento dei singoli cittadini in uno spontaneo meccanismo di raccolta attraverso i social network.
L’esperimento è riuscito ed ha determinato la formazione di un patrimonio di informazioni e documenti che è già in corso di catalogazione con la piattaforma di archiviazione digitale (www.xdams.org) che rimarrà, speriamo incrementandosi, a disposizione della città, un esempio di collaborazione tra pubblico e privato nel settore della cultura.
A questo punto voglio solo raccontare qualche dettaglio sul documentario, arricchito di un piano più narrativo, realizzato grazie alla collaborazione di due interpreti, la bravissima attrice streheleriana Pia Lanciotti e Alessandra Gigli, l’altra bravissima protagonista, che ha eseguito letture tratte da documenti e brani bibliografici.
Mi corre l’obbligo di ricordare però l’aiuto di tanti altri artisti e musicisti: Paolo Aguzzi, Alessandro Capodanno, Paolo Senatore, Vincenzo Zoppi, Massimo Cataffo, Giuseppe Mirra, Antonio Catarozzo, Rita Ferro, la Corale Mutterle, Margherita Amato Galante, Antonio Campanile, Vincenzo Carbone, Erich Janon, Gianluca Poto, Emiliano Martino, Damiano Panico, Cosimo Panico, Marco Panico e naturalmente il maestro Guglielmo Francese.
Wednesday, May 1, 2013
Sto leggendo Milano City Blues...
Massimiliano è un amico ma, fatta la tara della oggettiva dose di partigianeria dovuta all'affetto che nutro nei suoi confronti, anche lui sa che ne avrei parlato bene ad ogni costo, per rispetto dell'intelligenza sua e dei pochi sventurati che transitano da questo blog.
Il libro però è avvincente e piacevole e questo risolve ogni mio problema, per cui posso consigliarlo a tutti coloro i quali amano le letture di qualità. Milano City Blues è un noir e tra le sue pagine si celano riferimenti alle oscure vicende di questo nostro paese, quelle passate e quellle prevedibilmente future. Si perchè questo paese è così ingessato che gli avvenimenti si ripetono, dando concretezza all'eterno ritorno di Nitsche, basta conoscere il passato per capire, con buona approssimazione quello che ci accadrà in futuro.
Conoscere il passato, in particolare quello recente, è il maggior pregio di Massimiliano, nonostante la sua giovane età (rispetto alla mia), il che gli permette di scrivere cose non banali nelle quali si rintracciano i segnali di chi non si arrende. Il libro, non a caso, è uscito il 25 aprile.
Wednesday, March 27, 2013
La democrazia della Rete: riti, prospettive rischi
Il titolo è un po' ambizioso, lo confesso.
La recente evoluzione del quadro politico però mi suggerisce da un po' una riflessione su questa nuova percezione della Rete. Dico "nuova" perchè grazie al successo del Movimento 5 Stelle oggi molti sembrano scoprire la forza di Internet. Prima di cominciare però occorre fare chiarezza: la mia, oggi, è solo una prima riflessione a voce alta.
Non è una riflessione politica, perchè non è questo il fine del mio blog, ma è onesto ammettere, da parte mia, che probabilmente alcune di queste considerazioni sono oggettivamente influenzate dal mio orientamento politico. E' altrettanto sacrosanto da parte mia (che, a differenza dei "Folgorati sulla via di Damasco", seguo entusiasticamente il web dal "secolo scorso") rivendicare il diritto di poter criticare le evidenti distorsioni nell'interpretazione del fenomeno di Internet.
Per non lasciarmi fuorviare cercherò di non entrare nell'analisi di come alcune persone commentano ciò che si può, e ciò che non si può, fare con la rete, perchè altrimenti entrerei nel campo minato della valutazione sulla coerenza delle persone ma cercherò di concentrarmi sulle questioni oggettive.
La Rete è la quinta essenza della Democrazia.
