L'Internet delle cose è un argomento di grande fascino che ho già trattato diversi mesi fa scrivendo delle riflessioni di Bruce Sterling sugli Spime, sensori spazio temporali, ma ancora prima, a partire da metà del decennio scorso, occupandomi di alcuni progetti presentati in ambito europeo sul monitoraggio ambientale
Quindi ho seguito con molto interesse l’incontro che presentava la relazione finale circa l’Internet delle Cose in Italia e nel mondo. Con questo concetto si definisce la capacità di “oggetti intelligenti” di interconnettersi e interagire, essendo caratterizzati, in estrema sintesi, da:
- Identificazione
- Localizzazione
- Acquisizione di informazioni
- Elaborazione
I primi passi di un percorso ancora lungo
La realtà è oggi ancora lontana da questa utopia, come sembra testimoniare l’Osservatorio, ma il processo di evoluzione verso l’IoT ha assunto tale rilevanza da suscitare l’interesse dei grandi player (in particolare Telco), come evidente dal tono degli interventi di alcuni partecipanti ai tavoli di discussione. In particolare Vittorio Consolo di Telecom ha raccontato come ormai il traffico dati sia in grandissima crescita, e che un sesto di tale traffico riguarda l’interconnessione machine-to-machine (in crescita a 2 cifre), ovvero il traffico generato da dispositivi che montano on board una SIM (oltre 4 milioni).
E’ evidente che tali numeri determinano un forte focus commerciale delle Telco, con conseguenti investimenti nella ricerca, ulteriormente sostenuti in ambito Comunità Europea.
Tra i dispositivi già disponibili lampioni che si autoregolano e i contatori della luce mentre tra quelli che potrebbero conoscere ampia diffusione gli elettrodomestici che si autoregolano in relazione alla disponibilità totale di elettricità o per ottenere una riduzione dei costi energetici. Non entro nel merito della ricerca perchè è già ben descritta negli atti del convegno e quindi mi limito ad alcune riflessioni personali
Più che di oggetti capaci però di connettersi alla rete si parla ancora di reti eterogenee che connettono oggetti e che poco si parlano, dove la comunicazione con i dispositivi finali è delegata principalmente a gateway che di fatto separano le reti. Limitazioni superabili grazie all’eventuale affermarsi di uno standard ma siamo ancora al tentativo di imporre standard proprietari vs. standard realmente open , quindi siamo ancora lontani da quanto ipotizzato nel 1999 da Kevin Ashton anche se è evidente che la cosa comincia a prendere piede.
Gli Spime di Bruce Sterling
Probabilmente al momento si ragiona soprattutto su come connettere oggetti esistenti creando reti ad hoc, mentre forse l’approccio dovrebbe essere quello di progettare oggetti capaci di elaborare informazioni e di essere interconnessi, pluggabili con sensori di natura diversa, il concetto di Spime di Sterling.
Ad oggi lo “Spime” più efficiente rimane lo smartphone, in grado di essere localizzato, connesso, raccogliere foto e video o far funzionare altre applicazioni. Il limite nel considerarlo realmente un oggetto interconnesso nell’accezione di IoT è che le sue funzioni sono essenzialmente pilotate dall’intelligenza umana, ma tra le migliaia di app disponibili ce ne sono alcune che lo rendono capace, in fondo, di autonoma capacità elaborativa, come l’app che sono in grado di georeferenziare le foto fatte da una camera esterna in base al sincronismo temporale.
Internet of Things e Web of Data
Al tema dell’internet delle cose si collega però a questo punto quello del web of data, l’altro grande trend del passaggio dal web 2.0 al X.0. e di cui mi sono occupato in un contesto solo apparentemente molto diverso. Cosa succederà e di chi saranno questi dati raccolti in giro dai sensori?
Oggi nel monto è in corso una grande migrazione di informazioni, conosciuta come Web of Data, da un formato human oriented a un formato machine readable, con strumenti e standard quali RDF, Open Data e Linked Open Data per consentire non solo di pubblicare informazioni ma anche di raggiungere un effettiva condivisione di esse, consentendone la rielaborazione e l’integrazione con altre fonti.
A maggior ragione queste informazioni, nativamente dati “grezzi” dovrebbero essere rappresentati in un formato standard, tale da poter essere utilizzati anche da utenti estranei al circuito che li ha generati/raccolti avendo a disposizione la “terza gamba” di questo sistema ovvero gli strumenti che permettono di descrivere la semantica di tali dati. Potrei ottenere l'integrazione tra dati rivenienti da misurazioni quantitative sul campo con dati rielaborati dall'intelligenza umana e trattabili mediante elaborazioni automatiche.
Un sistema cosi integrabile descrive uno scenario dalle potenzialità infinite, un ulteriore grande passaggio della rivoluzione digitale in atto.
(foto licenza C.C. da Kirk Lau)