Ovvero attraverso Internet ognuno può dire la sua. Questo è vero ma vale per tutti i mezzi di comunicazione, la differenza è che Internet abbassa i costi che un individuo deve affrontare per "raggiungere" altri individui, ma non impedisce ad alcun altro di "farti a pezzi", con simili bassi costi di impresa.
In TV non posso andare se il proprietario della medesima non vuole mentre su internet posso scrivere ciò che voglio. Soprattutto non mi garantisce di essere ascoltato.
Giusto.
Infatti se poi nessuno legge ciò che scrivo il mio esercizio di libertà democratica è vuoto, come è vano il mio tentativo di andare a parlare in TV. Farsi conoscere in rete è un esercizio costoso e faticoso comunque. Tornando al caso di Grillo si può affermare che certamente il suo è stato un tentativo di comunicare fuori dai canoni tradizionali e quindi "rischioso", ma certamente non è il tentativo velleitario di un singolo, quanto piuttosto un'operazione preordinata gestita da un gruppo di esperti di comunicazione.
Servono i soldi per comunicare sul web
Alternativo quindi ma non "povero". Analogo al progetto che ha portato Belen a diventare una star (anche in meno tempo) con ottimi risultati economici (si guardino le dichiarazioni dei redditi degli interessati), quindi un investimento importante a fronte di un più che adeguato ritorno economico...
Poter parlare liberamente però non garantisce il diritto di essere ascoltato e soprattutto non garantisce di non essere "annientato", come insegna il caso del recente conflitto tra Cyberbunker e Spamhaus. Difficile quindi sopravvivere anche in rete per Don Chisciotte, senza soldi e competenze.
Il Rovescio della Medaglia: esclusione di molti cittadini
L'aspetto più critico è però quello riguardante le persone escluse, quel fenomeno che fino ieri si chiamava digital divide. La rete non può raggiungere tutti e quindi un sistema basato solo sul web taglierebbe fuori tantissimi cittadini. Ignorare questo problema significa ignorare i diritti di questi cittadini.
Il diritto di critica e la deformazione del movimento d'opinione
Inoltre la forza del web è quella di poter mantenere un certo anonimato, ma proprio per questo si presta a mille deformazioni. Se io scrivo un commento ad un certo articolo ad un mio avversario basta presentarsi con quattro o cinque identità differenti per commentare ciò che dico e per dimostrare che ciò che ho scritto è osteggiato dalla maggioranza delle persone.
In definitiva la rete è uno strumento potente per comunicare ciò che si vuole ma risponde, più o meno, a molte delle regole valide per altri media. In primis la capacità di spesa e come secondo aspetto la determinazione e capacità di comunicare, grazie a esperti e costosi consulenti di immagine.
La recente evoluzione del quadro politico però mi suggerisce da un po' una riflessione su questa nuova percezione della Rete. Dico "nuova" perchè grazie al successo del Movimento 5 Stelle oggi molti sembrano scoprire la forza di Internet. Prima di cominciare però occorre fare chiarezza: la mia, oggi, è solo una prima riflessione a voce alta.
Non è una riflessione politica, perchè non è questo il fine del mio blog, ma è onesto ammettere, da parte mia, che probabilmente alcune di queste considerazioni sono oggettivamente influenzate dal mio orientamento politico. E' altrettanto sacrosanto da parte mia (che, a differenza dei "Folgorati sulla via di Damasco", seguo entusiasticamente il web dal "secolo scorso") rivendicare il diritto di poter criticare le evidenti distorsioni nell'interpretazione del fenomeno di Internet.
Per non lasciarmi fuorviare cercherò di non entrare nell'analisi di come alcune persone commentano ciò che si può, e ciò che non si può, fare con la rete, perchè altrimenti entrerei nel campo minato della valutazione sulla coerenza delle persone ma cercherò di concentrarmi sulle questioni oggettive.
La Rete è la quinta essenza della Democrazia.
Ovvero attraverso Internet ognuno può dire la sua. Questo è vero ma vale per tutti i mezzi di comunicazione, la differenza è che Internet abbassa i costi che un individuo deve affrontare per "raggiungere" altri individui, ma non impedisce ad alcun altro di "farti a pezzi", con simili bassi costi di impresa.
In TV non posso andare se il proprietario della medesima non vuole mentre su internet posso scrivere ciò che voglio. Soprattutto non mi garantisce di essere ascoltato.
Giusto.
Infatti se poi nessuno legge ciò che scrivo il mio esercizio di libertà democratica è vuoto, come è vano il mio tentativo di andare a parlare in TV. Farsi conoscere in rete è un esercizio costoso e faticoso comunque. Tornando al caso di Grillo si può affermare che certamente il suo è stato un tentativo di comunicare fuori dai canoni tradizionali e quindi "rischioso", ma certamente non è il tentativo velleitario di un singolo, quanto piuttosto un'operazione preordinata gestita da un gruppo di esperti di comunicazione.
Servono i soldi per comunicare sul web
Alternativo quindi ma non "povero". Analogo al progetto che ha portato Belen a diventare una star (anche in meno tempo) con ottimi risultati economici (si guardino le dichiarazioni dei redditi degli interessati), quindi un investimento importante a fronte di un più che adeguato ritorno economico...
Poter parlare liberamente però non garantisce il diritto di essere ascoltato e soprattutto non garantisce di non essere "annientato", come insegna il caso del recente conflitto tra Cyberbunker e Spamhaus. Difficile quindi sopravvivere anche in rete per Don Chisciotte, senza soldi e competenze.
Il Rovescio della Medaglia: esclusione di molti cittadini
L'aspetto più critico è però quello riguardante le persone escluse, quel fenomeno che fino ieri si chiamava digital divide. La rete non può raggiungere tutti e quindi un sistema basato solo sul web taglierebbe fuori tantissimi cittadini. Ignorare questo problema significa ignorare i diritti di questi cittadini.
Il diritto di critica e la deformazione del movimento d'opinione
Inoltre la forza del web è quella di poter mantenere un certo anonimato, ma proprio per questo si presta a mille deformazioni. Se io scrivo un commento ad un certo articolo ad un mio avversario basta presentarsi con quattro o cinque identità differenti per commentare ciò che dico e per dimostrare che ciò che ho scritto è osteggiato dalla maggioranza delle persone.
In definitiva la rete è uno strumento potente per comunicare ciò che si vuole ma risponde, più o meno, a molte delle regole valide per altri media. In primis la capacità di spesa e come secondo aspetto la determinazione e capacità di comunicare, grazie a esperti e costosi consulenti di immagine.
Friday, February 22, 2013
Domani primo Open Data Day in Italia ma... dove ci porteranno gli Open Data? Non solo APP... anche verso la Business Intelligence?
Domani si terrà per la prima volta anche in Italia l'Open Data Day. Anche se con un po' di ritardo, l'Italia si è avviata in questa direzione con decisione e forse possiamo dire che, almeno in questo settore dell'innovazione, il gap con gli altri paesi non è così accentuato come in altri.
Però, anzicchè unirmi al coro delle celebrazioni, vorrei avviare una riflessione critica sugli Open Data, sulla loro diffusione e sui risvolti economici.
Prima di cominciare, per dissipare qualunque dubbio, devo però chiarire che sono un sostenitore degli Open Data (meglio ancora se "linked"), che la società per cui lavoro si occupa di LOD, che è impegnata nella promozione della cultura del data sharing e che all'evento principale di domani, all'Archivio Centrale dello Stato, ci sarà una sessione incentrata sugli Open Data per i beni culturali, settore in cui opero ora con preminenza. Il chiarimento si è reso necessario per evitare di trovarmi trafitto presto dalle lance dei Cavalieri delle Tavole Rotonde del regno di CameLOD.
A questo punto perchè una riflessione critica?
Diciamo che non si tratta di contestare alcunchè degli Open Data, quanto il tentativo di avviare una discussione costruttiva sul modello economico sui cui si ipotizza possa avvenire lo sviluppo degli stessi. Ad oggi infatti si parla molto delle potenzialità economiche connesse agli OD ma a me sembra che gli unici seri investitori siano al momento i governi delle diverse nazioni. Non che questo sia poco significativo, perchè in fondo sono gli unici in grado di promuovere l'innovazione in termini cosi massicci (è un loro compito per altro!), ma il dubbio che rimane riguarda la sostenibilità a lungo termine.
I governi sostengono gli Open Data ma fino a quando basterà?
Le istituzioni ovviamente identificano negli Open Data la concretizzazione dei propri obiettivi di comunicazione e trasparenza (qui ci sarebbe da discutere sulla situazione italiana) e questo fa si che siano tra in grandi promotori di queste iniziative ma c'è da chiedersi se, in assenza di una risposta forte del mercato, anche il loro interesse non possa, un domani, scemare.
Questo secondo me è il vero punto critico, le varie discussioni sui Business Case sono incentrate sui vantaggi per le PA e per i cittadini ma al momento il ruolo delle aziende è essenzialmente funzionale alla realizzazione del media tra gli uni e gli altri. C'è inoltre da considerare che In Italia la "resistenza" alla trasparenza da parte della Pubblica Amministrazione è un dato oggettivo e non possono essere una metodologia e delle tecnologie a rompere questo schema.
Se le PAL non hanno pubblicato prima i loro dati utilizzando i tradizionali strumenti web fin qui a disposizione non si capisce perchè dovrebbero essere incentivate ora dagli Open Data. Certo c'è una campagna di sensibilizzazione che potrebbe indurre molti a procedere su questa strada ma l'interesse contrario, ovvero quello a nascondere certi dati, può essere così forte da inaridire molte iniziative.
Le aziende e i LOD
Finchè l'interesse delle aziende sarà solo quello di supportare la pubblicazione dei dati degli enti pubblici o quello di costruire APP (quale è il modello di revenues?) credo che non potremo assistere alla definitiva maturazione di questo settore, occorre che i privati studino e trovino il modo di far fruttare questa opportunità, indipendentemente dai soldi pubblici.
Le ipotesi e le possibilità ci sono ma occorrerebbe una analisi più approfondita per verificarle mentre, ad oggi, questo aspetto mi sembra ancora poco discusso. Esistono in verità già utilizzi business degli Open Data di rilevante importanza e cito per tutti il caso di Google che sfruttando alcune librerie di dati liberi ha migliorato le prestazioni del servizio che rappresenta il suo core business ovvero la ricerca.
Si tratta però di un caso molto singolare e poco ripetibile (nelle stesse forme) mentre per irrobustire il settore occorre un utilizzo più diffuso e a più livelli.
I LOD, per esempio, possono essere una risorsa anche per le aziende impegnate nella gestione di integrazione di archivi di dati eterogenei, dai quali ricavare informazioni utili e vantaggio competitivo.
Big Data e Business Intelligence
La conoscenza del patrimonio informativo di una azienda,dei Big Data, non è un fatto scontato e, mano a mano che le dimensioni crescono, il patrimonio intrinseco e non "rivelato" diventa sempre più grande. Il suo completo utilizzo è un fattore imprenscindibile (PDF) per le aziende sul mercato e un approccio LOD può oggi rappresentare una alternativa ai classici progetti avviati dalle grandi organizzazioni industriali.
Non è chiaro se ciò ancora non avviene per motivate ragioni e limiti oppure per innata resistenza all'innovazione o, peggio ancora, per deliberata strategia dei principali vendor che sfruttano il fattore "tecnologia proprietaria" per mantenere posizioni di vantaggio sui competitor ma, in fondo, anche nei confronti degli stessi clienti.
In base alla mie competenze Big Data, Search (e Social Networking) e valorizzazione dei Beni Culturali (servizi al cittadino, turismo) sono tre segmenti in cui i LOD possono probabilmente garantire sostenibilità economica ad una iniziativa imprenditoriale ma certamente non sono gli unici, ecco questo è il tipo di discussione che mi piacerebbe approfondire in seguito.
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